“L’uomo che piantava gli alberi”: quando la speranza diventa potere

by Paola Manno

Quando morì mia nonna, 25 anni fa, dopo il funerale mio padre organizzò una riunione di famiglia. Ci ritrovammo nella nostra casa in campagna, i 6 figli della nonna con i rispettivi compagni e compagne e tutti i nipotini, un gruppo di 24 persone. Piantammo 10 eucalipti, erano alti più o meno 30 centimetri. Ogni domenica, quando vado a trovare mio padre, parcheggiando sotto quegli alberi che oggi sono diventati enormi, lo stesso pensiero mi torna alla mente: sono passati 25 anni, eppure sembra ieri. I 10 eucalipti sono diventati una piccola oasi d’ombra, di pace e profumo; io sono cresciuta di soli 15 centimetri da allora.

La prima cosa che ho fatto non appena ne ho avuta la possibilità, il 4 maggio, dopo due mesi di completo isolamento, è stato raggiungere i miei genitori in campagna. Nell’immenso giardino, sotto un eucalipto, ho sfilato la mascherina per respirare a pieni polmoni. Ho pensato a un libricino che qualche mese fa ho regalato a un’amichetta di mia figlia, perché ho sempre pensato che un libro del genere bisognerebbe farlo nostro dalla più tenera età: “L’uomo che piantava gli alberi”. Si tratta di un volumetto uscito nel 1953, scritto da Jean Giono, autore francese di origine italiana, figlio di un calzolaio autodidatta; pare che abbia letto da solo la Bibbia e Omero. Giono era un pacifista, eppure conobbe la tragedia di ben due guerre, venne ingiustamente accusato di collaborazionismo con i nazisti e fu incarcerato per alcuni mesi, scrisse circa 30 romanzi in cui la sua visione anti-antropocentrica è sempre centrale. L’uomo, per Giono, non è il centro dell’universo e la sua felicità è legata al rapporto sano con la natura.  

“L’uomo che piantava gli alberi” è un vero e proprio messaggio d’amore per la natura; oggi, che questo tipo di messaggi sono, per fortuna, sempre più numerosi, l’opera di Giono si distingue ancora tra i contemporanei perché si tratta di un testo prezioso. La sua forza risiede soprattutto in un linguaggio chiaro, pulito e allo stesso tempo portatore di un messaggio profondo. Il libro è un atto poetico che canta la meraviglia dell’albero.

Gli alberi ci donano ossigeno e assorbono l’anidride carbonica, depurano l’aria, riducono il rumore, abbelliscono il paesaggio, ombreggiano le città, fanno stare meglio le persone, sono, ci insegnano da bambini, i migliori amici dell’uomo. Da molti anni nelle scuole si festeggia la giornata dell’albero, si piantano arbusti nei cortili degli edifici scolastici. Sempre più comuni piantano un albero per ogni nuovo nato. Eppure, non dimenticare l’importanza degli alberi è un atto rivoluzionario e chi non lo dimentica è una persona speciale.

“Perché la personalità di un uomo riveli qualità veramente eccezionali, bisogna avere la fortuna di poter osservare la sua azione nel corso di lunghi anni. Se tale azione è priva di ogni egoismo, se l’idea che la dirige è di una generosità senza pari, se con assoluta certezza non ha mai ricercato alcuna ricompensa per di più ha lasciato sul mondo tracce visibili, ci troviamo allora, senza rischio d’errore, di fronte a una personalità indimenticabile”. È questo l’incipit del romanzo di Giono e la personalità indimenticabile è quella di Elzéard Bouffier, un uomo che non ha dimenticato l’importanza degli alberi. Elzéard è un pastore che Giono incontra per caso durante una passeggiata in una regione delle Alpi che penetra in Provenza, sconosciuta ai turisti. Si tratta di un incontro tra due anime semplici, quella dell’autore, che sente il bisogno di capire, e quella del pastore che, semplicemente, continua a fare ciò che fa ogni giorno. Sono gesti semplici quelli del pastore, eppure suscitano meraviglia. Seduto a un tavolo, con attenzione e scrupolo, quest’uomo seleziona delle ghiande, scegliendone 100 tra le più robuste e sane. Nel deserto di un villaggio disabitato sulle Alpi, ci sembra di sentirlo il rumore delle ghiande sul tavolo di legno. Il giorno dopo, il pastore si reca sui monti, per bucare con un’asta il terreno e per piantare, in ogni buco, una ghianda, su terreni sconosciuti, non suoi, sulla terra di tutti.

“Da tre anni piantava alberi in quella solitudine. Ne aveva piantati centomila. Di centomila, ne erano spuntati ventimila. Di quei ventimila, contava di perderne ancora la metà, a causa dei roditori o di tutto quel che c’è di imprevedibile nei disegni della Provvidenza. Restavano diecimila querce che sarebbero cresciute in quel posto dove prima non c’era nulla”

Ecco che un uomo che non ha perduto la fede nella natura, dimostra che il fare ha senso, anche se l’uomo è solo. Gli alberelli piantati da Bouffier sono la dimostrazione viva di un’impresa portata avanti dalla forza della speranza. Una speranza che diventa potere, che cammina in mezzo a un villaggio vuoto e terre desolate per farle ritornare verdi, popolose.

L’esperienza di quell’uomo solo racconta ai lettori quanto, malgrado tutto, la condizione umana sia ammirevole e che la  costanza è il primo passo per ottenere un risultato che può assomigliare, dice l’autore a “ un’opera degna di Dio”.

Sotto quest’albero di eucalipto penso alla mia famiglia che, in una situazione di dolore, ha fatto un atto d’amore, e lo ha fatto con un gesto collettivo e per questo ancora più potente. Sembra ieri, ma sono passati anni, già.  Alcune tra le persone di quel gruppo non ci sono più, e invece gli alberi sono diventati un boschetto. Oggi ancora con più coscienza, in questo mondo così ammalato, in mezzo a tutte le mie paure e le mie speranze un po’ più fragili, respiro a pieni polmoni, con le braccia spalancate, e la vista di questi alberi mi riempie gli occhi di una luce gioiosa, di cui ho bisogno, e  il cuore di un sentimento antico che ogni volta si rinnova, quello della gioia e della forza della vita.

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