“Le persone non hanno imparato ad esser solidali, né a comprendere le paure degli altri”, la storia di Agnese infermiera covid di Pronto Soccorso 

by Paola Manno

Per comprendere l’attuale situazione sanitaria legata al Coronavirus bisogna consultare dati, studiare le statistiche, confrontarsi con le nuove direttive da seguire eppure ascoltare la testimonianza di chi il Covid lo vive e lo combatte quotidianamente ha un potere diverso, che è quello di rendere il  virus una cosa vera, che ci riguarda tutti. 

Agnese S., 40 anni, madre di 3 figli, è infermiera in servizio presso il Pronto Soccorso di un ospedale del Salento. Le chiedo di raccontarmi questi giorni in ospedale, prendiamo appuntamento su Zoom, parliamo a lungo. Ogni tanto un ragazzino sbuca da dietro la webcam. Agnese sorride e dà indicazioni -torna a studiare, oppure -la frutta è nel frigo. Poi torna a parlare con me, più seria. 

Com’è la situazione in questi giorni?

Le cose purtroppo vanno male. In ospedale facciamo del nostro meglio ma la situazione è critica, ci sono pochi posti letto, non sappiamo dove mettere le persone…

Il problema è che il virus si diffonde in maniera velocissima, può succedere di star bene un giorno e il successivo ci si senta male di colpo. A volte lievi sintomi vengono presi sottogamba. Ad un fumatore, per esempio, un pò di tosse può non far paura. Un lieve raffreddore che non passa può non preoccupare, all’inizio, ma poi peggiora all’improvviso…ecco che le persone si rivolgono a noi. Ad aggravare il tutto c’è il fatto che molti medici curanti non visitano più, fanno solo consulenze telefoniche. Se ci fosse più collaborazione con i curanti probabilmente la situazione sarebbe diversa e invece ci troviamo a dover affrontare molte emergenze.

Che tipo di lavoro svolgi in Pronto Soccorso?

In Pronto Soccorso il lavoro è tantissimo e vario, dalla gestione del codice rosso all’assistenza diretta e personale dei pazienti meno gravi. Io mi occupo, tra le altre cose, di eseguire i tamponi. Qui in ospedale abbiamo il macchinario per l’analisi rapida dei tamponi e in 12 minuti siamo in grado di avere una risposta che ci dà una prima indicazione, anche se non è validata dal medico. Questo tipo di tampone ha un costo elevato e viene utilizzato in casi urgenti. I tamponi veloci sono molto importanti perché ci permettono di sapere in breve tempo se indirizzare il paziente in Area Covid oppure no. È sempre necessario, comunque, effettuare un tampone molecolare, in questo caso il referto è validato dal microbiologo, ma naturalmente i tempi sono più lunghi, dalle 4 alle 7 ore. Nel frattempo il paziente resta in isolamento.

Tutti coloro che arrivano in Pronto Soccorso sono sottoposti a un tampone.

Qual’è la percentuale di positivi? 

La scorsa notte la percentuale di positivi è stata del 90%, i 13 pazienti con sintomi sospetti (insufficienza respiratoria, febbre, tosse…) erano tutti positivi.  Aggiungo che l’età è varia, non è vero che si ammalano solo gli anziani, tant’è che tra i positivi c’era anche un bambino, operato poi d’urgenza. I positivi sono troppi, sembra di esser tornati a marzo. I miei colleghi ed io, naturalmente, siamo costretti a lavorare con tutte le protezioni necessarie e ad utilizzare dei prodotti per la sanificazione talmente forti che ci sono stati casi di lievi intossicazioni. 

Come reagiscono i pazienti davanti ad un risultato positivo?

Stanotte è arrivato un uomo con difficoltà respiratoria, accompagnato in ambulanza. Non fumatore, con tosse, ha dichiarato di aver avuto febbre a 39 per una settimana e di non aver mai usato precauzioni perché è un uomo “ forte e robusto”.  Dal test è risultata una carica virale altissima fino ad esser costretti noi a somministrare l’ossigeno. Ha iniziato a piangere perché si è reso conto che il problema non avrebbe riguardato solo lui, ma figli, nipoti e i contatti più prossimi, compresi quelli lavorativi. Ha dovuto chiamare immediatamente le persone con cui aveva avuto contatti affinché si mettessero in isolamento. Il tracciamento è spesso molto difficile. Il Servizio di Igiene Pubblica sta lavorando a ritmi insostenibili per seguire i tracciamenti dei positivi. Abbiamo avuto dei casi in cui siamo stati accusati di aver manomesso il tampone, c’è gente che ha minacciato di denunciarci.

Nel nostro nosocomio abbiamo dovuto attrezzare una Sala Parto Covid perché stanno arrivando molte donne gravide positive.

