Caterina Sforza Riario, la donna coraggiosa e predisposta al comando che influenzò il Rinascimento italiano

by Michela Conoscitore

Bella, risoluta e letale. Geneticamente predisposta al comando, donna Caterina Sforza Riario fu uno dei personaggi storici che più influirono sulle vicende politiche e belliche nel corso del Rinascimento in Italia. Eppure, di lei nei secoli si sono quasi perse le tracce. Si impose nello scenario politico della Penisola facendo ricorso alla forza, e questo in molti non glielo perdonarono. Ciò non deve stupire, perché come tutte le donne di potere, in un’epoca in cui a contare era unicamente la volontà maschile, si preferì dimenticare Caterina, mettere a tacere i numerosi racconti sulle sue gesta e sul coraggio che la contraddistinse, e che fece onore al sangue che le scorreva nelle vene.

Caterina era figlia di Galeazzo Maria Sforza, discendente di valorosi capitani di ventura da parte di padre e dai Visconti di Milano per parte di madre, e della sua bellissima amante Lucrezia Landriani, sposa di uno dei suoi più fidati consiglieri. La coppia ebbe quattro figli, tra cui Caterina, che inizialmente crebbero lontani dalla corte meneghina. Dopo il matrimonio del padre con Bona di Savoia, Caterina e i suoi fratelli si trasferirono a corte con la madre, il padre li riconobbe e furono affidati alle cure dell’illuminata nonna Bianca Maria Visconti. L’atmosfera famigliare era ottimale per quanto fosse una famiglia più che clandestina, quantomeno allargata: Bona amò come fossero suoi i figli che il marito Galeazzo aveva avuto prima del loro matrimonio, e soprattutto con Caterina intrattenne uno stretto rapporto confidenziale, che proseguì nelle lettere che le due donne si scrissero, quando la giovane Sforza lasciò Milano.

Caterina fu forgiata dagli illustri esempi che la sua famiglia vantava nel proprio passato glorioso, assorbì il clima intellettualmente florido della corte sforzesca e ne ricavò cibo per la mente. Inoltre, la nonna Visconti seppe educare lei e i suoi fratelli all’arte della diplomazia, trasformando dei figli illegittimi in degli avveduti rampolli. D’altronde, il Rinascimento a dispetto del nome che contraddistingue principalmente l’ambito artistico, fu un periodo abbastanza turbolento interessato da stravolgimenti, tradimenti, vendette e conquiste. Educare i piccoli di una dinastia, quindi, diventava una questione di sopravvivenza. Caterina fece tesoro di tutti gli insegnamenti appresi alla corte di Milano, e poi giunse il suo momento.

Nel 1473, Caterina fu promessa in matrimonio a Girolamo Riario, nipote del pontefice Sisto IV della Rovere. Inizialmente era promessa al nipote del papa la cugina di Caterina, l’undicenne Costanza, ma la madre Gabriella Gonzaga aveva posto come condizione che il matrimonio fosse consumato al compimento dei tredici anni. Il trentenne Girolamo non accettò simile richiesta, così Caterina, allora di dieci anni, prese il suo posto. Nessuna fonte ha mai confermato che alla giovane Sforza fosse stata concessa una dilazione sulla consumazione del matrimonio, lo sposo non era propenso all’attendere. Infatti, nei confronti di Girolamo, Caterina nutrì sempre disprezzo e rancore per il suo carattere pavido e poco incline al governo, e forse anche per averla costretta ad unione carnale ad appena dieci anni. La famiglia Sforza, conscia di non poter andare contro il volere del pontefice, dovette piegarsi e soprassedere in merito.

