167B di Lecce, i mille colori e le mille voci della città che cambia coi murales

by Paola Manno

Per anni ho attraversato le strade delle periferie. Il liceo che ho frequentato è un grande edificio coi mattoni rossi, vicino allo stadio. Certe volte, quando c’era il sole, prendevamo i motorini per andare a San Cataldo, ma se faceva freddo o non avevamo soldi per la miscela ci inoltravamo nelle vie del quartiere 167, sicuri che nessuno avrebbe potuto rintracciarci.

I palazzi grigi sono stati lo sfondo dei nostri primi amori. Allora non ci importava che non ci fossero parchi, servizi, che ci fosse un solo bar; la percezione dell’importanza del luogo in cui si vive è venuta dopo. Da sempre si parla di periferie ma è solo da qualche anno che si è tornati a rivendicarne il diritto di viverle appieno, il diritto non solo ai servizi, ma anche alla bellezza, attraverso il lavoro di piccole associazioni, parrocchie, singoli cittadini. La città è di chi la vive, la città cambia, ha mille voci; anche Lecce ha molte voci e il suo volto che muta racconta delle necessità precise.

Nella zona 167B, da qualche anno i muri parlano e un palazzo alla volta, un colore alla volta, il quartiere sta diventando un museo a cielo aperto. Basta inoltrarsi nelle vie attorno allo stadio, in via Ragusa, per esempio, per riempirsi gli occhi di splendidi, vivissimi murales. Volti di donne, di ragazzini, disegni astratti, versi di poesie si rincorrono su una lunghissima parete di cinta. Sul palazzo di fronte, i ritratti di Michele Lorusso e Ciro Pezzella ricordano una storia tragica e insieme la fede sportiva, l’attaccamento dei leccesi alla loro squadra. Lontani dai merletti delle chiese barocche, c’è una giovane, orgogliosa raccoglitrice di olive che giganteggia su un palazzo di 4 piani, non molto lontano una ragazza con una pila di libri in mano, e un gattino che spunta allegro, e poi due bambini, uno con la pelle bianca e l’altra con la pelle nera, abbracciati tra loro e che abbracciano un planisfero, con la scritta “il mondo è nostro”.

E ancora, un murale che racconta una città e un uomo e una donna che appoggiati a una finestra sembrano pensare al cielo, con gli occhi chiusi.
L’ultimo lavoro è di pochi giorni fa: è il decimo a partire dal 2017. È stato voluto e donato dal Soroptimist Club Lecce in occasione del centenario della fondazione del Soroptimist. Lo hanno appena realizzato due artiste argentine che vivono in Spagna, Vanesa Galdeano e Analì Chanquìa (in arte le Medianeras), con la collaborazione fra il laboratorio 167B Street, la Parrocchia San Giovanni Battista e Arca Sud Salento. L’opera si intitola “Transitions” e, spiegano le artiste, è la rappresentazione di un movimento, un tributo a coloro che ampliano lo spettro del pensiero per rendere più bello e diversificato il mondo. I volti nel murale rappresentano una fluttuazione tra i sessi per raccontare la differenza e l’uguaglianza allo stesso tempo.
Vado a vederlo, questo murale alto 25 metri, e resto affascinata da quei due sguardi che ti squadrano, che sembrano cercarti e che allo stesso tempo ti chiedono attenzione. Così, in mezzo ai palazzoni e ai panni stesi, sotto questo cielo grigio oggi questi ragazzi – un maschio e una femmina, diversi ma uniti, rappresentati attaccati- mi dicono delle cose. A me raccontano che siamo più simili di ciò che pensiamo, dicono che dovremmo percorrere le stesse strade, insieme, dicono che insieme siamo più forti.

Cosa dicono agli abitanti in questo quartiere? Ai passanti? Ai turisti? I ragazzi, soprattutto, cosa pensano di questi volti? Cosa trasmettono a chi li fotografa, li condivide sui social? Si riconoscono in quei volti? Li criticano, ci scrivono pensieri? Riconoscono come propria quest’arte tanto democratica, che si dona a tutti,senza biglietto, senza filtri culturali? Un palazzo alla volta, un colore alla volta, un linguaggio nuovo alla volta, Lecce si racconta, finalmente, con mezzi espressivi diversi, non meno potenti, io credo, delle impronte del passato che ha vissuto, né meno affascinanti, né meno necessari.

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