Carolina Invernizio, la prima scrittrice di best seller in Italia, è la bistrattata casalinga di Voghera

by Federica Carretta

L’esigua presenza di donne all’interno del panorama letterario italiano – e non solo – dipende, com’è noto, da una gerarchia maschile ben radicata nel tempo. L’eco delle poche voci femminili emerse nel mare magnum della pagina stampata, proviene perlopiù dalle fortunate che hanno goduto di uno status sociale privilegiato.

Il caso di Carolina Invernizio è ben diverso: sebbene si tratti sempre di una donna borghese e benestante, parliamo di come una  scrittrice tenuta assai poco in considerazione, sia riuscita a conquistare migliaia di lettrici (e sicuramente segreti lettori) grazie alla sua prolifica e fantasiosa penna.

La casalinga di Voghera, com’è stata appellata da alcuni critici, ha scritto più di un centinaio di romanzi a distanza di pochi anni gli uni dagli altri. Addirittura, uno dei suoi cavalli di battaglia, “Il bacio d’una morta”, presenta un sequel creato a otto anni di distanza: “La vendetta d’una pazza”.

La scrittrice può essere definita come la prima best-sellerista dell’Italia unita; è stata a lungo additata dai suoi detrattori per via di uno stile semplice e per la presenza, nelle sue opere, di trame ai limiti dell’inverosimile. Il suo pubblico era composto prevalentemente da domestiche e portinaie, fattore che le costò un altro celebre soprannome, Carolina di servizio.

Insomma, se la nostra autrice non godette di fama tra le rigide schiere della critica italiana, poté riscattarsi con l’affetto del suo affezionatissimo pubblico che non smise mai di divorarne i romanzi. Quando si parla di questa artista, spesso viene posta l’attenzione sul fatto che i  suoi romanzi siano assoggettati alla società, ma soprattutto alla mentalità maschilista preponderante al tempo ( spesso, infatti, gli epiloghi non tengono per niente in conto le violenze e i tradimenti compiuti dai mariti, se questi ultimi arrivano a redimersi nelle ultime pagine del libro), ma è anche vero che l’opera inverniziana non dà spazio ad alcuna figura di superuomo dannununziano, ha anzi creato delle superdonne in grado di sciogliere l’intreccio mantenendo tratti gentili e angelici.

Potremmo addirittura parlare di proto femminismo, sempre nei limiti di spazio e di tempo in cui è vissuta Carolina: per via della censura severissima, ella si ingegnò a creare un testo per i lettori superficiali ed un sottotesto per quelli più arguti. La Invernizio, infatti, non era l’ultima arrivata in fatto di cultura letteraria e, checché se ne dica, godeva di un certo successo anche tra le fila della stampa. Ci fu un tempo in cui un esordiente Guido Gozzano decise di intervistarla: ai tempi era un giovane un po’ spavaldo che credeva di sapere – attraverso certe domande scomode – come poter mettere all’angolo una donna, ma non una della levatura di Carolina Invernizio. Non si scompose mai, asserì, dopo essere stata incalzata con questioni riguardanti sua vita privata:

Avevo diciassette anni. Sono nata nel 1860. Non nascondo l’età. Per disgrazie famigliari dovetti interrompere gli studi che avevo iniziato a Cuneo. Poiché leggevo continuamente romanzi di Dumas, di Ponson du Terrail e di Walter Scott mi venne vaghezza di scriverne uno anch’ io. Mi misi al lavoro e tirai giù, senza una correzione, la storia dell’ avventura di una ragazza fuggita di casa per amore: tradita dall’ innamorato ritornava, qualche anno dopo, disonorata e desolata, a cercar pietà in casa della madre piangente. Mandai il manoscritto ad un giornale di Torino, esponendo in una lettera il desiderio che venisse pubblicato e, insieme, la speranza di un piccolo compenso. Dopo circa sei mesi ricevetti l’annunzio che la Direzione aveva accettato il romanzo: l’avrebbe pubblicato a puntate in appendice.

Non dimenticando, peraltro, di aggiungere che quando i suoi detrattori sono crudeli, a lei poco importa: ammetterà nel corso dell’intervista, con vibrante soddisfazione, che le sue appassionate lettrici sono proprio le mogli e le sorelle di quegli stessi detrattori.

I libri dell’Invernizio furono venduti e letti fino all’avvento del fascismo, poi gradatamente scomparvero dalle bancarelle e dalle cartolerie periferiche e di provincia che li esponevano in vetrina.

Divennero introvabili e, in seguito, ricercatissimi. Ma già nel 1949 Carolina Invernizio era stata riscoperta da alcuni produttori cinematografici che avevano per intento di intrattenere un certo pubblico. Disprezzando le opere della Invernizio, se ne disprezzavano un po’ anche i lettori: gente semplice, affaticata da lavori massacranti e da viaggi non desiderati ma sperati.

Quel “popolino” non in grado di costituire un’unità italiana, aspramente criticato per la sua ignoranza e grettezza, ma che aveva una grandissima sostenitrice e scrittrice dalla sua parte. Carolina Invernizio lo faceva di mestiere, scriveva per un compenso di mille lire a libro, componeva per sé stessa, per donare diletto alle mogli e alle sorelle di quegli stessi giganti della letteratura che ne storpiavano il nome.

by Federica A. Carretta

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