La difficile vita di Petronilla Paolini Massimi, la nobildonna poetessa che fece di tutto per sfuggire al marito violento

by Daniela Tonti

Petronilla Paolini Massimi, poetessa femminista ante litteram, ha dovuto combattere molte battaglie nella sua vita ma con coraggio e lottando contro ogni convenzione ha conquistato la libertà. 

Petronilla nasce il 24 dicembre del 1663 a Tagliacozzo da una famiglia molto ricca, suo padre era il barone di Ortona dei Marsi e Carrito.

Quando lei ha solo 4 anni il padre viene assassinato in circostanze misteriose. Petronilla diventa subito vittima delle mire dei parenti che vogliono impadronirsi del titolo e delle ricchezze tentando persino di avvelenarla.

Ha solo 10 anni quando viene data in sposa, con una dispensa speciale di papa Clemente X, al marchese Francesco Massimi. Per due anni rimane con la madre poi viene condotta a Castel Sant’Angelo dove vivrà un periodo di lunga reclusione.

Nei primi anni di matrimonio riesce a partecipare a qualche evento mondano e conosce la regina Cristina di Svezia che ammira per la sua indipendenza ma il resto dei suoi giorni vive reclusa per volere del marito violento in tre stanze con le inferriate alle finestre. Non può parlare con la servitù, guardare negli occhi gli interlocutori, indossare gioielli o abiti colorati e quando lui scopre che era riuscita a procurarsi un calamaio la rinchiude in una stanza con solo un letto e un inginocchiatoio.

Io scrivo, scrivo sul serio. Imprimo me stessa sulla carta. Scrivo per liberarmi, per essere. E per scrivere sono disposta a tutto.

L’unica consolazione sono i figli ma quando il marito li allontana da lei proibendole di vederli, Petronilla si ribella e fugge via con la scusa di dover accudire sua madre ospite in un convento. Non tonerà più a casa.

Petronilla vivrà anni nella miseria più nera poiché il marito si era rifiutato di restituirle la sua enorme dote. Francesco era un uomo terribile che non si fermò nella sua violenza e cattiveria nemmeno difronte alla malattia del figlio Domenico. Vietò alla madre di fargli visita, di accudirlo e di dirgli addio.

Petronilla a quel punto non aveva più nulla da perdere e trascinò il marito in tribunale per il divorzio raccogliendo molte testimonianze per provare i maltrattamenti.

La sentenza della Sacra Rota è a favore del marito e imputa a lei la colpa di aver rovinato il matrimonio. L’unica cosa che le viene accordata è il permesso di restare in convento, ma senza un soldo.

Il processo se non le ha reso giustizia ha fatto di lei un’eroina. Il coraggio con il quale ha portato avanti i suoi diritti le valsero le simpatie degli intellettuali e dei letterati.

Petronilla ricomincia a scrivere e riesce a entrare in diverse accademie: la accolgono gli Insensati di Perugia, gli Infencondi e l’Arcadia a Roma, gli Intronati di Siena, gli Oscuri di Lucca, gli Immaturi di Pergola, gli Invigoriti di Foligno. Le garantiscono prestigio e fama ma anche protezione.

La poesia per lei non è solo qualcosa di proibito da conquistare ma anche strumento di denuncia della condizione delle donne e di condanna di un mondo dominato da uomini.

So ben che i fati a noi guerra non fanno, né i suoi doni contende a noi natura: sol del nostro valor l’uomo è tiranno

Solo quando nel 1707 finalmente muore il marito tiranno Petronilla esce dal convento e torna a palazzo, ormai libera e indipendente nella condizione di vedova che non pensa minimamente a risposarsi. Ma i problemi non sono finiti in quanto i parenti continuano a reclamare fette del grande patrimonio ereditato.

Stremata dalle continue liti, decide di lasciare tutto ai figli e si riserva solo il diritto di residenza nella casa di famiglia.

Muore a Roma nel 1726 e su sua richiesta viene sepolta con un semplice rito nella chiesa di Sant’Egidio a Trastevere, lo stesso convento che l’aveva ospitata e l’aveva protetta dalla sua “avversa sorte” quando ne aveva avuto bisogno.

Per poco, o nulla, lagrimasti assai:
Or se nol fai dal tuo fallir conquiso,
Quando in uso miglior pianger saprai?

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