La dolorosa storia della duchessa Maria Hardouin di Gallese che seppe trasformare l’amore totalizzante per D’Annunzio in affetto materno

by Michela Conoscitore

Tornò la vita ne l’onda del piacere.

Chino a lei su la bocca io tutto, come a bere

da un calice, fremendo di conquista, sentivo

le punte del suo petto insorgere, al lascivo

tentar de le mie dita, quali carnosi fiori…

Gabriele D’Annunzio, Il peccato di maggio (1883)

Come avreste reagito se, da fanciulle in fiore, il vostro amato avesse descritto dettagliatamente, seppur in versi, il vostro primo incontro intimo in una poesia poi pubblicata su un quotidiano ad alta tiratura? Avreste accondisceso a questa forma di esibizionismo e perdonato, o sareste insorte a così poco elegante violazione della privacy? Sicuramente, la duchessa Maria Hardouin di Gallese non optò per la seconda opzione, nonostante quella poesia, e il conseguente annuncio di una gravidanza fuori dal matrimonio, avrebbero sancito la sua cacciata dalla buona società romana.

Perdutamente innamorata di Gabriele D’Annunzio, la duchessa non si soffermò lungamente sulla decisione del poeta di spiattellare pubblicamente i ricordi della loro prima volta; non si interrogò, soprattutto, sui vantaggi che lui avrebbe ottenuto dopo averla compromessa. Tutto ciò accadeva a Roma, nel 1883: D’Annunzio, ventenne ma già abbastanza spregiudicato, vi si trasferì per volere del padre. Dopo essersi diplomato al collegio Cicognini di Prato, avrebbe voluto iscriversi all’Università di Firenze per rimanere vicino al suo primo amore, Elda Zucconi. Tuttavia, il padre desiderava un avvenire fulgido per il figlio, che si elevasse dalle miserie di una vita di provincia, la loro, sempre rincorsi da debiti e cambiali; così lo fece iscrivere alla facoltà di Lettere de La Sapienza, allora la Capitale era un ambiente più consono alla scalata sociale dei rampolli di sconosciute famiglie ai margini della civiltà.

Quel che D’annunzio scelse di perseguire, in realtà, fu entrare nel bel mondo dell’aristocrazia romana, e giornate chino sui libri ciò non gliel’avrebbero assicurato. Come fare? Semplice, si reinventò giornalista. Già scriveva versi, aveva riscosso un discreto successo con le sue prime raccolte poetiche, Primo Vere e Canto Novo, per cui ricevette lodi perfino dal Vate in persona, Giosue Carducci. Così, essere accettato come collaboratore in un giornale non fu difficile, la sua fama in un certo senso lo precedeva. Il Fanfulla, il Capitan Fracassa e poi Cronaca Bizantina, grazie a questi giornali il poeta iniziò a frequentare i salotti romani, facendosi conoscere e mettendosi in mostra. Fu proprio durante uno di questi pomeriggi esclusivi, che il giovane reporter conobbe la duchessa Maria Hardouin di Gallese, in un incontro a Palazzo Altemps, magnifico edificio rinascimentale, allora di proprietà proprio della famiglia della giovane. Il padre di Maria, il duca Jules, venne in possesso del titolo per singolari, e amorose, circostanze; in seconde nozze, sposò la madre di Maria, la duchessa Natalia, dama d’onore della regina Margherita di Savoia.

Gli Hardouin di Gallese erano una famiglia pienamente inserita nei circoli dell’aristocrazia romana e che godeva di ottima fama. Quella che, in un incontro d’amore, Maria allontanerà per sempre da sé. La giovane, fino ai diciannove anni, era vissuta in una girandola di feste e passeggiate, vezzeggiata dai genitori. Maria era molto dolce, possedeva un cuore buono, sensibile all’arte e alla poesia, a cui l’aveva fatta appassionare la madre Natalia. Inoltre, era testimoniato da tutti che possedesse una bellezza pari ad una divinità. Tra i numerosi ammiratori, si annovera perfino un pontefice, Pio XI, che anni dopo rivelò: “La duchessina di Gallese era una forte ragione di distrazione per noi studenti (seminaristi)”. Ella trascorreva le sue giornate nella più serena tranquillità, quel che le invidiava D’Annunzio, sempre in ristrettezze economiche, con un padre dilapidatore di patrimoni e donnaiolo.

Quel pomeriggio, a Palazzo Altemps, D’Annunzio non perse tempo: le sue manovre furono agevolate dall’ammirazione che la duchessa Natalia e la figlia nutrivano già per lui, per via delle sue pubblicazioni che avevano ampiamente apprezzato, ed erano molto felici di conoscerlo. Soprattutto, Maria nutriva quasi un amore platonico per l’autore dei versi che l’avevano così colpita; dal vivo, tuttavia, ne rimase un po’ delusa. L’idealizzazione fu sgonfiata dalla modesta statura e dalla gracile prestanza fisica del poeta. Ma fu solo un attimo, perché lo scaltro D’Annunzio mise in atto l’incantesimo delle parole, in cui avviluppò la donna fin dal primo incontro. E il duca Jules, dov’era? Purtroppo, non a vigilare sulle scelte amorose della figlia, poiché preferiva trascorrere il suo tempo al castello di Colonna, piuttosto che nel suo palazzo nobiliare capitolino.

