Alda Merini, una fanciulla piena di poesia e “coperta di lacrime salate”

by Michela Conoscitore

In una delle sue innumerevoli poesie, si definì una “piccola ape furibonda”, operosa, sempre presa da mille pensieri che le affollavano le giornate, rapita dalla poesia che la ispirava come in un’estasi, che la trasfigurava, rendendola detentrice di verità assolute, seppur fuorvianti per i ‘comuni mortali’.

Alda Merini, la si può definire una profetessa della vita, indagata nei suoi aspetti più scomodi, perché i poeti fanno quello: non abbelliscono, svelano.

Alda nasce a Milano, il 21 marzo del 1931, in una famiglia normale che non avrebbe compreso i suoi umori, o le sue stranezze. Il padre avvertì la sua propensione alla letteratura e, fin da quando è piccola, cerca di alimentare quella passione nella figlia. Adolescente, voleva prendere i voti e farsi suora, e invece iniziò a scrivere versi: frequentando la casa del letterato Giacinto Spagnoletti, la giovane Alda entrò in contatto con Maria Corti, Giorgio Manganelli e David Maria Turoldo.

In seguito, avrebbe conosciuto anche Salvatore Quasimodo ed Eugenio Montale. A ventidue anni pubblica la sua prima raccolta poetica, La presenza di Orfeo, che riceve una critica più che positiva sulla rivista Paragone, nel dicembre del 1960, firmata da Pier Paolo Pasolini: “Che di fonti per la bambina Merini non si può certo parlare: di fronte alla spiegazione di questa precocità, di questa mostruosa intuizione di una influenza letteraria perfettamente congeniale, ci dichiariamo disarmati”.

Così ben espresso da Pasolini, sta il segreto alchemico della poetica di Alda Merini: la poesia non è un qualcosa che si può pianificare, o peggio, schematizzare. La poesia è istinto, impulso, tutto può essere poesia, al tempo stesso nulla può essere scelto dal poeta, che ne deve venir toccato, nel profondo. Inoltre, la Merini conservò sempre quella religiosità fervente e innocente, che da ragazzina la stava spingendo al monachesimo, tanto da affermare di scrivere poesie per ringraziare Dio di essere al mondo.

Ti faccio dono di tutto

se vuoi,

tanto io sono solo una fanciulla

piena di poesia

e coperta di lacrime salate.

Quando nel 1965 viene ricoverata per la prima volta in manicomio, Alda ha già alle spalle una conoscenza con le “prime ombre della sua mente”, e aveva soggiornato presso una casa di cura, per un mese nel 1947, dove le avevano diagnosticato un disturbo bipolare. La poetessa trascorse buona parte della sua esistenza in manicomio, ciò fino al 1978, a fasi alterne, durante le quali tornò anche in famiglia, e mise al mondo altre tre figlie. Proprio la maternità, fu una delle esperienze più forti e dolorose per la poetessa, che la fece giungere ad una grande verità: “La donna non ha paura di morire, grazie alla maternità. Sa benissimo che la morte è un’amica che presiede alla nascita”.

Durante gli anni in casa di cura, la Merini non scrisse nulla, troppo assorbita da quell’ambiente straniante, eppure così tranquillizzante per lei:

Ero matta in mezzo ai matti. I matti erano matti nel profondo, alcuni molto intelligenti. Sono nate lì le mie più belle amicizie. I matti son simpatici, non così i dementi, che sono tutti fuori, nel mondo. I dementi li ho incontrati dopo, quando sono uscita.

Gli anni in manicomio furono raccolti nei componimenti che andarono a costituire una delle sue opere più belle, La Terra Santa. Nel 1983, si trasferì in Puglia, a Taranto, al seguito del suo secondo marito; dopo un ultimo ricovero, la sua attività letteraria diventò particolarmente intensa, e diede vita, tra gli altri, ad un’opera in prosa, tra le sue più famose, L’altra verità. Diario di una diversa, in cui racconta della sua esperienza in manicomio, attraverso aneddoti, ricordi e reminiscenze:

Io la vita l’ho goduta perché mi piace anche l’inferno della vita e la vita è spesso un inferno. Per me la vita è stata bella perché l’ho pagata cara.”

Contemporaneamente a questa stagione poetica così proficua, viene riconosciuto alla poetessa dei Navigli il posto preminente che ricopre nella letteratura italiana contemporanea: nel 1993 vinse il Premio Librex Montale, a cui fecero seguito altri come il Premio Procida – Elsa Morante.

Il poeta soffre molto di più, ma alle volte non si difende neanche. È bello accettare anche il male: una delle prerogative del poeta, che è anche stata la mia è non discutere mai da che parte venisse il male. L’ho accettato ed è diventato un vestito incandescente, è diventato poesia.

Il male che può provenire da una sorella, che ti fa rinchiudere in manicomio, dalla società che ti toglie i figli perché ti reputa incapace di intendere e di volere. Il male che, Alda Merini ha trasformato in amore per gli altri perché “è più possibile amare, che perdonare”.

Alda Merini ha amato tanto, ha amato tutti, indistintamente. Attraverso l’amore, spirituale e carnale, ha espresso la sua visione di vita. Con la sua calma combattività, un ossimoro che l’ha guidata ovunque, in ogni esperienza, ha aperto porte e spalancato finestre. La poesia la attraversava, e lei, piccola ape furibonda, la donava come miele agli altri, vivendo esclusivamente per questo.

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