Nome in codice Jolanta: il coraggio di Irena Sendler, l’infermiera polacca che salvò 2500 bambini dal Ghetto di Varsavia

by Anna Maria Giannone

La storia di Irena Sendler è rimasta nell’oblio per oltre 50 anni, scoperta per caso da un gruppo di studenti americani. Ma è una di quelle storie potenti di coraggio e solidarietà che non deve essere dimenticata.

Irena Kryzanowska nasce nel 1910 a Varsavia e fin dalla nascita entra in contatto con la comunità ebraica della città. Suo padre infatti è un medico che cura gli ebrei di Varsavia soprattutto le famiglie indigenti, al contrario di molti colleghi che si rifiutano di farlo. Quando scoppia un’epidemia di tifo, il padre di Irena contrae la malattia e muore. All’epoca Irena ha sette anni e alcuni amici ebrei riconoscenti si offrono di pagare i suoi studi.

Pur avendolo conosciuto per pochi anni, ereditò dal padre il coraggio e i valori che la spinsero a salvare migliaia di vite umane. Irena è cattolica, socialista, libera, emancipata e ha ben impresse nella mente e nel cuore le parole di suo padre: ”Se vedi qualcuno annegare, devi tendergli la mano”. 

Sentiva talmente forte il senso di giustizia e di uguaglianza tra le persone, che, all’Università si oppose alla ghettizzazione degli studenti ebrei, motivo per cui venne sospesa per tre anni.

Nel 1939 è infermiera e lavora nei servizi sociali. Grazie al suo lavoro riesce ad ottenere un permesso per entrare e uscire dal Ghetto dove vivono ammassati in condizioni disumane quasi mezzo milione di ebrei.

Inizia da subito a darsi da fare per aiutare i suoi amici ebrei e riesce a procurarsi circa tremila passaporti. Ma il suo obiettivo è quello di mettere in salvo i bambini. Così contatta i genitori dei piccoli e, non senza enormi difficoltà, li convince ad affidarglieli.

Nel 1942 entrò nella Resistenzapolacca e diventa membro di Żegota (alias Konrad Żegota Committee, il Consiglio per l’aiuto agli ebrei), il suo nome di battaglia era Jolanta.

Żegota fu creato nell’autunno del 1942, dopo che 280.000 ebrei furono deportati da Varsavia a Treblinka. Quando iniziò a funzionare verso la fine dell’anno, la maggior parte degli ebrei di Varsavia era stata uccisa. Ma svolse un ruolo cruciale nel salvataggio di un gran numero di sopravvissuti alle massicce deportazioni. L’organizzazione si prese cura di migliaia di ebrei che cercavano di sopravvivere nascondendosi, cercando nascondigli e pagando il mantenimento e le cure mediche.

Nel settembre 1943, quattro mesi dopo la completa distruzione del ghetto di Varsavia, Sendler fu nominato direttore del Dipartimento per la cura dei bambini ebrei di Zegota.

Sfruttando il suo lavoro di dipendente dei servizi sociali ottiene un permesso speciale per entrare nel ghetto alla ricerca di eventuali sintomi di tifo.

In questo modo organizzò l’incredibile fuga dei bambini servendosi di qualunque sotterfugio a disposizione.

Jolanta iniziò salvando gli orfani ebrei. Aveva diversi modi per farli uscire dal ghetto: alcuni venivano portati in casse o sacchi di patate; altri in ambulanza o attraverso tunnel sotterranei. Altri ancora li fece fuggire servendosi di un muro nella parte ebraica del ghetto confinante con una chiesa cattolica. Molti bambini venivano addormentati col sonnifero e fatti passare per morti di tifo, i neonati venivano infilati nei cassoni dei motocarri e quelli più grandicelli dentro sacchi di juta o scatoloni. O li portava via in ambulanza dicendo che erano malati di tifo motivo per cui le guardie non si avvicinavano.

A volte si spacciava per un’addetta alle fognature entrando nel ghetto con un furgone in cui li nascondeva dappertutto. Nel retro del veicolo teneva un cane addestrato a abbaiare quando i soldati nazisti si avvicinavano.

Sebbene non potesse garantire la sopravvivenza dei bambini, poteva dire ai genitori che i loro figli avrebbero almeno avuto una possibilità. 

Una volta fuori, forniva loro falsi documenti con nomi cristiani e li affidava a famiglie o a strutture religiose.

Irena compilava degli elenchi coi nomi veri e falsi dei bambini riportando anche i nomi dei genitori veri e di quelli adottivi e infilava gli elenchi dentro bottiglie e vasetti di marmellata sotterrati nel giardino di un’amica fidatissima.

Jolanta sperava così che alla fine della guerra, i bambini sarebbero potuti tornare con facilità alla loro vera identità.

In un anno e mezzo riuscì a portare fuori dal ghetto oltre 2500 bambini.

Quando i nazisti si accorsero delle sue azioni, la arrestarono, nell’ottobre del 1943. Fu interrogata e torturata ma non parlò mai. 

Le spezzarono le gambe, tanto che rimase inferma a vitaCondannata a morte, venne salvata dalla rete della resistenza polacca che riuscì a corrompere con denaro i soldati tedeschi che avrebbero dovuto condurla all’esecuzione. Il suo nome venne così registrato insieme a quello delle persone giustiziate, e per il resto della guerra visse nell’anonimato.

Quando l’occupazione finì, le generalità dei bambini furono consegnate al Comitato di assistenza per gli ebrei sopravvissuti, che ne rintracciò circa 2.000, anche se gran parte delle loro famiglie erano state sterminate nei lager. Dei 450.000 ebrei che vivevano nel Ghetto, soltanto 1000 ritorneranno dai lager, per cui la maggior dei bambini non poté ricongiungersi  alla propria famiglia.

Era una donna discreta e silenziosa, non aveva mai raccontato a nessuno le sue gesta. Dopo decenni di vita anonima, quando venne pubblicata una sua foto sui giornali, in molti la riconobbero come l’infermiera che li aveva salvati.

La storia di Irena e dei bambini salvati è rimasta sepolta per quasi 50 anni finché nel 1999 nel Kansas  un professore di storia, Norman Conrad, fa leggere a quattro sue studentesse quindicenni un articolo che parla di una donna polacca che aveva salvato 2500 bambini ebrei. Le ragazze si appassionano alla storia e ne fanno uno spettacolo intitolato “Life in a jar” (La vita in un barattolo), un libro e un DVD. Spediscono il copione a Irena e, nel 2001, volano a Varsavia per incontrarla.

Nel 2003, papa Giovanni Paolo II le inviò una lettera personale lodandola per i suoi sforzi durante la guerra.

Il 10 ottobre 2003 è stata nominata Dama dell’Ordine dell’Aquila Bianca, la più importante onorificenza Polacca.

Nel 2006 l’Associazione “I figli dell’olocausto” dà vita al premio “Irena Sendler” per aver reso il mondo migliore.

Nel 2007 è stata candidata al Premio Nobel per la Pace.

Nel 2007 il Senato della Repubblica della Polonia votò per proclamarla eroina nazionale. Venne invitata all’atto di omaggio ma era molto anziana e non  fu in grado di lasciare la casa di riposo. Mandò una sua dichiarazione

«Ogni bambino che ho salvato è la giustificazione della mia esistenza su questa terra e non un titolo di gloria»

Mai avrebbe pensato di ricevere un riconoscimento per il suo altruismo. Per lei era semplicemente necessario aiutare gli altri.

È morta il 12 maggio 2008, all’età di 98 anni.

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