Fenomenologia di Chiara Ferragni

by Claudio Botta

Nel mondo digitale e in quello reale è l’italiana più famosa del mondo, la cui vita viene raccontata ogni giorno ovunque da chiunque, in prima persona o da terzi, autorevolissimi e non, il confine tra pubblico e privato così sottile e trasparente da diventare invisibile. Chiara Ferragni, da Cremona ad Harvard (dove è stata più volte invitata dal prestigioso ateneo – frequentato da John F. Kennedy, Bush senior e Barak Obama, per contestualizzare il livello degli studenti – a tenere un corso di web marketing), studi in Giurisprudenza alla Bocconi interrotti per seguire a tempo pieno il suo blog ‘The Blonde Salade’, aperto con il contributo determinante del suo fidanzato dell’epoca, Riccardo Pozzoli (“Era il 2009 e mi trovavo a Chicago per il quadrimestre di lavoro legato ai miei studi di marketing. Mi sono reso conto che in America i blogger facevano tendenza e condizionavano moltissimo i consumi. All’epoca Chiara postava le foto dei suoi outfit su varie piattaforme social, ottenendo un grande seguito. Così ci è venuta l’idea di aprire un suo blog. Abbiamo intravisto un’occasione di business, anche se non sapevo dove ci avrebbe portato. Il primo passo è stato acquistare il dominio da un provider americano”, le sue parole), testi in italiano e in inglese, investimento iniziale 510 dollari, 10 per il dominio, il resto per la macchina fotografica. Un connubio perfetto, le passioni per moda e fotografia (lei), marketing e business (lui) che un passo dopo l’altro permettono alla coppia di aumentare visibilità e popolarità e di entrare in un mondo, quello del fashion, snob ed elitario, finendo per stravolgerne le regole. La fine della relazione sentimentale non ha comportato – almeno nei primi anni – la rottura negli affari, e l’avvento di Instagram ha nel frattempo spalancato un mondo di nuove opportunità, colte dalla Ferragni dall’osservatorio privilegiato di Los Angeles, dove viveva il suo nuovo fidanzato, il fotografo Andrew Arthur. I followers cresciuti fino a diventare milioni, sul blog  e sui social, così come i milioni (di euro e di dollari) del fatturato per post, sponsorizzazioni, collaborazioni, il lancio della ‘Chiara Ferragni Collection’, iniziata con un paio di stivali da donna in pelle. La copertina per Vogue Spagna, la prima dedicata a una fashion blogger, rompe definitivamente un tabù che appariva inscalfibile e l’ostracismo dell’ambiente. La Pantene che la sceglie come global ambassador, la Mattel che crea due Barbie con le sue sembianze, la Swarowski che la sceglie come testimonial della collezione natalizia insieme a top model come Naomi Campbell e Gisele Bunchen. Un’ascesa clamorosa e inarrestabile, la vita privata uno sfondo lontanissimo e tenuto al riparo da riflettori e attenzioni.

Chiara Ferragni è quindi ‘Chiara Ferragni’ (intesa come brand, influencer, imprenditrice digitale e imprenditrice tout court di enorme successo) quando incontra Fedez, a sua volta rapper popolarissimo per la partecipazione a X-Factor come giurato, gran fiuto per gli affari, i primi apprezzabili dischi e per ‘Comunisti col Rolex’ con J-Ax che da aperta critica appare invece l’istantanea del salto dal free style nei centri sociali alla Lamborghini in garage. Il loro amore è una comunione affettiva solida, che porterà a un matrimonio e due figli a stretto giro di posta; ma anche una joint-venture dai numeri incredibili (ad oggi, 28,6 milioni di followers su Instagram lei, 14,5 milioni lui). E alla vita vissuta come un Truman Show permanente: richiesta di matrimonio durante un concerto all’Arena di Verona, matrimonio a Noto trasformato in una saga/sagra dall’impact value stimato di 36 milioni di euro, la nascita e la crescita di Leone e Vittoria documentate dalle prime ecografie, attici e superattici a Citylife, la parola ‘privacy’ che diventa un contenitore sempre più piccolo e marginale rispetto al passepartout imperativo ‘Condivisione’. Numeri che generano altri numeri.

