Lída Baarová, l’amante del nazista Goebbels la cui stella avrebbe potuto brillare più di quella di Marlene

by Daniela Tonti

La grande stagione del cinema tedesco, dell’espressionismo da Caligari a Pabst, Lamprecht, Jutzi, andò scomparendo a partire dal 1933 con l’avvento di Hitler e la trasformazione delle grandi case di produzione come la UFA, la Tobis e la Bavaria che vennero assorbite dal potere politico attraverso enormi operazioni finanziarie. Il cinema tedesco smise di essere cinema sociale capace di mettere in luce con profondità le problematiche del tempo, contraddistinto per l’eccellenza stilistica e la considerazione della critica internazionale e divenne strumento di propaganda.

Joseph Goebbels, il comunicatore del regime, avviò una produzione enorme sia di documentari e cinegiornali che di film di finzione dichiaratamente nazisti che affiancava ad altri strumenti del Terzo Reich come la radio e i giornali. La fuga di gran parte degli intellettuali dalla Germania nazista, registi, attori e autori come Marlene Dietrich o Fritz Lang – solo per citare gli acerrimi nemici di Hitler – fece il resto.

Su questo sfondo si consumò la storia d’amore tra Lída Baarová e Goebbels che segnò per sempre la vita della promettente stella cecoslovacca che pagò un prezzo altissimo e che mantenne per anni, anche nella sua biografia, un alone di mistero e ambiguità sul legame che le distrusse la vita attirandosi l’onta perenne e l’ostilità dello star system.

A lei è dedicato LídaBaarová un melodramma cecoslovacco su Netflix uscito nel 2006 con il titolo di The Devil’s Mistress e diretto da Filip Renc che mostra l’ascesa e la caduta di una donna vittima di se stessa, sullo sfondo degli avvenimenti immediatamente precedenti la notte dei cristalli.

Un lungo melodramma, costruito come un flashback, che riesce a tratti a sospendere il giudizio su una delle donne più ambigue del Reich per ripercorrerne la parabola – da starlette di provincia a primadonna delle grandi produzioni della UFA – tra invidie, inganni e tradimenti. È la storia dell’amante del diavolo del suo errore fatale, imputabile all’opportunismo o all’amore nessuno può dirlo, e dell’effetto domino irreversibile e cioè una lunga scia di devastanti conseguenze non solo personali ma etiche e sociali.

Ma chi era davvero Lída Baarová? Una donna assetata di successo o una povera ingenua innamorata di un mostro? Fu davvero una spia quando la guerra finì? Nessuno lo saprà mai. E probabilmente Lída Baarová fu tutte queste cose insieme. Sappiamo che il suo grande rimpianto, come da ella stessa più volte ripetuto, fu di non aver accettato la proposta della Metro Goldwin Mayer che le offrì un contratto poco prima dello scoppio della guerra. E sappiamo che mai prese una posizione di chiara condanna rispetto al regime nazista.

Scrollò le spalle in un’intervista qualche hanno prima della sua morta difronte a chi le chiedeva dei crimini nazisti: «Mi sono indifferenti. Voglio solo dimenticare tutto.»

Il pubblico italiano l’ha vista in numerosi film prima e dopo la guerra da Ti conosco mascherina!, La fornarina, Il cappello da prete, Vivere ancora, Pietà per chi cade fino a I vitelloni.

Nata il 12 maggio 1914 a Praga e morta il 27 novembre 2000 a Salisburgo, il suo vero nome era Ludmila Babkova. Iniziò la sua carriera a 17 anni interpretando piccoli ruoli al Teatro Nazionale Ceco di Praga .

Nel 1934, all’età di ventun anni, spinta soprattutto dalle ambizioni sfrenate della madre, si trasferì a Berlino e venne ingaggiata dalla UFA per il ruolo di Giacinta nel film Barcarole, al fianco del divo tedesco Gustav Froehlich con il quale inizierà una relazione.

Erano film frivoli che avevano lo scopo di deviare l’attenzione dei tedeschi dalla crescente militarizzazione dello stato.

