Luisa Casati Stampa, la Divina Marchesa, “elusiva come le ombre dell’Ade”, che fece della sua vita un’opera d’arte

by Michela Conoscitore

Piazza San Marco, Venezia: siamo nel settembre del 1913, le cupole della basilica sono completamente immerse nel buio e nel silenzio, lì in alto dove, al mattino, svettano solenni. Eppure, nella piazza libera dalle folle, si sente trambusto. Chiarori che si avvicinano ad illuminare il luogo addormentato, e un vociare insistente e multilingue. Un corteo, alla cui testa si vedono pantere, levrieri, e servitori di colore con fiaccole, anticipa la sua protagonista, fautrice di questo carnaval anzitempo: la marchesa Luisa Casati Stampa.

Seguita dagli invitati alla sua festa, una tre giorni che ha avuto luogo presso Palazzo Venier dei Leoni, oggi sede del museo Peggy Guggenheim, la marchesa ha riunito la crème dell’aristocrazia europea, stupendola con i suoi lirismi festaioli, accogliendo i suoi ospiti in un giardino popolato da giaguari, pantere, pavoni, i suoi amatissimi serpenti, e corvi albini. Alla luce delle fiaccole, il corteo attraversa tutta piazza San Marco, e la Casati, fiera nel suo costume di Arlecchino provocante, procede sicura nel guidare i suoi amici in una città che si piega alla sua volontà e le fa da palcoscenico, mettendo in ombra le proprie meraviglie e donando luce, invece, alla marchesa.

Luisa Amman nasce a Milano nel gennaio del 1881, figlia di un ricco industriale tessile il quale fu premiato dal re Umberto I col titolo di conte, per i risultati raggiunti e per aver dato lustro all’Italia con la sua produzione. Luisa, e la sorella maggiore Francesca, hanno vissuto protette la prima parte della loro vita, educate in casa da precettori, annoiandosi a morte. Forse è per questo che, non appena maggiorenne, la donna decide di sposare il marchese Camillo Casati Stampa: il matrimonio è celebrato nel 1900, anno della Prima Esposizione Universale a Parigi, dove la coppia si reca in viaggio di nozze. L’anno dopo nasce Cristina, l’unica figlia dei marchesi Stampa, chiamata così in onore di Cristina di Belgioioso, donna ammiratissima da Luisa, insieme all’imperatrice Elisabetta D’Austria, Sarah Bernardt e la Contessa di Castiglione.

Il matrimonio le inizia a star stretto, si sente rinchiusa e relegata in un ruolo che non è il suo: così, comincia a cambiare pelle, come i serpenti, inoltre a segnare definitivamente la sua metamorfosi è l’incontro con il poeta Gabriele D’Annunzio. Donnaiolo impenitente, il Vate, questa volta, cade vittima del fascino androgino della marchesa, che fugge e non rimane colpita dalla fama del letterato. D’Annunzio, già in là con gli anni, sviluppa una vera e propria venerazione per Luisa, la soprannomina Corè, dea degli Inferi, “elusiva come le ombre dell’Ade”, e per lui non ci sarà più scampo. Luisa si concede al poeta, e i due intrattengono una relazione ardente che segna fortemente lo scrittore. La marchesa gli ispira il personaggio di Isabella Inghirami nel romanzo Forse che sì, forse che no,dove la descrive con queste parole: “Le sue vesti vivevano con la sua carne come le ceneri vivono con la bragia”. Per D’Annunzio è stata l’unica donna che lo ha sbalordito, forse perché non gli è stata mai succube, ma dominatrice.

Se con il Vate, poi, il rapporto si trasforma in una profonda amicizia, Luisa Casati, comunque, apprende da lui quella capacità di stupire e scioccare: la Divina Marchesa, come l’ha ribattezzata D’Annunzio, vuole trasformare la sua vita in un’opera d’arte. E ci riesce: gli occhi verdi e a mandorla bistrati di nero, le pupille dilatate da colliri alla belladonna, i capelli tinti di rosso fuoco, accompagnata dai suoi felini, usa i suoi serpenti come scialli o copricapi. Gli esemplari più piccoli, infatti, ama posarli tra i capelli, che le scendono dal capo, incorniciandole quel volto asimmetrico e perturbante, come una novella Medusa. Le sue passioni sono sempre occulte e venefiche: ha una vera e propria ossessione per le sedute spiritiche, e non riesce a fare a meno della lascivia che le concede la cocaina, abitudine che condivide con D’Annunzio.