Il docu-film ‘Chiara Ferragni-Unposted’ (un’autocelebrazione incondizionata) presentato nel 2019 alla Mostra internazionale del Cinema di Venezia, giornalisti e critici per ore in fila per l’accesso in sala, e 1 milione 601.499 euro di incasso in tre giorni, il film-evento più visto di sempre in Italia. La prima fila alle più importanti collezioni mostrate nelle Fashion Week, l’amicizia e la collaborazione sempre più stretta con stiliste del calibro di Maria Grazia Chiuri (oggi direttore creativo di Dior) e Donatella Versace, l’ingresso nel consiglio di amministrazione di Tod’s nell’aprile 2021 come membro indipendente, con un rialzo del titolo in Borsa quantificabile in 100 milioni di euro (un anno dopo avverrà l’uscita, per servizi pubblicitari retribuiti dal Gruppo e il venir meno del requisito dell’indipendenza), tre aziende diversificate per assetto societario (la Tbs Crew, che gestisce il blog e l’e-commerce The Blond Salade; la Sisterhood per il marketing e la gestione dei diritti d’immagine; e la Fenice, che gestisce il brand Chiara Ferragni Collection) dal volume d’affari complessivo stimato di 40 milioni di euro, richieste accordate fino a 82.100 dollari per ogni post sponsorizzato.

Un successo al di là di qualsiasi aspettativa, che ha però un pesante rovescio della medaglia: la sovraesposizione. Cercata, e alimentata da un corto circuito social-mediatico ossessivo e famelico. Ogni passo e ogni relativo post, da sola o in coppia, ripreso quotidianamente da altre pagine social di testate prestigiose di ogni ordine e grado (Vogue Italia, Elle, Marie Claire, Vanity Fair e giù fino alle testate nazionali). Ogni suo outfit, ogni taglio di capelli, ogni make up che diventa istantaneamente la tendenza irrinunciabile del momento, il senso della misura relegato in qualche angolo polveroso, per un’equa distribuzione delle visualizzazioni e dei like (o per raccoglierne almeno le briciole). Il brand associato a qualunque tipo di prodotto, nessun tipo di selezione, e costi generalmente spropositati rispetto alla qualità. I figli piccoli in una vetrina permanente tra tanti dubbi, che non possono essere spazzati via dalla rassicurazione che “da mamma, cerco di fare il meglio per loro”. E, soprattutto, l’ostentazione anche della solidarietà, che comporta sia la grande partecipazione e l’effetto emulazione con 206mila donatori, 180mila condivisioni sui social media e 4 milioni e mezzo di euro raccolti per rafforzare la terapia intensiva al San Raffaele di Milano durante l’emergenza Covid, che l’inevitabile ritorno d’immagine e la crescita esponenziale del marketing. L’Ambrogino d’Oro, il massimo riconoscimento milanese per l’impegno nel sociale, e lo scivolone del pandoro griffato realizzato con la Paluani, iniziativa benefica nei confronti dell’ospedale Regina Margherita per l’acquisto di macchinari per la ricerca, ma con una donazione effettuata in precedenza dall’azienda e quindi slegata dalle vendite del prodotto. Le foto in lingerie (per lo più legate a campagne pubblicitarie di cui è testimonial) apprezzatissime e criticate, da un numero risibile di haters – rispetto alla platea adorante, enorme -, e la fiera rivendicazione della libertà di ogni donna (e madre) di essere ed esprimere sé stessa.

In questa escalation inarrestabile, mancava soltanto la consacrazione televisiva (la prima serie della docu-serie ‘I Ferragnez’ è andata in onda sulla piattaforma Prime Video, la prossima in arrivo dopo il Festival), e non poteva arrivare che dall’evento televisivo dell’anno, il Festival di Sanremo, la presenza nelle serate iniziale e finale, le più viste, l’attesa e i riflettori puntati prevalentemente – se non esclusivamente – su di lei. Dichiarazioni un po’ audaci alla vigilia (“vorrei portare la moda al Festival”, ma la moda ci è arrivata da decenni con le creazioni di grandi couturier indossate da dive, grandi artiste e top model), outfit studiati per alimentare riflessioni e polemiche (il messaggio Pensati libera stampato sullo scialle Dior è uno slogan di Cicatrici Nere, street artist bolognese). La lettera alla sé stessa bambina, scritta di proprio pugno e che, pur animata da lodevoli intenzioni, ha suscitato perplessità nel racconto di insicurezze e fragilità che – altra maliziosa chiave di lettura -possono però rientrare in un tentativo di ulteriore, strategico posizionamento, ancora più spostato nel sociale, facendo propria la battaglia delle donne vittime di ogni tipo di violenza (una battaglia approfondita solo qualche anno fa, e non è certo una ragazzina). Donne prigioniere e schiave di uomini sbagliati e vite tormentate, non di un algoritmo. Vittime per cui i riflettori si accendono raramente o mai, che “piangono e non fatturano” per citare – al rovescio – Shakira.

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