Consigli di lettura e pagine d’amore sempre e per sempre

by Paola Manno

L’amore muove il sole e le altre stelle, ha scritto giustamente il Poeta, e muove, pure, da sempre, le sorti dell’umanità e gran parte della sua produzione artistica. Già, d’amore è pieno il mondo: gli intrighi della storia, le pagine della letteratura, il cinema, la musica… l’amore ci balla intorno e noi lo acchiappiamo e ci danziamo insieme, a lungo o solo per un po’.

Viviamo l’amore in molte forme perciò trovare una definizione è impresa ardua. I grandi autori ci aiutano a definirlo, scegliere quale sia la più bella frase sull’amore è sempre stato un mio pallino. Io sono una di quelle lettrici che i libri li ha sempre sottolineati con furore, anche ora che sono passata agli e-book continuo ad evidenziare le frasi con passione, riempiendo la memoria del mio kindle con una pesantissima sezione “i miei ritagli”.  

Alla fine, comunque, questa definizione l’ho trovata e la cosa buffa è che stava dentro a un canzone famosissima, commercialissima, ed è questa qui: “Love was when I loved you, a true time, I hold to”, che io traduco liberamente così: l’amore è quella volta che ti amai, per davvero, e me la tengo stretta. Come a dire che alla fine ognuno ha il suo proprio momento d’amore, e quel momento se lo tiene stretto.

L’amore è quindi, probabilmente, il tempo che trascorriamo amando, avendone più o meno coscienza.  Benché ognuno abbia la sua propria idea sentimentale, ci sono tuttavia pure i grandi amori nei quali molti si riconoscono, che sono poi gli amori della letteratura o del cinema. Io le storie d’amore le divido in due categorie: quelle “sempre per sempre” e quelle “ma davvero?”.

Le mie preferite sono le seconde, perché mi divertono e mi danno speranza. Pensare che l’amore che strappa i capelli sia eterno è un’idea che francamente mi sembra insopportabile. Insomma, per me l’amore dopo un po’ diventa altro: prima è una cascata dove rischi di affogare, perciò devi imparare a nuotare con energia per goderti il volo, ma poi diventa un lungo fiume tranquillo dove bagnarsi i piedi e lavarsi i capelli. “L’amore per sempre” mi fa pensare alla Bovary, che non ha certo fatto una bella fine, e anche al povero Florentino Ariza che ha aspettato il suo amore per 53 anni, 7 mesi e 11 giorni!

L’amore “ma davvero?” è invece un gran sollievo perché dice all’uomo comune che il tormento amoroso che sempre accompagna la passione, a un certo punto ha il santo dovere di finire.

Penso a uno dei romanzi più struggenti che abbia mai letto, Un amore di Swann, che racconta la dolorosissima passione di Charles per Odette. Questo capitolo della Recherche proustiana contiene, a mio avviso, alcune delle pagine più strazianti della letteratura e ha avuto su di me adolescente il potere che i dolori del giovane Werther ebbero su generazioni di ragazzini alla fine del ‘700. Insomma, trascorri due settimane a piangere e struggerti insieme a Charles Swann e alla fine del romanzo ti ritrovi a leggere la fine più realisticamente spietata che si possa immaginare.

“Ma mentre, un’ora dopo essersi svegliato, dava indicazioni al parrucchiere perché la sua pettinatura a spazzola non si scompigliasse durante il viaggio, ripensò al sogno, rivide, vicinissimi come gli erano parsi, il colorito pallido di Odette, le gote emaciate, i lineamenti tirati, gli occhi pesti, tutti quegli elementi che – nel corso delle successive tenerezze che avevano fatto del suo durevole amore per Odette un lungo oblio dell’immagine avutane all’inizio – aveva smesso di notare dopo i primi tempi della loro relazione, là dove, mentre dormiva, la sua memoria era certo andata a ricercarne la sensazione esatta. E con quella grossolanità intermittente che riaffiorava in lui non appena finiva d’essere infelice e che, contemporaneamente, abbassava il livello della sua moralità, esclamò fra sé: “E dire che ho sciupato anni della mia vita, ho desiderato di morire, ho avuto il mio più grande amore per una donna che non mi piaceva, che non era neanche il mio tipo!”.

