Doris Duranti, l’orchidea nera dall’erotismo violento e provocatorio, tramutato in orgoglio razziale dalla propaganda fascista

by Anna Maria Giannone

Doris Duranti nacque a Livorno nel 1917 in una famiglia benestante di origine ebrea, da un padre anarchico e una madre tradizionalista che sognava per la figlia un conveniente matrimonio borghese. Suo fratello, più grande di lei di vent’anni, alla morte del padre si occupò della sua educazione e la iscrisse al Magistero.

Era una bella ragazza bruna e sensuale amava il cinema e il teatro, odiava il mondo borghese e le sue convenzioni ed è per questo che a 15 anni scappò di casa “per non essere costretta a sposare il solito ufficiale di marina” (come lei stessa affermò in seguito in un’intervista).

L’episodio che fece scattare la scintilla nella giovane Doris fu l’arrivo di Josephine Baker a Livorno. Per assistere allo spettacolo rubò i soldi alla madre e sebbene quello della Baker non fosse propriamente il suo genere musicale, Doris capì che il suo destino era il palcoscenico. Decise di mandare alcune foto alla Cines e viene subito notata.

Per partire, rubò dei soldi a una vecchia zia scassinando un cassetto con un ferro da calza, salutò sua madre dicendole che sarebbe andata in chiesa a fare la comunione e invece salì sul primo treno diretto a Roma. Il giorno dopo si presentò da Besozzi a Cinecittà e cominciò la sua avventura di attrice.

Doris si specializza in ruoli di donna fatale e selvaggia come la Lola di “Cavalleria rusticana” di Palermi (1939) ma raggiunge la notorietà con “Sentinelle in bronzo” di Marcellini (1937).

Tra i suoi primi film ricordiamo “Amazzoni bianche” con Ezio D’Errico e “Aldebaran” con Blasetti che provocano la reazione scandalizzata della sua famiglia che si vergogna di avere una figlia attrice. Invano suo fratello prova a imporle di cambiare nome. “Mio padre me l’ha dato e io me lo tengo”, risponde decisa e per niente intimorita.

Doris divenne una delle attrici più richieste, fino ad arrivare al 1942 al film “Carmela” ricordato anche per la scena in piedi a seno nudo che scatenò la rivalità con Clara Calamai che l’aveva già esibito nel film “La cena delle beffe” del 1941, ma distesa e per meno di un secondo.

Molti critici hanno messo in evidenza che l’erotismo violento e provocatorio che troviamo in queste scene di nudo e lo status di queste attrici come dive preferite dal regime indicano una fascinazione per la carnalità come idea derivata da uno dei luoghi comuni di ideologia fascista, l’orgoglio razziale.

Basato su un principio di magnetismo esotico, e in chiaro contrappunto alla dolce bellezza dei loro contemporanei, le dive razziali del regime stabilirono una marginalità trasgressiva di fluidità criniere, seni scoperti e gambe provocanti.

Doris non ha molti amici nel mondo del cinema, guadagna due milioni a film ma spende molto perché fa una vita da aristocratica a contatto con il bel mondo di Roma e ha bisogno di mantenere le apparenze.

Meglio bere acqua in un bicchiere dorato che champagne in un boccale di stagno”, sostiene.

Accetta il fascismo e conosce tra i fascisti persone che frequenta volentieri, tra questi Alessandro Pavolini un intellettuale, un uomo che lei definisce “intelligente, dolce e disinteressato” che conosce a Livorno durante la lavorazione de “Il re si diverte.

Pavolini era un fascista della prima ora sin dai Fasci di Combattimento e dalla Marcia su Roma, amico di Galeazzo Ciano, livornese pure lui, che fece carriera giornalistica e politica fino a diventare deputato nel 1934. Sempre occupandosi di giornalismo fu corrispondente di guerra in Eritrea e nel 1939 divenne Ministro della Cultura Popolare, fino a quando nel 1943 divenne direttore de “Il Messaggero”, pur continuando attivamente ad occuparsi di politica e restando una delle personalità più in vista del fascismo.

Ne Il re si diverte Doris gira la famosa scena della danza dei sette veli, per i tempi molto spinta, forse proprio una delle cose che fa innamorare Pavolini. Alessandro e Doris cominciano a frequentare il salotto di casa Ciano, che lei definisce “un uomo raffinato quando dimentica di essere stato un pescivendolo”, poi rientrano a Roma e consolidano il loro rapporto.

I due innamorati si incontrano tutte le sere a casa di Doris, sul Lungotevere Flaminio, e passano ogni notte insieme. Mussolini era inizialmente molto preoccupato per questo amore proibito del gerarca responsabile della cultura e avrebbe voluto troncare la loro relazione. “Farei qualsiasi cosa per non rinunciare a lei”, rispose Pavolini. E il duce non insistette.

Mussolini stesso resta affascinato dalla bellezza di Doris Duranti dopo aver visto la famosa scena dei sette veli e comprende le debolezze del gerarca.

L’amore tra Doris Duranti e Alessandro Pavolini aiuta a far passare in censura alcuni film un po’ troppo spinti interpretati dalla bella attrice. La Duranti però non sta con Pavolini per interesse, secondo quello che l’attrice sostiene in periodi non sospetti, lui non fa regali perché non è ricco, il solo dono ricorrente sono le orchidee bianche per Natale.

Doris resta al suo fianco fino in fondo, pure quando sarebbe più comodo mollare tutto e scappare.

Ma l’amore giunge a un bivio con la caduta del fascismo.

E’ il 25 luglio del 1943. La sera stessa il compagno telefona: “È tutto finito. Ti chiamerò quando posso. Addio”, sono le parole preoccupate. Pavolini è in fuga, Duranti resta sola in balia di chi non le perdona l’amore per un fascista e la polizia perquisisce la sua casa romana.

