Emanuela Chiriacò e Le imperfette, per raccontare “la terra incognita” che abita le donne. “Anche le scrittrici più agiate non si rendevano conto delle proprie potenzialità”

by Paola Manno

Leggere “Le imperfette. Storie di donne nell’Inghilterra vittoriana e post vittoriana” è come entrare in un giardino. Bisogna prendersi del tempo e godersi il paesaggio, ogni piccola scoperta. Fermarsi su una panchina, su quel primo o quarto o ultimo capitolo e chiacchierare con Ella D’Arcy, May Sinclair o Netta Syrett. In fondo ogni antologia è una sorta di giardino -numerose voci, fiori, diverse aiuole, personaggi, stili – e quello di Emanuela Chiriacò è davvero curato, rigoglioso e pieno di luce.

Nel caso di raccolte, il curatore-giardiniere è colui che fa scelte precise: perché questo racconto, perché questa scrittrice, perché quest’ordine.

Lo chiedo, al telefono, all’autrice e percepisco sin dalle prime parole la grande passione che ne ha permesso la costruzione.

“Ho iniziato a lavorarci più di 3 anni fa; la prima fase è stata lunghissima. Inizialmente ho selezionato circa 30 racconti, per avere la possibilità di costruire la struttura solida che avevo in mente. Col tempo mi sono resa conto che alcuni scritti erano troppo “vittoriani”. Ho dovuto fare delle scelte dolorose, ho scelto, per esempio, di non inserire un racconto di Kipling che tratta di violenza domestica. Ci sono state scelte di natura cronologica, naturalmente anche stilistica. Man mano la storia si è delineata attraverso vari innesti”

Già, le parole sono proprio quelle di chi plasma artisticamente la natura.

Il luogo è l’Inghilterra nell’età vittoriana e post-vittoriana e l’atmosfera si sente in ogni posto descritto, in ogni strada, in ogni villa, nei salotti borghesi e nelle case dei proletari, ma anche nel tono, nell’ironia, nello humour di alcuni scambi di battute. Le protagoniste dei racconti sono tutte donne e sono tutte imperfette, aggettivo che io trovo vivacemente ironico e che dà il titolo alla raccolta. I 10 racconti, tutti pubblicati su riviste inglesi nell’arco di un quarantennio e, tranne uno, mai tradotti in italiano, raccontano infatti di donne diverse per ceto, età, carattere, donne di diversi pensieri, reazioni e azioni. C’è però qualcosa che tiene legata chi ha un cuore fedele a chi invece non riesce a far pace con se stessa, chi sfida con rabbia le malelingue a chi condanna la propria madre per essere stata “mandata a combattere la più grande battaglia di una donna, quella in cui dovrebbe conoscere ogni fase del gioco, con il velo bianco di mussolina”: questo filo è proprio la negazione del compimento, che è poi sinonimo di imperfezione.

Lo raccontano penne decise che tratteggiano dettagli arrivando dritte al cuore della questione, c’è l’acume di Virginia Woolf che narra con spietata verità di giovanili sfide e ancor più tristi consapevolezze, c’è l’intensità della scrittura di Elinor Mordaunt nel meraviglioso racconto “Genius”, abilissima a farci solidarizzare col protagonista per poi, nell’ultima riga, lasciarci soli accanto alla moglie-balia, l’unica giusta per un genio. E ancora l’acutezza di Parry Truscott, nel toccante racconto “La donna con le mani in mano”, che ha uno dei finali più strazianti che abbia mai letto “Non seppe mai, con la porta chiusa alle sue spalle, il modo in cui lei cadde sul divano. (…) Lui non sapeva quanto poco l’amore sia artistico quando è disperato”.

Soprattutto, mi colpisce l’universalità, nel tempo e nello spazio, di alcune situazioni, di alcuni pensieri che le donne, da sempre, hanno dovuto affrontare: la realizzazione attraverso un uomo, i dubbi sull’eternità dell’amore, il peso del matrimonio e quello della maternità, i compromessi, il rispetto di sé, l’avanzare dell’età, la perdita della bellezza, della rispettabilità.

Mi sembra che tra tutte queste donne non ve ne sia neanche una che possa vantare una felicità totale, assoluta, perché anche quando si presenta, è comunque una felicità piena di compromessi.

Mi chiedo se nella scrittura e nella vita delle autrici ve ne sia una certa coscienza e la risposta è, in ogni caso, dolorosa. Ho l’impressione che queste donne ne abbiano, ma Emanuela Chiriacò la pensa diversamente.

“È una riflessione interessante perché è vero che la completezza è una forma di felicità. In queste donne c’è sempre la ricerca del perfettibile, anche se non lo raggiungono mai. Io però non credo che ne avessero coscienza perché erano totalmente calate nella società dell’epoca, una società divisa: il maschile legato alla sfera pubblica e il femminile a quella privata. Anche le scrittrici più agiate spesso non si rendevano conto delle proprie potenzialità”.

Potenzialità che invece conosce bene l’autrice, che ha colto il bellissimo invito di George Egerton a raccontare “la terra incognita” che abita le donne. Ne ha tradotto ogni parola, che poi significa tradurne anche intenzioni, sensi.

“Tradurre è come una febbre. Ho passato notti intere su una parola. L’inglese ha una struttura e una forma mentale molto diverse dall’italiano, per non parlare delle “immagini culturali”. Tra l’altro, non avevo alcun riferimento perché non esistono altre traduzioni con le quali confrontarsi. Ho cercato di tradurre frasi idiomatiche sforzandomi di capire ciò che realmente le autrici e gli autori volessero dire. Ho lavorato moltissimo sulle biografie perché era necessario entrare nelle teste degli autori, riconoscerne la cifra stilistica, il gusto e la sensibilità personale. Ho cercato inoltre di modernizzare il discorso, renderlo più fresco e moderno. Mi è rimasto impresso il lavoro che Aldo Busi ha portato avanti per Frassinelli, la direzione della collana “Classici Classici”. Quel lavoro di modernizzazione è stato per me un modello, un pensiero ricorrente. Volevo che il testo fosse fruibile, naturalmente nel rispetto dell’opera originale. Ci sono infine delle scelte molto personali, come ad esempio l’utilizzo del “voi” piuttosto che del “lei”.”

A me pare che l’autrice sia riuscita egregiamente a restituirci delle narrazioni che hanno oltre 150 anni, proprio come se fossero state scritte per noi. Queste imperfette mi sono entrate dentro ed io stessa, durante la lettura, ho confuso le mie parole con le loro. Ho letto e riletto e ogni volta mi è parso di trovare nuovi spunti, nuove possibili ricerche, nuove terre incognite il cui confine confina con il mio.

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