Girolamo, da anni ormai, era al servizio dello zio pontefice che aveva riservato per lui la signoria di Imola. Così, il giovane faceva la spola tra Roma, dove era uno dei condottieri dell’esercito papale, e i suoi possedimenti in Romagna. Nel 1477, Caterina fece il suo ingresso trionfale in città anche se la vita della coppia si svolgeva principalmente presso la corte pontificia. Alla morte del fratello, il cardinale Pietro Riario, a Girolamo spettò anche la signoria vacante di Forlì. Una mossa del pontefice per danneggiare i Medici di Firenze e gli Orderlaffi, ex signori forlivesi. Girolamo e Caterina si insediarono nella loro nuova signoria, diminuirono enormemente il peso contributivo sulla popolazione e si dedicarono alle opere pubbliche come il completamento della rocca di Ravaldino, ciò per conquistare i cittadini di Forlì. Questi tentativi di captatio benevolentiae, tuttavia, fallirono miseramente perché dalla nomina di Girolamo fino al 1482 furono tre le congiure che tentarono di sottrarre Forlì e Imola al controllo dei Riario. Dietro gli Ordelaffi che erano pronti a tutto pur di riconquistare i propri possedimenti, si muovevano altre personalità che, nell’ombra, studiavano le loro mosse nello scacchiere italico, ora per nuocere al pontefice, ora per difendersi. Tra questi, figuravano i Medici. Caterina e Girolamo, intanto, erano al servizio del papa per intessere alleanze, tra queste quella più importante era con la Serenissima: Sisto IV voleva Venezia accanto a sé per sconfiggere gli Este di Ferrara. I Riario – Sforza furono accolti benissimo al loro arrivo in Laguna, ma non ottennero l’appoggio del Doge.

Venezia decise di attaccare in solitaria i ricchi possedimenti estensi, mettendo così in moto una serie di dinamiche che ribaltarono la situazione politica italiana tanto da far scatenare una guerra civile a Roma quando gli Aragonesi di Napoli provarono ad attraversare lo stato pontificio per soccorrere gli Este. In questo frangente, Girolamo diede prova della propria inettitudine in battaglia tanto da spingere il pontefice a chiedere aiuto al condottiero Roberto Malatesta, che sovvertì le sorti della battaglia a vantaggio del papa. Nel frattempo, a Roma, Caterina fu vista pregare per la buona sorte dei Riario.

Nell’agosto del 1484, le fortune degli stati italiani erano cambiate nuovamente ma uno stravolgimento ancora più preoccupante stava per abbattersi su Caterina: il pontefice morì nella notte tra il 12 e il 13 agosto, e i Riario si trovarono indifesi. Mentre il marito temporeggiava, Caterina decise di agire non smentendo l’ardimento che contraddistingueva la sua famiglia d’origine: all’ottavo mese di gravidanza, si diresse con alcuni uomini verso Castel Sant’Angelo, una volta giunta lì occupò la fortezza a nome del marito. La nobildonna chiedeva un conclave equo, che eleggesse un pontefice benevolo verso la sua famiglia. Non contenta, Caterina rivolse i cannoni di Castel Sant’Angelo verso il Vaticano, attendendo di negoziare e impedendo di fatto l’inizio del conclave. L’azione coraggiosa di Caterina, dopo tredici giorni di asserragliamento nella fortezza, fu interrotta dallo stesso Girolamo che preferì trattare con gli alti prelati. La coppia tornò nei propri possedimenti romagnoli, ma di fatto vi furono confinati e il ruolo a Roma di Girolamo fu ridimensionato. Nell’ottobre del 1484 nacque il primogenito di Caterina e Girolamo, e nel frattempo i tentativi di rovesciare i Riario non terminavano. Nella congiura del 1486, con Girolamo convalescente da una malattia, fu Caterina ad interrogare personalmente i congiurati per cui scelse squartamento e impiccagione.