Lída a Berlino iniziò a frequentare gli alti ufficiali nazisti, cosa di cui si sarebbe pentita anni dopo quando arrivò a dire che il suo rapporto con Goebbels aveva trasformato la sua vita in un inferno e che se non fosse stato per lui la sua stella avrebbe brillato più di quella di Marlene.

«Non c’è dubbio che Goebbels fosse una persona interessante, un uomo affascinante e intelligente e un grande affabulatore. Potevi star certo che con i suoi aneddoti e i suoi scherzi avrebbe ravvivato qualsiasi festa.»

Si conobbero durante una delle visite del Ministro della propaganda agli studi dell’Ufa a Berlino. Goebbels non era certo un bell’uomo. Aveva lineamenti irregolari, era zoppo per via di un piede equino ma aveva comunque la fama di tombeur de femmes e iniziò un corteggiamento serratissimo.

Quando Froehlich – che aveva recitato nel capolavoro di Fritz Lang del 1927 Metropolis – venne a conoscenza di questa relazione andò su tutte le furie e si dice persino che sfidò a duello l’ufficiale nazista. A seguito di questi eventi, fu deportato per un periodo in un campo di concentramento. Goebbles e Lída ebbero una relazione che durò circa due anni fino a quando Magda, la moglie di Goebbels e fervente nazionalsocialista della prima ora, chiese ad Hitler in persona di mettere fine a quella storia.

Joseph Goebbels si oppose in un primo momento rassegnando persino le dimissioni ma il führer gli ricordò il dovere di anteporre le ragioni di stato a quelle personali e gli ordinò di non vedere più l’attrice.

Lída Baarová fu costretta a lasciare Berlino, i suoi film furono banditi e dovette ritornare con la coda tra le gambe a Praga che non le riservò di certo un’accoglienza trionfale.

Goebbels, immerso nella disperazione, scrisse nel suo diario «la vita è dura e crudele». Era ossessionato da lei. «La sua voce sembrava entrarmi dentro. Sentivo come un solletico sulla schiena, quasi le sue parole stessero cercando di scuotere tutto il mio corpo».

Lída girò alcuni film in Italia ma dopo la caduta di Mussolini tornò a Praga dove fu accusata di essere una spia tedesca e condannata a due anni di carcere da uno dei tribunali istituiti dai vincitori rischiando persino la pena capitale.

L’onta che la relazione con Goebbels fece cadere sulla sua famiglia fu enorme e inevitabile come spesso capitava alle famiglie dei collaborazionisti. Sua madre morì durante un interrogatorio e sua sorella Zorka, bellissima e promettente attrice teatrale, fu bandita da tutti i teatri e emarginata da amici e conoscenti fino a un tragico epilogo.

Ma Lída riuscì a sopravvivere grazie anche alla cerchia di amicizie di cui godeva. Sposò l’agente teatrale Jan Kopecky, che era nipote del ministro degli interni e fu assolta.

Nel 1956 divorziò da Kopecky, si stabilì a Salisburgo e ottenne la nazionalità austriaca. Sposò un ginecologo e cercò di tornare a teatro. Ma l’Austria non aveva dimenticato la sua vicinanza al regime nazista e una notte fu aggredita al teatro di Granz con una raffica di uova. Scomparsa dagli schermi per un lungo periodo, fu chiamata da Rainer Werner Fassbinder nel 1975 per Le lacrime amare di Petra Von Kent. La sua autobiografia è stata pubblicata nel 1983 e nel 1997 è uscito il film documentario Le memorie dolci-amare di Lída Baarová.

Diverso il destino di Joseph e Magda Goebbels. Fu la donna il 1 maggio del 1945 ad addormentare per sempre con il cianuro i suoi sei figli – di età compresa tra gli undici e i quattro anni – prima di suicidarsi insieme al marito.

«Non ero una nazista, ma come altre donne avevo paura di dire di no a uomini del genere», disse in un’intervista.

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