Non una ma milioni di donne al centro dell’ultima lezione al Petruzzelli. L’intervista alla prof. Simona Colarizi

by Anna Maria Giannone

Non una ma milioni di donne sono le protagoniste dell’ultima lezione del ciclo L’Italia delle donne, le lezioni di storia ideate da Editori Laterza e organizzate in collaborazione con Fondazione Petruzzelli e Teatri di Bari.

Partito dal medioevo di Matilde da Canossa, passando attraverso mille anni di storia, il percorso attraverso le vicende delle grandi figure femminili d’Italia si chiude domenica 22 dicembre con una biografia collettiva, quella del movimento femminista. 

Considerato come la sola rivoluzione reale del ’68, il femminismo scuote la società italiana e segna un irreversibile sconvolgimento nei rapporti uomo – donna, innescando le grandi conquiste civili e il cambiamento, ancora non esaurito, di immaginari, costumi, linguaggi, nella relazione fra i generi. 

Le premesse, le grandi mobilitazioni del ‘68, le conquiste ottenute ma anche i femminismi ancora vivi e necessari nel presente, saranno al centro della riflessione condotta da Simona Colarizi, Professore emerito di Storia contemporanea all’Università di Roma “La Sapienza”, autrice di numerosi libri, tra cui Un paese in movimento. L’Italia negli anni Sessanta e Settanta edito da Laterza.

Professoressa Colarizi, le donne che hanno dato origine al movimento femminista in Italia in cosa differivano dalleproprie madri?

Le donne del movimento erano innanzitutto in rivolta con le proprie madri. Nel momento stesso in cui acquistavano consapevolezza dell’essere donna comprendevano anche quanto fossero limitate le proprie libertà e quanto fossero asservite al mondo maschile. Il modello contestato era proprio quello materno, che a questo ruolo subalterno non si era mai ribellato. Via via che matura e si allarga però, il movimento femminista si dà agli altri, accoglie tutte le donne, soprattutto quelle cha non avevano ancorapreso consapevolezza. È molto interessante la solidarietà che le femministe mature offrono alle proprie madri, così come a tutte le donne ghettizzate, abusate, senza gli strumenti per ribellarsi e lottare.

Lei ha indicato nella battaglia per l’aborto il vero motivo scatenante del movimento femminista in Italia. Ci può spiegare?

Nell’aborto si riassume la questione della sessualità e a questo aspetto si legano tutti i meccanismi, le leggi – codificate e non – che umiliano il mondo femminile. Alle donne spetta uno dei compiti che l’uomo non può svolgere, quello della maternità. Il sesso è la questione chiave attorno a cui ruota la soggezione delmondo femminile al maschile. La vera scoperta del movimento femminista è che non esiste solo un’eguaglianza economica, dei diritti: deve essere affrontata anche una questione di genere. Il femminismo scopre che le donne hanno ulteriori bisogni legati al loro essere tali, a partire dalla maternità, la cura dei figli. 

Che rapporto aveva il movimento femminista degli anni ’70 con la rappresentanza politica?

Il potere politico negli anni ’70 era sostanzialmente maschile, a destra come a sinistra. La cultura maschilista era trasversale fra le forze politiche dell’epoca. È vero che le ideologie rivoluzionarie prospettavano un futuro mondo perfetto, il Sol dell’Avvenire, in cui sarebbe avvenuta la liberazione di tutti, uomini e donne, ma in realtà i partiti della sinistra rimanevano in mano esclusivamente maschile. Per le donne degli anni ’70 non era così semplice fare una scelta politica. Le donne durante il movimento si staccano dai partiti, persino dai gruppi come Lotta Continua. Con il passare del tempo si rendono conto però che in questa separatezza non possono creare un grande movimento collettivo. Hanno bisogno dei canali di aggregazione di massa per arrivare a tutte le donne. Le femministe dure e pure, che non accettano di confrontarsi con il mondo dominante maschile, alla fine esauriscono la propria forza. C’è un bellissimo cartello esposto da una femminista durante una manifestazione del ‘75 che dice “Sono femminista ma anche comunista”. La grande spinta del femminismo della fina degli anni ‘70 sta proprio nella capacità di collegarsi agli altri grandi movimenti sociali: diventa inevitabile passare per le grandi organizzazioni politiche, i partiti, i sindacati, per proseguire labattaglia per i propri valori.

Il movimento femminista italiano come si relaziona con l’idea di un genere fluido, di un superamento della dicotomia uomo – donna?

Nel momento in cui si riconosce che ci sono delle differenze sessuali che hanno delle ricadute non solo nella vita privata ma anche nella sfera sociale, pubblica, lavorativa; nel momento stesso in cui si inizia a parlare di genere, allora si inizia anche a parlare di generi, al plurale. Non a caso il movimento F.U.O.R.I. per i diritti degli omosessuali nasce contestualmente al movimento femminista. Il discorso di genere apre un campo di questioni che un tempo non esistevano o venivano demonizzate: l’omosessualità, i diritti LGBT, la transessualità.

Il femminismo oggi in Italia è concetto marginale, periferico rispetto al dibattito pubblico. In questo c’è una differenza con il resto del mondo.

È una differenza che si spiega con il ritardo con cui il femminismo si è manifestato in Italia. Seppur in relazione con gli immaginari collettivi, i costumi, i grandi valori del femminismo europeo e statunitense, le donne italiane scontano un grande ritardo nel percorso di consapevolezza. Non tutto viene risolto negli anni ’70: se l’aborto e la contraccezione erano un reato contro la stirpe, le donne adultere andavano in galera e lo stupro era un delitto contro la morale pubblica, appare evidente come il percorso intrapreso negli anni ’70 doveva essere continuato negli anni successivi. Il matrimonio riparatore e il delitto d’onore sono stati eliminati dal codice negli anni ‘80. Solo nel 1992 il reato di stupro è stato rubricato come un reato contro la persona. Pesa un ritardo anche nell’accesso alle professioni, alla politica. Le quote rosa hanno portato un certo avanzamento nella situazione della sfera dei poteri ma non dimentichiamo che fino al 1965 in Italia le donne non avevano accesso alla magistratura. 

Come spiega l’inasprimento della violenza sulle donne del nostro tempo? 

L’impatto della globalizzazione in atto ha pesato sulle paure per l’avvenire. L’incertezza del futuro ha creato un’ondata di rimpianto verso il passato. Chiudersi nel proprio mondo per evitare di confrontarsi con una realtà che appare piena di minacce è una reazione che denuncia la difficoltà immensa degli uomini di cambiare la propria cultura. Gli stupri sono cresciuti: questo da una parte dipende dal fatto che le donne hanno più coraggio nel denunciare, dall’altra rivela una reazione maschile a questo momento di cambiamento. Gli uomini stanno perdendo la propria identità e la risposta è rabbiosa, violenta, di rimpianto verso un mondo rassicurante in cui le donne erano assoggettate al proprio controllo.

Qual è la sfida attuale del femminismo?

La vera sfida del femminismo oggi è proprio il cambiamento culturale dell’uomo. È indispensabile che siano gli uomini a mettersi in discussione. Adesso tocca a loro. C’è stata negli anni passati una pausa nel femminismo, si è diffusa l’idea che ormai si fosse acquisito tutto. Non era assolutamente vero. Bisogna andare avanti, compiacendosi anche dei successi ottenuti: avere una donna come vice presidente della Corte Costituzionale in Italia è un grande passo avanti. Aspettiamo il prossimo Presidente del Consiglio e il prossimo Presidente della Repubblica.  

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