“Una donna” di Sibilla Aleramo e i mille anni privi di amore di tutte le donne del mondo

by Paola Manno

“Un libro, il libro… Ah, non vagheggiavo di scriverlo, no! Ma mi struggevo, certe volte, contemplando nel mio spirito la visione di quel libro che sentivo necessario, di un libro d’amore e di dolore, che fosse straziante e insieme fecondo, inesorabile e pietoso, che mostrasse al mondo intero l’anima femminile moderna (…) Nessuna donna v’era al mondo che avesse sofferto quel ch’io avevo sofferto, che avesse ricevuto dalle cose animate e inanimate gli ammonimenti ch’io avevo ricevuto, e sapesse trarre da ciò la pura essenza, il capolavoro equivalente ad una vita?

Queste parole sono tratte dal romanzo “Una donna”, scritto da Sibilla Aleramo tra il 1901 e il 1904, pubblicato da STEN nel 1906, tradotto in più di 10 lingue, certamente l’opera più celebre di un’autrice, per molti aspetti, controversa. Conosciuta per le numerose, tormentate storie d’amore, tra cui quella con Dino Campana, l’autrice venne definita dal maschio Giuseppe Prezzolini il “lavatoio sessuale della cultura italiana”, perché una donna libera di amare, naturalmente, diventa, agli occhi di molti uomini, un oggetto utile – persino un paradosso intellettuale.

Ma tant’è, Sibilla è diventata eterna e quelli che l’hanno giudicata non li ricorda quasi nessuno.

“Una donna” racconta, in tono autobiografico, la vita di Sibilla, iniziando dall’infanzia libera e gagliarda, un sogno bello. Gli anni della fanciullezza furono per la Aleramo un periodo di intensa felicità, in cui la figura di un padre forte, intraprendente, culturalmente vivace e libero divenne quella di riferimento. I suoi occhi di bambina non vedevano, ancora, il dolore covato in casa, quello di sua madre, che scoprì solo dopo qualche anno attraverso il tentativo di suicidio di quella donna tradita, terribilmente sola.

Fu allora che Sibilla vide nel padre un uomo diverso, quello che aveva un’amante, un’altra casa, ma anche una madre diversa, che come molte donne aveva accettato il peso dell’infelicità e ne era stata schiacciata, rinchiusa in una casa di cura fino alla fine dei suoi giorni. A proposito della madre, scriveva “Povera, povera anima! Non le erano valse la bellezza, la bontà, l’intelligenza. La vita le aveva chiesto della forza: non l’aveva. Amare e sacrificarsi e soccombere! Questo il destino suo e forse di tutte le donne?”.

Le sue riflessioni sul destino delle donne divennero più profonde, anche a causa degli eventi che seguirono e che segnarono profondamente la sua esistenza. A 15 anni subì la violenza di uno degli operai della fabbrica del padre, che sposò subito dopo e con il quale ebbe un figlio, di cui non cita mai il nome, in tutto l’arco del romanzo. Il “bambino” diventa l’unica fonte di gioia, un amore viscerale, profondissimo, sincero. Quel bambino verrà abbandonato dalla madre, eppure tutte le parole, e le riflessioni rinchiuse nelle pagine di “Una donna” sono state scritte per lui.

Un giorno avrà vent’anni. Partirà, allora, alla ventura, a cercare sua madre? Non sentirà allora che le mie braccia si tenderanno a lui nella lontananza, e che lo chiamerò, lo chiamerò per nome? O io forse non sarò più… Non potrò più raccontargli la mia vita, la storia della mia anima… e dirgli che l’ho atteso per tanto tempo! Ed è per questo che scrissi. Le mie parole lo raggiungeranno.

Sibilla scrive a suo figlio perché ha bisogno che lui capisca, che non la giudichi, che possa arrivare, un giorno, a perdonarla. Sibilla era più che mai persuasa che spettasse alla donna la rivendicazione di sé stessa, della propria psiche, composta, sì, d’amore e di maternità e di pietà, ma anche, anche di dignità umana!

Sibilla è una donna diversa, la sua anima ha bisogno di addentare la vita a morsi e di rischiare di soffocare, di avvelenarsi, perché non può fare altrimenti. Per certi versi, è una donna molto sola, alla continua ricerca di altro, sempre tesa al cambiamento. Una donna il cui segreto valore dell’esistenza risiede nei continui “stupori meditativi” che la caratterizzano.
Una donna piena di curiosità, di brillante intelligenza, di amore verso la conoscenza, la riflessione, ma anche temerariamente audace, capace di virare il timone all’improvviso e cambiare rotta, anche a costo di colpire altre navi, di far morire i suoi compagni, di restare sola sulla nave che è la sua vita e di colpire uno scoglio.

Nei ricordi della sua adolescenza, il mare ha un valore preciso “Facendomi cullare dall’onda per ore ed ore sotto il sole ardente, sfidando il pericolo coll’allontanarmi a nuoto dalla riva fino a non esser più visibile, io mi unificavo con la natura e sfogavo insieme l’esuberanza del mio organismo. Ero una persona, una piccola persona libera e forte; lo sentivo, e mi sentivo gonfiare il petto d’una gioia indistinta.

Le parole della Aleramo sono spudoratamente sincere e per questo, io credo, sono state capaci di toccare il cuore di molte donne. Il romanzo riscosse infatti sin dalla pubblicazione un notevole successo. Finalmente una donna si era messa la mano sul cuore, e aveva scritto. Questo scritto, e non le sue avventure amorose, l’hanno messa a nudo -veramente, nel senso più spaventoso e profondo, perché c’è dentro tutto l’orrore di una solitudine che molte conoscono e dei suoi mille anni privi d’amore, e degli altri mille che ha trascorso a colmare questo vuoto.

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