Mi è capitato ultimamente di leggere un altro romanzo “ma davvero?” che ho amato molto: L’infedele, della mia tostissima, brillante Matilde Serao. Qui il personaggio principale, Paolo Herz, un uomo di una pacatezza nobile e pensosa, si innamora di Luisa Cima che pare una di quelle creature deboli, gracili, che traggono, per contrasto, vivacità dalla loro debolezza e che hanno vibrazioni squisite nella loro gracilità: ella chiede, in silenzio di essere protetta, sorretta, presa tra le braccia, difesa contro tutto e tutti, carezzata fino alla voluttà, anche sino al delirio, che chiede col tenerissimo languore del suo sguardo, in cui la malizia nasconde il suo trionfo.

Una donna perfida, insomma, perversa, che non ama che se stessa. Rifiutato da Luisa, Paolo si getta tra le braccia di Chérie, che è invece una donna fatta per l’amore, buonina, ma anche un poco stupida. Anche in questo romanzo, il protagonista si getta a capofitto in una storia di passione, certo di dominare il suo destino amoroso, ma si ritrova perduto e in lacrime di fronte a una donna che rosicchia dei biscotti inglesi. Avevano trascorso insieme solo quattro mesi: ella gli aveva dimostrato che gli anni si obliano, quando si ama; che tutte le delusioni spariscono, quando si nutre l’illusione dell’amore e che non vi sono morti, dove vive l’amore. Quattro mesi! Niente: e tutto!

Eppure a un certo punto, lei gli confessa di non amarlo più. Che fare? Imporre l’amore? Domandare la pietà della menzogna, la carità dell’inganno? Così il povero Paolo si ritrova non solo senza felicità, ma senza il coraggio di sopportare l’infelicità. Insomma, un povero uomo distrutto, come un bambino che ha pianto troppo, di fronte al grande ribrezzo di non essere più amati, allo sgomento di chi si sente non protetto da nessuno amore.

A un certo punto la Serao lo scrive chiaro, come fosse una verità profetica: Le anime sentimentali sono destinate alle lunghe e tenaci sofferenze, quasi sempre inutili, quasi sempre incapaci di  ispirare pietà. Così a un certo punto a Paolo viene in mente un vecchio amore: Donna Beatrice. Era partita Donna Beatrice, sparita. Morta o viva? Aveva delirato per lei: per lei aveva desiderato la morte: ma oggi non ne sapeva nulla.- Non giurare, non giurare! –aveva detto -Verrà un giorno in cui non saprai se io sia viva o morta!

Ebbene, non è meraviglioso pensare sorridendo a tutte le sofferenze che hanno accompagnato la passione delle nostre storie d’amore, miseramente fallite nell’oblio degli anni, persone di cui oggi non sappiamo neanche se sono vive o morte, e la cosa non cambierebbe di una virgola l’andamento della nostra vita?

L’amore “ma davvero?” è infine splendidamente riassunto in una delle battute più famose del cinema, pronunciata da un Rhett Butler in gran forma alla fine di un amore che sembra non dover finire mai: “My dear, I don’t give a damn”. Insomma, proprio come in un film, a un certo punto della vita, io credo, ognuno ha il suo sacro diritto di poter dire: Francamente me ne infischio! Già, una battuta che sarebbe bello raccontasse la fine di tutti i nostri amori, ma anche l’inizio di nuove meravigliose avventure. E domani è un altro giorno e va benissimo così. Ecco, questo è proprio il genere di storie che io adoro: viviamo, amiamo e godiamo mia Lesbia, ma alla fine in qualche modo dobbiamo pure sopravvivere.

Nel giorno in cui si celebra l’amore, a me piace ricordare anche la passione che è stata e che si è spenta. Ricordarla senza dolore, con leggerezza. La vista di un fuoco che ora è cenere racconta ciò che è stato, ma dice pure che siamo sopravvissuti.  Perché l’amore, mi ha detto un giorno una mia amica, va e viene, e questa pure mi pare una grandissima verità. Come pure è vero, come diceva Heine, che alla fine di tutte le grandi tragedie, finiamo sempre col soffiarci il naso.

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