“Dì la verità anche se la tua voce trema”, la storia di Daphne Caruana Galizia

by Paola Manno

“Ci sono corrotti ovunque si guardi. La situazione è disperata” scriveva Daphne Caruana Galizia il 16 ottobre del 2017 a conclusione di un articolo sul suo blog. Un pensiero che racconta le nefandezze della politica, ma anche l’estensione e il potere del degrado. Come una piovra, con mille tentacoli che toccano tutte le cose. Chissà a cosa pensava la giornalista maltese quando si figurava ciò di cui scriveva. Chissà cosa ha pensato quel giorno, un attimo prima di morire, a 53 anni, ammazzata perché aveva capito, investigato, raccontato al mondo quello che non si doveva sapere. Come Giuseppe Impastato, come Giancarlo Siani o Antonio Russo, in Italia, come Anna Politkovskaja in Cecenia, come decine di altri giornalisti messi a tacere con la violenza, anche Daphne aveva deciso che denunciare era l’unica strada, nonostante la “situazione disperata”.

Daphne Caruana Galizia iniziò a scrivere nel 1990, aveva 25 anni ed era madre di 3 figli di 1, 2 e 4 anni. “Era una calda giornata estiva quando nostra madre sfornò il suo primo articolo di giornale. Noi correvamo per tutta la stanza facendo la lotta e lanciando giocattoli ovunque” racconta il figlio Paul nell’introduzione del libro “Di’ la verità anche se la tua voce trema”, pubblicato da Bompiani a due anni dalla sua morte.

Non è difficile immaginarla al lavoro, una madre come tante che fa uno sforzo enorme per concentrarsi sul testo, su ogni singola parola. Quel suo primo articolo venne pubblicato sul Times con sede a La Valletta. Da subito le venne proposta una rubrica fissa con una serie di interviste, chiamata The Good, the Bad and the Ugly (Il buono, il brutto e il cattivo). “Ero così elettrizzata che per poco non ho cominciato a lanciare i giocattoli per la stanza insieme ai miei figli”. Da quel giorno, non ha mai smesso di scrivere. 

Daphne Caruana Galizia si occupò principalmente di quello che succedeva nell’isola in cui viveva, che scoprì essere profondamente legata a una serie di traffici internazionali. Malta conta un numero spropositato di società registrate, di cui più della metà di proprietà di stranieri. I suoi reportage spiegano, con estrema chiarezza e rigore, fornendo tutte le fonti documentate, che l’isola è un vero e proprio paradiso fiscale. Daphne riportava nomi e indirizzi delle principali società offshore registrate sul territorio. Si indignava contro la corruzione del Governo, il riciclaggio internazionale, la distruzione dell’ambiente, “il trionfo degli immeritevoli”. Urlava, soprattutto, la sua profonda indignazione di fronte ai passaporti maltesi venduti a ricchi imprenditori stranieri o sotto pressione di importanti politici, quando sulle stesse coste non vi era posto per gli stranieri che arrivavano sui barconi.

Le sue durissime accuse, a partire dal 2008, vennero pubblicate sul suo blog Running Commentary e lette da più di 400.000 visitatori al giorno. Dapnhe denunciava perché l’indignazione era per lei più forte della paura, perché credeva fermamente che bisognava pretendere di più dalla classe politica maltese ed europea, perché nonostante sapesse che la vita è ingiusta e che perlopiù non ci si può far nulla, era convinta di poter trovare anche un piccolo spazio per evitare l’iniquità o per stabilire un nuovo equilibrio. 

La giornalista venne denunciata e minacciata innumerevoli volte, ma non abbassò mai la testa. Rispose, anzi, con grandissima ironia ad ogni forma di intimidazione. Quando una delle società da lei accusata si dichiarò “infastidita” dai suoi articoli diffamatori, lei rispose con forza “La ragione per cui state minacciando di farmi causa a Londra è che pensate che io sia una provinciale che si spaventa davanti alle parole Londra, tribunali inglesi e costi elevati (…) è disgustoso”

Roberto Saviano, nella prefazione al libro della sua collega, lo definisce “sacro”, perché pagato con la vita: Sacro come le scelte che hanno la forza dell’irrevocabilità, l’intensità dell’ossessione, la cura dell’amore, la febbre dell’inquietudine, la speranza della poesia. 

Come Saviano penso che tutti dovrebbero leggerlo, senza dimenticare l’immagine della sua stanza piena di giochi, bambini e confusione, con la sua macchina da scrivere sul tavolo da pranzo. Per non rischiare di chiudere gli occhi davanti alle nefandezze della politica, ma sopratutto perché è necessario che il senso di sconfitta diventi altro, diventi aspirazione al cambiamento, tenace ostinazione nel dire “no” alle ingiustizie.

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