Guerra e Pace e l’incontro con la Storia di Tolstoj: un cristallo che ci trafigge ancora l’anima

by Paola Manno

Ho trascorso molte notti sulle pagine di Guerra e pace, proprio come quelli che non riescono a smettere di guardare le serie americane -un’altra puntata e poi vado a dormire. Gli intrighi, i colpi di scena, la suspence, gli indizi che non abbiamo colto, l’affetto per un personaggio: il meccanismo delle serie, delle soap opera, dei film a puntate, dei feuilleton, è lo stesso dei più importanti romanzi della letteratura.

La grandezza dell’autore fa il resto: Tolstoj, per me, per molti, è il più grande di tutti. Leggendo Guerra e Pace ho sentito spesso la necessità di chiudere il libro, stringerlo al petto e pensare che non sarei stata più la stessa dopo la lettura di pagine come quelle.

Con il libro tra le braccia ho sentito il bisogno di chiudere gli occhi e pensare al principe Andrej, il più affascinante di tutti, al suo coraggio, ai suoi pensieri acuti, disperati, colmi di inquietudine, a quella inesorabile certezza di essere diverso dagli altri, sentimento scambiato per superbia, e invece ha a che fare col dolore.

Pensare a Natasha, alla gioia di vivere che la caratterizza dall’inizio alla fine del romanzo e che viene facilmente confusa con la leggerezza, la bella Natasha che vorrebbe diventare più saggia, ma che proprio non ce la fa, perché nessuno può tradire la propria natura.

Ma sopratutto ho pensato a Pierre, che è il personaggio più intenso di tutti, un uomo che nelle prime pagine appare quasi un inetto, un ragazzone pacifico di cui è facile approfittarsi. Invece Pierre, in una Russia divorata dalla guerra e dai desideri goderecci di una classe nobile che sta per morire, è l’unica “persona viva in tutto il nostro ambiente”, come dice esplicitamente il principe Andrej.

Perché Pierre è vivo? Perché è un personaggio che cresce, che conosciamo impacciato e quasi ridicolo e abbandoniamo, con immensa tristezza, uomo. La bellezza del personaggio di Pierre risiede nel suo essere una di quelle persone che sono forti solo quando si sentono pienamente pulite -che è un dono rarissimo e prezioso- e il dolore dell’abbandonarlo, chiudendo il romanzo, è legato alle risposte che forse non abbiamo ancora trovato.

E poi c’è la guerra, e dall’altra c’è la pace, e poi ancora la guerra e poi ancora la pace, è sempre così, accidenti, per tutte le cose che viviamo. C’è la guerra vera, la campagna napoleonica in Russia, descritta nei dettagli (che non ti annoiano mai, anzi, ne vorresti sapere sempre di più), il cui successo militare, alla fine di tutto, non dipende e non dipenderà mai né dalla posizione, né dall’armamento, e neppure dal numero di militari o dalla posizione, ma, scrive Tolstoj “Dal sentimento che c’è in me, in lui, in ogni soldato.”

E poi c’è la guerra che alberga nelle piccole esistenze di ogni uomo, che ha lo stesso odore di quell’altra: “E che cosa c’è di là? chi c’è di là? là, oltre questo campo, e questo albero, e questo tetto illuminato dal sole? Nessuno lo sa, e si vorrebbe sapere; ed è spaventoso superare questa linea, eppure si vorrebbe superarla; e sai che prima o poi ti toccherà superarla e scoprire che cosa c’è dall’altra parte, al di là di questa linea, così come sarà inevitabile scoprire che cosa c’è al di là della morte”.

Guerra e pace è un romanzo storico ma vi sono dentro tante cose che trovare una definizione soddisfacente a me pare difficilissimo. È un romanzo che ha a che fare con la filosofia, con la psicologia, con l’arte militare, con la pittura, con la religione, con mille cose insieme. C’è un frastuono nelle pagine di Tolstoj che assomiglia a quella guerra sanguinosa che racconta ma c’è anche quel momento di altissima verità e poesia in cui la pace irrompe nelle pagine, e nella tua vita, come un cristallo che trafigge l’anima. Così sei accanto ad Andrej che ha tanto dei personaggi del mito e che non si può non amare, come il disperato Achille, sei lì affianco a lui il giorno della battaglia di Austerlitz e pensi come lui “Che cos’è? sto cadendo? mi cedono le gambe, pensò e cadde sul dorso. Aprí gli occhi, sperando di vedere come era finita la lotta dei francesi con gli artiglieri e desideroso di sapere se l’artigliere rosso era stato ucciso oppure no, se i cannoni erano stati presi o salvati. Ma non vedeva nulla. Sopra di lui non c’era più nient’altro che il cielo – un cielo alto, non limpido, e tuttavia incommensurabilmente alto, con nuvole grigie che vi scorrevano piano.”

E ancora l’incontro con la Storia, che diventa storia e storie, perché i re e i condottieri, come Napoleone, uno che “ha fatto girare la testa a tutti”, come il generale Kutuzov, sono piccoli e inutili esattamente come tutti gli altri

La testa gli bruciava; sentiva che perdeva sangue, e vedeva sopra di sé il cielo lontano, alto ed eterno. Sapeva che quello era Napoleone, il suo eroe, ma in quell’attimo Napoleone gli sembrava un uomo cosí piccolo e insignificante in confronto a ciò che ora avveniva fra la sua anima e quel cielo alto e infinito, su cui correvano le nuvole. Non gli importava assolutamente, in quell’attimo, chi fosse fermo sopra di lui, che cosa dicesse di lui; era solo contento che gli si fossero fermate accanto delle persone, e desiderava soltanto che quelle persone lo aiutassero e lo riportassero alla vita, che gli appariva tanto meravigliosa, perché adesso la comprendeva in un modo cosí diverso.

Tolstoj scrive un romanzo che parla a tutti delle uniche cose che contano, e cioè del bene e del male, e lo fa tirando fuori quelle che sono le domande di Pierre, e le mie, e quelle del signore che ci vive affianco, della donna davanti ad una porta chiusa: “Che cosa bisogna amare, che cosa odiare? Per che cosa vivere, e che cosa sono io? Che cos’è la vita, che cosa la morte? Quale forza governa tutto?

Attraverso queste domande, attraverso le voci e le azioni dei protagonisti, Tolstoj tesse una trama avvincente ma, soprattutto, con quelle voci ti spalanca le orecchie, la mente e il cuore, ed è questo che rende il romanzo un’opera eterna.

Perché tutti noi, a un certo punto, nel mezzo della nostra piccola vita, in qualunque parte del mondo, in qualunque epoca, abbiamo, almeno una volta, alzato gli occhi al cielo per cercare una risposta. Uscendo da un palazzo dopo un ballo regale, o da una baracca in una Mosca che brucia, al centro di una battaglia o in un bosco ghiacciato, non importa, quando spegniamo il pc e ci affacciamo alla finestra, o baciamo i nostri bambini davanti a una scuola da dietro a una mascherina, nei nostri momenti di pace piccoli e miseri anche noi, soli sotto lo stesso cielo, un cielo laico e universale, abbiamo provato un sentimento nuovo, qualche cosa che ha a che fare, io credo, con il senso della vita.

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