Divorzia dal marito, altro primato della marchesa che è stata la prima in Italia ad ottenerlo dalla Chiesa, e si trasferisce a Parigi. La Ville Lumière la accoglie come una figlia che ritorna a casa, srotolandole ai piedi un tappeto rosso immaginario e aprendole le porte delle avanguardie artistiche, lì nascenti. Luisa, con i suoi travestimenti che entrano a far parte del suo abbigliamento quotidiano, piomba nell’immaginario collettivo e crea un suo harem di uomini, tutti artisti, tutti adoranti. Filippo Tommaso Marinetti, uno dei suoi innumerevoli amanti, la descrive così: “occhi lenti, di giaguaro che digerisce il sole”. La donna si avvicina al Futurismo, compiendo così un salto di qualità, che la rende icona del nuovo secolo, dandosi un nuovo significante: la sua immagine di dandy in gonnella farà il giro del mondo, giungendo anche negli Stati Uniti e in Australia, un’icona assoluta, la prima forse che il mondo ha conosciuto.

Mi colpì l’ingresso di una signora dall’insolita eleganza. Era come se adombrasse tutti gli altri presenti. Ella portava un alto cappello di velluto nero ornato da un monile d’oro, dono di D’Annunzio; i suoi occhi enormi. Abbondantemente ritoccati col trucco scintillavano fra la cornice di riccioli tinti di arancione. I nostri sguardi si incontrarono. Prima di congedarmi ottenni di esserle presentato: era la marchesa Casati.”

Queste parole sono contenute nelle memorie del pittore Augustus John, autore di uno dei ritratti più belli della marchesa e suo amante, insieme a quelli di Giovanni Boldini. Luisa fu musa per numerosi artisti, ma proprio per le sue spinte innovatrici, promosse la sua immagine adoperando anche il mezzo fotografico, notevoli e indimenticabili le sue foto di Beaton e Man Ray. A Parigi, tutti gli stilisti più famosi dell’epoca l’hanno vestita con le loro creazioni, assecondandola nella sua eccentricità: Paul Poiret ha ideato per lei, negli anni Dieci, un abito a cascata ricoperto di diamanti, mentre Lèon Bakst le ha donato maggiore popolarità con lo spettacolare costume Queen of the Night, nel 1922, indossato per un ballo in maschera a Parigi, e la cui lavorazione ha impegnato lo stilista per tre mesi.

Dopo la Prima Guerra Mondiale e la perdita dell’adorata sorella Francesca, vittima dell’epidemia di spagnola, Luisa, per anni, conduce la sua vita itinerante in vari continenti. Prima gli Stati Uniti, poi il soggiorno a Capri presso Villa San Michele, e infine Londra. La sua esistenza mirabolante, nel frattempo, ha dissipato il cospicuo patrimonio di famiglia lasciatole dal padre: la marchesa, a 50 anni, ha accumulato 25 milioni di debiti, e costretta dalle circostanze, vende il Palais Rose, la sua abitazione di Parigi. Ma non serve a nulla: a Londra, aiutata dalla figlia Cristina, che si è trasferita lì col marito e la figlia Moorea, la marchesa è diventata l’ombra di sé stessa. Passeggia con vestiti laceri, e trucca i suoi formidabili occhi con nero da scarpe, non avendo più denaro per acquistare alcunché.

Muore il 1° giugno del 1957 a Londra, per un’emorragia cerebrale: è sepolta al Brompton Cemetery, vestita col suo famoso mantello nero, bordato di pelliccia di ghepardo, occhi bistrati e le immancabili ciglia finte. La nipote Moorea sceglie, per il suo epitaffio, un verso dall’Antonio e Cleopatra di William Shakespeare:

L’età non può appassirla,

né l’abitudine rendere insipida

la sua varietà infinita.

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