Qualche giorno fa è arrivata una donna il cui marito continuava a ripetere che non era possibile che si fosse ammalata, perché da giorni era rimasta in casa mentre lui aveva continuato ad uscire e incontrare altre persone. La gente crede che l’isolamento sia sufficiente, ma il virus può arrivare da ogni contatto, da asintomatici. Purtroppo queste donne sono costrette a stare in isolamento, con tutte le implicazioni, anche psicologiche, che ne derivano. Pensa a quelle madri con neonati prematuri che non possono neanche recarsi all’UTIN (Unità di Terapia Intensiva Neonatale). Il problema non è solo il Covid, ma tutti i disagi collegati, come la perdita di posti letto preziosi destinati ad altre patologie. Questo è attualmente l’unico ospedale Covid della provincia.

Hai paura? 

Tanta, ma non per me. Io non esco mai, non faccio niente, non vedo persone, vado solo al lavoro. Uso la mascherina a pressione 8 o 9 ore di fila, oltre a tutti gli altri sistemi di protezione.  Se penso alle persone che si lamentano per la mascherina indossata per pochi minuti mi vien rabbia perché noi, addirittura, evitiamo di andare in bagno per tutto il turno per paura della contaminazione. Sì, provo rabbia, ancor più quando mi sono ritrovata, durante la prima ondata, a marzo, a dover ventilare manualmente un paziente per oltre due ore perché non erano sufficienti le fonti di ossigeno, fino ad assistere alla sua morte tra le mie braccia… La gente è presuntuosa e a volte non ha empatia verso chi la sta aiutando. Non mancano le aggressioni verbali, ogni giorno. 

Come vivi quotidianamente questo stato di emergenza? Come riesci a conciliare il lavoro e la maternità?

I miei figli conoscono bene l’ambiente ospedaliero perché anche il padre è infermiere. Sin da piccoli hanno imparato che ci sono delle persone che hanno bisogno dei loro genitori, proprio per il tipo di lavoro che svolgono. Io cerco di far capire loro anche la mia passione, il fatto che è importante e bello lavorare per gli altri. La quotidianità è cambiata molto durante il primo lockdown. A marzo rientravo a casa esausta dal lavoro e dovevo mettermi subito a studiare con loro.

Questi giorni, con la didattica a distanza, sono stati ancora più duri. Anche adesso i ritmi sono molto frenetici. Mi capita di portarmi un po’ di quaderni in ospedale e tra un paziente e l’altro penso a una mappa concettuale o correggo una frase di un tema. Sai, mi sembra che sia importante per far sentire ai miei figli che la mamma c’è sempre. Mi fa male uscire di casa per andare in ospedale e lasciarli a pranzare o cenare da soli. È difficile conciliare tutto. Ci sono i compiti, la cucina, le pulizie, tutte le commissioni quotidiane, c’è il pensiero dei turni di notte, del tragitto in macchina…se dovesse succedere qualcosa… c’è molta, molta stanchezza.

Ho iniziato a soffrire d’insonnia. Mia figlia minore ha molta paura che io mi infetti, spesso piange preoccupata per me, ma la sera sono così stanca e stressata che a volte urlo e anche questo mi fa male. Sono una donna separata con 3 figli e cerco di fare del mio meglio. Ho creato un gruppo whatsapp con noi quattro, per stare un po’ insieme, scambiarci delle foto, chiacchierare un po’. Anche per il mio compagno non è stato facile, all’inizio. Quando hai un lavoro con turni regolari è difficile capire il ritmo di vita di chi lavora con le urgenze oppure di notte…

La paura del Covid è entrata nella nostra quotidianità. A casa giro con la mascherina, a volte mi addormento dimenticandomi di toglierla. Alcuni amici hanno preferito non incontrarmi in questi mesi, perché lavoro in ospedale. Eppure io sto sempre molto attenta, sono molto controllata, mi sottopongono a tamponi di continuo e indosso sempre i DPI. Per quanto riguarda i miei figli, all’inizio ho evitato di abbracciarli, di baciarli, ma adesso mi dico che non posso privarli della mia presenza, del contatto fisico. Crescono in fretta, tutti questi anni e questi abbracci non me li restituirà nessuno. Ci sono delle colleghe risultate positive che sono rimaste a casa per settimane senza poter abbracciare i propri figli, persone che non hanno visto i genitori per mesi. Io so bene cosa si prova. 

Come credi che si evolverà la situazione?

Credo che la gente si dimenticherà presto di questa pandemia, come è stato per tutte le altre. Sono convinta che la maggior parte delle persone non abbia imparato molto da questa situazione, forse ne rimarrà traccia sui libri di storia. Le persone non hanno imparato ad esser solidali, né a comprendere le paure degli altri. 

Noi infermieri invece lo sappiamo bene. Noi lo conosciamo il valore di un sorriso. 

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