Tuttavia, l’ultima in ordine di tempo, nel 1488 fu mortale per Girolamo. La congiura degli Orsi mise fine alla sua vita e lasciò Caterina con i sei figli totalmente vulnerabile. Alla donna, comunque, non mancò l’appoggio degli Sforza. Con l’inganno, Caterina riuscì a rifugiarsi presso la rocca di Ravaldino per raggiungere il castellano, Tommaso Feo, segretamente suo alleato all’insaputa della famiglia Orsi. La donna dovette separarsi dai figli, dalla sorella e la madre che erano con lei pur di attuare il piano che aveva in mente: doveva guadagnare tempo, in attesa degli aiuti da Milano, così giocò con gli Orsi facendo credere loro di trovare una soluzione con Feo e stipulare un accordo. Quando i congiurati compresero l’inganno, tornarono alla rocca e minacciarono Caterina di ucciderle i figli. Quel che lei fece, in risposta, è avvolto nella leggenda poiché si racconta che di fronte alla minaccia, Caterina dalle merlature della rocca, ben visibile, alzò la pesante gonna dell’abito e, nuda, dalla vita in giù, gridò agli Orsi: “Fatelo, se volete: impiccateli pure davanti a me” e indicandosi i genitali continuò “qui ho quanto basta per farne altri!”. Gli Orsi, esterrefatti dall’audacia della donna, non osarono toccarle i figli. In seguito, l’esercito sforzesco giunse a liberare Caterina, e con il supporto milanese la nobildonna governò su Forlì e Imola per conto del primogenito Ottaviano. La contessa si occupava personalmente di ogni questione di Stato, perfino dell’addestramento delle proprie milizie. Caterina desiderava soltanto concordia e pace per sé e i suoi sudditi. Tra il governo e la famiglia, Caterina aveva tempo anche per dedicarsi ad una sua grande passione, l’alchimia. A palazzo aveva proprio una stanza, con alambicchi ed erbe essiccate, dove inventava ritrovati e pozioni. Di lei ci è giunto il Liber de experimentiis Catherinae Sfortiae, una raccolta di ricette per la bellezza di corpo e capelli, celebre quella a base di cardi. Anche se in molti affermavano che Caterina fosse infallibile anche nella preparazione di potenti veleni.

Con la discesa di Carlo VIII di Francia in Italia, interessato a rivendicare per sé il Regno di Napoli, la morte di Lorenzo il Magnifico a Firenze e l’elezione al soglio pontificio di Alessandro VI Borgia, per Caterina divenne sempre più difficile destreggiarsi nei miasmi del potere. Poco più che trentenne, la donna si innamorò, forse per la prima volta. Il prescelto fu Giacomo Feo, fratello ventenne del castellano Tommaso. La coppia si sposò segretamente, per evitare ritorsioni visto che Caterina era ancora reggente per il figlio, e alla notizia di un suo matrimonio avrebbe perso l’incarico. Per un breve periodo riuscirono a tenere segreta la relazione, ma nel 1495 una congiura uccise brutalmente il giovane Giacomo, reo di aver guadagnato troppo potere alla corte forlivese. La crudele uccisione annebbiò la mente della contessa, scatenandone la furia omicida. Una volta apprese le identità dei congiurati, non soltanto li uccise ma ne eliminò anche mogli, figli neonati e genitori.

Un anno dopo la morte di Giacomo, giunse alla corte forlivese l’ambasciatore della Repubblica di Firenze, Giovanni de’ Medici. Appartenente al ramo cadetto della famiglia, la vicinanza di Giovanni aiutò Caterina, recuperò le energie perdute, e tornò a vivere. Con l’appoggio di Ludovico il Moro, la nobildonna sposò il Medici. Poco tempo dopo, venne al mondo l’unico figlio della coppia, Ludovico, che passerà alla storia come il capitano di ventura Giovanni dalle Bande Nere. Dall’unione di Giovanni con Maria Salviati, figlia di Lucrezia de’ Medici appartenente al ramo nobile della famiglia, nascerà Cosimo I de’ Medici, primo granduca di Toscana. Quindi fu Caterina a dare vita alla stirpe granducale toscana che si estinguerà nel Settecento con un’altra donna, Anna Maria Luisa de’ Medici.

Dopo l’improvvisa morte per malattia del terzo marito Giovanni, gli ultimi stravolgimenti politici che interessarono la vita di Caterina le fecero guadagnare l’appellativo di ‘tygre’. Come un felino, infatti, aveva saputo essere guardinga e fiera. Ciò, almeno fino alla venuta di Cesare Borgia detto il Valentino che, d’accordo col padre pontefice, riuscì forzatamente ad addomesticare la tigre di Romagna.

Dopo una dura prigionia di sei mesi a Castel Sant’Angelo che lei stessa, anni prima, aveva valorosamente conquistato, Caterina si rifugiò a Firenze. Nel 1509 si ammalò di polmonite, da cui apparentemente sembrava essersi ripresa ma, a maggio si aggravò nuovamente e spirò. Sul letto di morte, le sue ultime parole furono rivolte ad un frate che raccolse la sua confessione e a cui disse: “Se io potessi scrivere tutto [della mia vita], farei stupire il mondo.

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