Josephine Baker, la Venere nera che divenne una spia antinazista per amore della Francia

by Germana Zappatore

“Una sintesi di voluttà animale, giovane e vivace come il jazz, trepidante, ridente, brutale e candida, soprattutto gioiosa di una gioia infantile, sana ed esuberante, non viziosa, ma forse avida. Perché il sedere della Baker turba i continenti? Perché gli uomini si commuovono in massa e perché anche la gelosia delle donne viene disarmata?” (Georges Simenon)

Josephine Baker fu la prima star di colore, “la più bella pantera e la più affascinante delle donne” (Colette), “la donna più sensazionale che qualcuno abbia mai visto” (Ernest Emingway) perché dalle “gambe paradisiache, gli occhi di ebano e il sorriso dove tutti gli altri sorrisi vanno a morire” (Pablo Picasso), la Venere Nera che faceva girare la testa agli uomini e mandò in tilt gli ormoni di uomini facoltosi che per lei si sfidavano persino a duello.

Una donna forte ed emancipata che lanciò la moda dei capelli con la brillantina e delle unghie laccate d’oro e che fece parlare di sé per i suoi amori, ma anche per i sedili della sua auto in pelle di serpente e i suoi animali da compagnia molto particolari (Ethel lo scimpanzè, Albert il maiale e Kiki il rettile, per non parlare di Chiquita il leopardo con collari di diamanti coordinati con i suoi abiti).

Ma Josephine fu anche un agente del controspionaggio francese durante la Seconda Guerra Mondiale, partecipò alla marcia organizzata a Washington da Martin Luther King nel 1963 e adottò 12 bambini provenienti da diversi paesi del mondo e che lei chiamò affettuosamente “la mia tribù arcobaleno”.

Eppure il destino con lei sembrava non avere in serbo grandi cose. Di origine meticcia afroamericana, Freda Josephine McDonald nacque a Saint Louis (Missouri) nel 1906 e fin da piccola dovette fare i conti con la miseria (il padre aveva abbandonato il tetto coniugale quando aveva un anno). All’età di otto anni dovette rimboccarsi le maniche e guadagnarsi il pane facendo la baby-sitter e la domestica nelle case dei ricchi bianchi. Nel frattempo, contro il volere materno, coltivava il sogno di diventare un’artista. Sogno che decise di realizzare fuggendo da casa all’età di tredici anni per esibirsi in alcuni club di Saint Louise (dopo aver fatto la gavetta per strada). A quindici anni ottenne la sua prima scrittura in un vaudeville, il St. Luis Chorus dove si fece notare per il suo modo di ballare.

La svolta arrivò nel 1925. Josephine debuttò al Théâtre des Champs-Élysées con ‘La Revue Nègre’. Si trattava di un nuovo tipo di spettacolo interpretato interamente da neri e che mescolava musica jazz a coreografie con ballerine nude. E fu proprio durante questa tournée che la Baker indossò per la prima volta il famoso gonnellino di banane con il quale si lanciava in uno scatenato charleston. Questo bastò a mandare in delirio il pubblico ipnotizzato dalla commistione fra sensualità e folklore africano che vedeva sul palco durante le sue esibizioni.

E tanto bastò per far perdere la testa persino il papà del Commissario Maigret, Georges Simenon, che oltre ad essere sempre in prima fila durante le sue esibizioni, ne divenne il focoso amante. Ma la relazione finì non appena Simenon si rese conto che la fama dell’amata (che nel frattempo aveva iniziato anche a recitare in alcuni film e a cantare canzoni scritte appositamente per lei) era di gran lunga maggiore rispetto a quella di cui lui godeva. Lo scrittore rischiava di diventare “monsieur Baker”, cosa inaccettabile per un maschilista convinto che “l’unica comunicazione possibile con le donne è quella sessuale” e che “la donna deve essere solo un riflesso del marito e sacrificare la propria personalità alla sua”.

Ma se in Francia era diventata una star, grazie soprattutto al manager-amante Giuseppe Pepito d’Abatino che le diede le dritte giuste per diventare una showgirl più raffinata, nella sua terra natia non riuscì mai a farsi accettare. Quell’America che le aveva dato i natali di stenti e miseria, le voltò ancora una volta le spalle durante il tour del 1936. Ecco cosa scrisse della sua performance il ‘Time Magazine’: “una sgualdrinella negra le cui doti artistiche potevano essere superate ovunque appena fuori Parigi”. Era chiaro che quello con l’America era un amore disperato e non corrisposto. Così Josephine decise di lasciarsi definitivamente alle spalle il passato e divenne cittadina francese sposando in terze nozze un certo Jean Lion (il primo matrimonio era avvenuto a 13 anni ed era durato poche settimane, mentre il secondo nel 1920 con William Baker – di cui mantenne il cognome – era finito dopo tre anni).

La Francia l’aveva amata incondizionatamente fin dal primo momento e così la Baker decise di ricambiare questo amore diventando una spia antinazista durante la Seconda Guerra Mondiale. L’intelligence francese, infatti, la reclutò nel 1939 all’indomani dell’invasione della Polonia da parte della Germania. La fama di cui godeva in molti paesi europei le permise di entrare in contatto con funzionari, politici e alte cariche militari ed entrare in possesso di notizie spesso riservate. Nascondeva le informazioni nella biancheria intima e fra gli spartiti musicali, certa che la sua notorietà le avrebbe evitato le perquisizioni allora molto diffuse.

Alla fine della guerra ricevette la ‘Croix de guerre’ e la ‘Rosette de la Résistance’, fu nominata cavaliere della Légion d’Onore dal generale Charles de Gaulle e sposò il direttore d’orchestra Jo Bouillon con il quale andò a vivere nel castello di Milandes in Dordogna e adottò 12 bambini di nazionalità diversa (a causa di alcuni aborti spontanei, non poteva avere figli). Erano i suoi ‘Rainbow Children’ ai quali aveva voluto dare una famiglia amorevole e un futuro: i piccoli, infatti, provenivano da paesi come la Colombia, l’Arabia, il Venezuela, il Marocco e la Costa d’Avorio.

La Seconda Guerra Mondiale aveva segnato una svolta nella sua vita e nella sua carriera. Adesso la Baker avrebbe lottato per i diritti civili: rifiutò di esibirsi dove i neri non erano ammessi, nel 1963 affiancò Martin Luther King nella celebre marcia a Washington. E finalmente l’America la riaccolse fra le sue braccia: avevano finalmente fatto pace.

Durante gli ultimi anni della sua vita, però, tornò a far capolino lo spettro della miseria: i debiti si accumulavano, il suo castello fu confiscato e rischiò la bancarotta. In suo aiuto corse l’amica Grace Kelly che nel frattempo era diventata la Principessa di Monaco: la aiutò ad esibirsi nel Principato così da rimettersi in piedi economicamente. Il 12 aprile del 1975 (quattro giorni dopo lo spettacolo parigino per festeggiare il Cinquantesimo anniversario della sua carriera) Josephine Baker morì per una emorragia cerebrale. Fu seppellita nel cimitero del Principato di Monaco dopo un funerale con gli onori militari a Parigi a cui assistette una folla immensa di persone.

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