“Volto manifesto” di Lorella Zanardo e Cesare Cantù: il dominio dei social condanna alla perfezione dell’Uguale

by Paola Manno

Pensate ai volti delle persone che incontrate ogni giorno. A quelli familiari di chi vi vive accanto che sembrano sempre gli stessi, che sembra siano eterni, e invece cambiano e un giorno non ci saranno più. Pensate ai volti dei bambini sui quali leggiamo il trascorrere del tempo. Ai volti dei ragazzi e delle ragazze con gli occhi curiosi, attenti o ostinatamente indifferenti perché stanchi di non poter vivere a modo loro, occhi enormi, spalancati, occhi minuscoli azzurri o neri, con le ciglia folte oppure rade, i volti oblunghi, le fronti alte o basse che dietro la convessità nascondono chissà quali pensieri. Sono tutti interessanti i volti degli adolescenti, ma lo sono anche quelli degli anziani.

Pensate al viso di Sophia Loren sul palco del David di Donatello mentre pronuncia “Questo sarà forse il mio ultimo film”: è di un’intensità che fa rabbrividire. Pensate al volto di Enrique Irazoqui, il Cristo di Pasolini, che trasmette un fiume di emozioni contrastanti come nessun altro Cristo coi capelli lunghi e gli occhi azzurri -sono quasi tutti così.

Quel volto appare, insieme a molti altri, nel nuovo lavoro di Lorella Zanardo e Cesare Cantù, autori dell’importante “Il corpo delle donne”, documentario uscito nel 2009 e visto da oltre 12 milioni di persone online, dal titolo “Volto manifesto”. Ho assistito alla proiezione dell’opera che, contrariamente alla prima, non è stata resa pubblica perché, secondo Zanardo “ha bisogno di essere accompagnata”. “Volto manifesto” ha avuto infatti una distribuzione festivaliera e si propone oggi alla visione nelle scuole e in tutti quei luoghi dove sarà possibile discuterne dopo la visione. Scelta che comprendo appieno e che ne protegge, inoltre, il valore. È necessario parlare di immagini, ma è doveroso farlo con estrema attenzione perché, sostiene l’autrice, “dietro tutto questo spesso c’è un profondo dolore” che tocca in particolar modo le fasce più giovani della popolazione di tutto il mondo. Il dominio dei social è la grande prigione d’oro nella quale gli adolescenti oggi vivono, si confrontano, si raccontano. Le app permettono di correggere difetti, cancellare rughe, aggiungere sorrisi tutti uguali, le stesse ciglia o labbra. Milioni di ragazzini e soprattutto ragazzine si ispirano agli stessi modelli. Chi si sottopone a interventi chirurgici, sempre più spesso vuole assomigliare ad un avatar perfetto, con lineamenti definiti. Fa impressione veder scorrere le immagini di giovani donne che attraverso ritocchi diventano tutte uguali. Le foto sulle riviste di moda, le immagini su Instagram mostrano una femminilità che ha delle regole precise: enormi occhi da cerbiatta, bocche ammiccanti, nasi regolari. Pare non esistano altri modelli, pare che il diverso diventi un’eccezione e non più la base di una società sempre più multietnica.

“Cosa stiamo perdendo attraverso la cancellazione dei nostri volti?” si chiede Lorella Zanardo che da anni lavora per alzare il livello di consapevolezza su tematiche importanti quali la rappresentazione del corpo femminile nei media e i diritti, in particolar modo, delle donne. Volti artificiali e volti reali si alternano in primi piani attraverso un montaggio efficace mentre la voce fuori campo si chiede “vero?” “falso?” e poi afferma “vero!” oppure “falso!” così da mostrare quanto il confine tra l’inganno e la vita vera stia diventando sempre più labile. Fa pensare a “Per ultimo il cuore”, la spietata riflessione di Margaret Atwood sui limiti alla libertà.

Più che a una critica, il film è infatti un invito a osservare con occhi “nuovi” le immagini che ci bombardano e a considerare altri canoni, altre forme di bellezza. “Il volto è l’immagine dell’anima” è l’epigrafe di Cicerone che apre la narrazione: l’anima, la cui definizione è difficile e dibattuta ma che credo assomigli molto all’aspirazione alla completezza.

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