“Ron – un amico fuori programma” e il sogno dell’amicizia perfetta

by Paola Manno

Appena uscito nelle sale italiane, tra i film più visti della settimana, Ron – un amico fuori programma, pellicola di animazione inglese in CGI, proposto dalla Disney con l’etichetta della divisione 20th Century Studios, ha già conquistato il cuore di migliaia di bambini.

Siamo in un futuro vicinissimo e l’undicenne Barney è l’unico studente della scuola media a non possedere un Bbot, dispositivo di ultimissima generazione che parla e cammina e che, collegandosi ai social dell’utente, acquisisce tutte le informazioni necessarie per diventare il suo miglior amico. Il Bbot sa tutto di te ed è in grado di soddisfare ogni tuo desiderio, ma anche di metterti in contatto con i ragazzi con i tuoi stessi interessi, di inserirti, insomma, nel giro giusto. Il giorno del suo compleanno anche Barney, timidissimo e taciturno, riceve il suo robot ma scopre fin da subito che è mal funzionante: lo squattrinato padre, infatti, lo ha comprato a un prezzo vantaggioso da un magazziniere del famoso negozio di tendenza. Ron, questo il nome del robottino, non può connettersi alla rete e non è dunque in grado di acquisire nell’immediato tutte le informazioni riguardanti il suo proprietario. Ron è diverso dai super accessoriati e artificialmente intelligenti Bbot dei suoi compagni, con le sue competenze “base” e un modo molto buffo di rapportarsi al mondo. Deluso e amareggiato Barney decide di riportarlo in negozio ma scoprirà presto che sarà proprio “il difetto” del suo strampalato robottino il segreto di un’amicizia speciale che, per essere tale, ha bisogno soprattutto di tempo. Ron e Barney, infatti, impareranno a conoscersi giorno dopo giorno, così come succede nella vita reale. Non solo: Barney imparerà a conoscere se stesso, la bellezza del suo essere diverso, imparerà ad accettarsi e a volersi bene. Ron – un amico fuori programma è un film sul valore dell’amicizia ma è anche una critica, non troppo severa in realtà, all’uso spropositato della tecnologia nella costruzione dei rapporti umani. Il visionario inventore dei Bbot è infatti mosso da un nobile sogno, quello di rendere più vicine le persone (è una strizzata d’occhio ai discorsi di Mark Zuckerberg) ma nella pratica al cinico CEO della Bubble Company interessano solo le vendite del prodotto che, naturalmente, hanno cifre da capogiro. Tutto ruota attorno al guadagno sfrenato, intimamente legato alla conoscenza del compratore, tema attualissimo che il film racconta con estrema attenzione. Così la forza del racconto risiede proprio nel personaggio riuscitissimo di Ron che, lontano dall’essere l’amico costruito alla perfezione diventa tuttavia proprio “l’amico perfetto” grazie alle sue caratteristiche molto umane. Barney e Ron vivranno un’avventura meravigliosa che, per alcuni versi, mi ha ricordato la magia di “ET”: nascosti nel deposito degli attrezzi dietro casa, proprio come i due protagonisti del celebre film, troveranno la libertà in mezzo ai boschi, lontani da un mondo che non contempla il rispetto per l’altro. Ron è davvero una sorta di extraterrestre in un mondo di robot tutti uguali dove è un algoritmo a stabilire cosa sia accettabile o prezioso e cosa no. Il messaggio è chiaro, ed è importante non stancarsi di trasmetterlo, ma la realtà e il fascino della tecnologia sono, ahimè, assai più potenti del buonsenso.

Sono uscita dal cinema in preda al delirio dei miei figli che hanno chiesto -per tutta la durata del film- di poter avere, per Natale, un B*bot in regalo, come in fondo tutti, ma davvero tutti gli altri bambini presenti in sala. Per fortuna non sono ancora in produzione.

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