Antonietta Raphaël Mafai, l’artista straniera “di passaggio”, che diede calore alle tonalità della Scuola Romana

by Caterina Del Grande

Antonietta Raphaël nel 1924 lasciava Londra per arrivare a Parigi e poi, dalla Costa Azzurra, puntare dritta verso Roma. Nella valigia aveva gli echi del mondo russo e ortodosso con cui aveva tagliato ogni ponte, un violino avvolto in un tappeto berbero, la prima edizione dell’Ulisse di Joyce e, in un telo di lino, la ‘Hanukkiah, eredità della forte spiritualità ebraica.

Non aveva nulla di femminile, con il suo taglio corto e la gonna abolita dai suoi outfit. Era una rivoluzionaria controcorrente.

Dipingeva e scolpiva come un uomo e meglio di un uomo.

Antonietta Raphaël, di origine lituana, giunta a Roma nel 1924, rappresentava con il suo temperamento e la sua cultura un legame diretto con l’esperienza europea che era già stata di Amedeo Modigliani, ossia quella pittura intensamente espressiva ed emotiva degli artisti emigrati a Parigi dell’Est europeo. L’incontro e l’unione privata e sentimentale con Mario Mafai portarono i due artisti a lavorare, con accenti diversi, su tematiche e con intenti comuni, in una pittura istintiva che ferma l’immediatezza del segno e nella tonalità calda del colore l’emozione suscitata da un volto o da un gesto, dell’atteggiarsi del corpo, dalla visione rapida di uno scorcio di Roma. Antonietta Raphaël fu anche scultrice di grandi capacità: volti giovanili, ritratti, nudi si impongono con forza ed essenzialità plastica e vivono- fuori da ogni intellettualistico riferimento arcaicizzante- di una calda, carnale vitalità.

«Fiera, solare, salutista, senza un filo di trucco, i piedi nudi nei sandali anche in pieno inverno, un’ingenua assetata di vita quando in quegli anni era di moda mostrarsi “scettici”, annoiati di tutto», la descriveva il compagno di una vita Mafai.

Il loro incontro fu casuale, la “straniera di passaggio”, come ella stessa si definiva, portò fuori il timido e riservato Mario dal mondo piccolo borghese dal quale la famiglia contadina cercava di emanciparsi. Senza Antonietta, Mafai avrebbe continuato a dipingere il quotidiano minuscolo, senza la pennellata che poi sarà simbolo e segno della scuola romana.

È lei che quasi concepisce la scuola romana, fatta di tonalità calde, colori pastosi, volti aperti.

«Ogni dipinto della Raphaël è uno specchio sul quale la pittrice si china per vederci riflessa la propria immagine», scriveva nel 1970 Alberto Moravia.

Come racconta l’Enciclopedia delle donne, nel 1928 Antonietta e Mario, che hanno già avuto la prima figlia Miriam, vanno a vivere in un appartamento di via Cavour. Sono anni felici per la vita privata (qui nascono anche Simona e Giulia), per la produzione artistica (è di questi anni il sodalizio artistico di Raphael e Mafai anche con Scipione che diede vita a quello che fu chiamato da Roberto Longhi Scuola di via Cavour) e per le prime apparizioni pubbliche.

Nel 1938, in seguito ai “provvedimenti per la difesa della razza italiana“, che negano agli ebrei impieghi pubblici e l’insegnamento, per la famiglia Raphaël Mafai sono tempi duri. Antonietta ha origini ebraiche e si rifugia prima in campagna vicino a Forte dei Marmi e poi a Genova dai collezionisti Emilio Jesi e Alberto della Ragione. La scultrice vive appartata e lavora intensamente. Non perde però il suo grande ottimismo, l’amore per il genere umano. Alla fine della guerra, nel 1945, Antonietta torna a Genova dove rimane fino al 1950, anno in cui torna definitivamente a Roma.

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