Per giorni i due innamorati non si vedono, poi una intermediaria telefona a Doris per chiederle denaro per far espatriare Pavolini in Germania. L’attrice, per salvare il suo uomo, cede un braccialetto composto da trentadue sterline d’oro e lo fa consegnare a un incaricato che attende presso l’Hotel Ambasciatori. Pavolini parte per la Germania e si mette in salvo solo grazie a lei che un bel giorno sente la sua voce alla radio affermare: “Torneremo presto”.

A Doris non interessa la sorte del fascismo, tiene solo al suo uomo, che ama come il primo giorno. Una mattina in casa sua squilla il telefono e all’altro capo del filo c’è proprio lui, l’amore della sua vita che è tornato a Roma.

Pavolini è arrivato nella capitale dopo l’8 settembre grazie all’aiuto dei tedeschi e, come segretario del partito, riprende possesso di Roma a nome della Repubblica Sociale. Pavolini diventa l’uomo più odiato da antifascisti e partigiani, il simbolo del regime che non vuol cadere e che si appoggia all’invasore tedesco. Il gerarca va al nord e Doris lo segue prima a Lucca, poi a Firenze infine a Milano dove passa con lui i suoi ultimi giorni.

Per la Duranti questo periodo di un anno e mezzo trascorso al nord con Pavolini rappresenta un momento di grandi problemi. Il cognome Duranti è ebreo, le SS la arrestano scambiando tre nei sulla sua spalla per i segni inequivocabili della sua appartenenza alla religione ebraica. Doris nega e chiede di chiamare Pavolini, ma finisce lo stesso in cella a Santa Verdiana insieme a venti ebrei disperati.

Pavolini interviene, risolve l’equivoco e la fa liberare. Successivamente le SS la scortano a Venezia, dove si tenta di far rinascere il cinema fascista, per interpretare una pellicola che non verrà mai ultimata.

Doris si sposta da Venezia a Milano, sotto i bombardamenti. Pavolini viene ferito a Maderno e lei vuole stargli accanto anche durante la fuga in Valtellina. Lei è a Como quando viene a sapere di essere nella lista nera e che i partigiani la stanno cercando per eliminarla. La bella attrice allora prende contatto con un uomo di cinema svizzero che le organizza la fuga quattro giorni prima della cattura di Mussolini e della sua fucilazione. 

Pavolini e Mussolini vengono catturati dai partigiani mentre tentano anche loro di fuggire verso la Svizzera, quindi sono fucilati e appesi a piazzale Loreto. Doris Duranti vede il suo amante pochi giorni prima che accada l’irreparabile e ottiene un passaporto falso con il nome di Dora Pratesi.

Il merito è del suo amico svizzero che per diecimila dollari la fa espatriare e ricoverare in una clinica del suo paese. Sono diciotto ore di marcia per passare il confine insieme a uno zio malato di cuore, il viaggio è lungo e sfiancante ma alla fine ce la fanno e alle tre del mattino si trovano a Lugano.

La bella orchidea nera viene ricoverata nella clinica Moncucco dove un infermiere la riconosce come la famosa attrice amante del gerarca. La polizia svizzera arresta sia lei che lo zio e per la bella Doris è ancora una volta galera, mentre dall’Italia giungono le notizie delle fucilazioni partigiane. La polizia svizzera si prepara a far espatriare l’attrice e allora lei si taglia le vene, non sappiamo se per la disperazione quando apprende della morte di Alessandro oppure per tentare il tutto per tutto per non essere espatriata.

Doris viene internata in manicomio. Il capitano della polizia svizzera, Luciano Pagani, si innamora di lei e insieme organizzano una vera e propria messinscena con una finta estradizione in Italia, ma alla fine la Duranti viene di nuovo accolta in territorio svizzero. Pochi giorni dopo l’attrice si unisce in matrimonio con il capitano Pagani, solo per diventare cittadina svizzera e non avere più fastidi dal nuovo governo italiano.

I due si sposano in gran segreto, a Campione d’Italia, con le pubblicazioni affisse solo per poco tempo e la Duranti si presenta in chiesa dopo essersi nascosta nel bagagliaio di un auto avvolta in un tappeto. Doris non ama né quel noioso marito svizzero, né quella terra troppo ordinata e precisa che definisce “tutta formaggi e orologi”, si diverte a contraddire il marito preciso e conformista persino sull’ora che segna il suo orologio.

Il matrimonio d’interesse dura solo un anno, pure se lei serba eterna riconoscenza a quell’uomo. Luciano Pagani non vorrebbe concedere il divorzio ma alla fine si piega al volere della bella attrice che gli dice: “Tu nel 1945 mi hai salvato la vita, ma io ho pagato la mia testa con un’altra cosa. Uno come te non avrebbe mai potuto sperare di portare a letto Doris Duranti”.

L’orchidea nera fugge in America, ha una breve relazione con Mario Ferretti, poi la troviamo in Argentina, Venezuela, Cuba e infine Santo Domingo, dove si lascia andare ai malinconici ricordi di una vita da star.

Nel dopoguerra torna sporadicamente sul grande schermo ma non ottiene il successo di un tempo, sostiene di vivere bene ai tropici, pure se di tanto in tanto torna a Roma dove c’è sempre qualcuno che si ricorda di lei.

Doris Duranti in una delle sue ultime interviste rilasciate alla stampa italiana sostiene che Roma è troppo cambiata e che lei non ce la farebbe più a vivere in una città così diversa da come l’ha lasciata. Nel 1995 l’ex orchidea nera si spegne per sempre a Santo Domingo.

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