Oramai mi ha vinta, conquistata e sottratto ha il mio cuore. Le ore sono tutte per lui…È diventato per me tutto ciò che è vita, colore, luce, verità. È il mio sogno di tutte le notti, di cui ogni mattina una traccia scintillante resta sul cuscino per illuminare il mio giorno.

Così scriveva la duchessina innamorata, nel suo journal intime. La frequentazione di Maria col poeta proseguì clandestinamente, e i due amanti ebbero l’ardire di trascorrere delle ore insieme proprio a Palazzo Altemps, quando durante le ore notturne Maria dava segnale a Gabriele da una delle finestre che affacciava sulla chiesa di Sant’Apollinare: lì il poeta, in attesa, scorto il via libera saliva nelle stanze della duchessina. Ne escogitarono di espedienti i due, pur di vedersi e stare insieme, fino al culmine, quel pomeriggio di maggio, quando D’Annunzio decise che fosse giunto il momento di assicurarsi il posto in società, compromettendo Maria.

Dopo la pubblicazione della poesia Il peccato di maggio, che entrò a far parte della nuova raccolta poetica Intermezzo di rime, la loro relazione fu sulla bocca di tutti, suscitando uno scandalo di cui si sarebbe parlato per molto tempo, anche negli anni a venire. Oltre che il posto in società, l’avveduto poeta aveva usato lo scandalo come cassa di risonanza per il suo libro in uscita che, a seguito dell’indecoroso avvenimento, divenne un best seller in quel periodo.

E Maria? La duchessa continuava ad essere perdutamente innamorata del suo Gabriele, per quanto fosche nubi si addensassero sul suo futuro. Il duca Jules, adirato grandemente per la condotta della figlia, la relegò a Colonna nel castello di famiglia. Giorni dopo, si venne a sapere che due giovani si aggiravano nei pressi del paese, chiedendo informazioni ai passanti sul castello e sulla duchessina. D’Annunzio non avrebbe rinunciato a Maria, così la raggiunse per una folle impresa, quella di rapirla. Il duca, tuttavia, lo anticipò e riportò Maria a Roma. Tornata nella Capitale, la giovane ebbe la certezza di essere incinta. Ne informò Gabriele, e la coppia non trovò altra soluzione se non quella di una fuga d’amore. Fu il poeta ad occuparsi di tutto, incluso l’avvisare un suo amico giornalista per ricoprire di clamore mediatico pure quell’evento. Destinazione Firenze: dopo essere giunti nel capoluogo toscano e aver trascorso la maggior parte del tempo in albergo, l’indomani la coppia venne raggiunta dal prefetto della città e da Federico Colajanni, amico di famiglia dei giovani e deputato, che avevano il compito di riaccompagnare la diciannovenne dal padre. Ebbero appena il tempo di una passeggiata romantica al parco de Le Cascine e poi tornarono a Roma, separatamente.

Con la figlia nuovamente a casa, il duca Jules dovette comunque affrontare la realtà: Maria era perduta per sempre, la sua speranza di farla sposare con un rampollo dell’aristocrazia romana sfumò pateticamente. D’altronde oltre che per il padre, anche per D’Annunzio Maria non era altro che una pedina da muovere per raggiungere i propri obiettivi. Il destino della duchessina si compì il 28 luglio 1883, presso la chiesa di Sant’Aniceto, all’interno di Palazzo Altemps. Incinta di tre mesi, al suo matrimonio non partecipò il padre, che l’aveva disconosciuta oltre che diseredata, e nemmeno gli altri famigliari e membri della Roma bene. Ma c’erano Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao, intellettuali, amici e colleghi del D’Annunzio. Al matrimonio non parteciparono i genitori del poeta, probabilmente in mancanza di denaro per raggiungere Roma e per non far sfigurare Gabriele, che quel giorno faceva in pompa magna il suo ingresso nelle cerchie sociali che contavano.

La coppia, dopo la cerimonia, trascorse un periodo al mare nelle Marche, gentilmente ospitati da un buon amico del poeta; in seguito, si recarono proprio in Abruzzo. A dispetto delle prospettive prenuziali, quando D’Annunzio aveva promesso alla sua Maria viaggi e avventure eleganti, totalmente indebitato e inseguito dai creditori, non poté far altro che rifugiarsi nella casa paterna. A Villa del Fuoco, un casino di caccia poco distante dalla casa padronale dei D’Annunzio, la coppia visse una luna di miele durante la quale Maria trascorse serenamente la sua prima gravidanza, e il poeta si abbandonò all’estro creativo, ispirato dalla moglie.

Quello fu descritto dalla duchessa come un periodo inebriante, forse il più felice della sua vita. Lo raccontò al giornalista André Germain, a cui affidò le sue memorie:

Mano a mano che il nostro prolungato pellegrinaggio terreno ci obbliga a contemplare un po’ più da lontano le prospettive umane, capiamo meglio che non c’è che vanità nella follia dei sensi e illusione nelle esaltazione sentimentali passeggere. Queste non andranno al di là dei limiti e dei miraggi del mondo, non arriveranno ai cieli sconosciuti, dove si accetta e si conserva solo ciò che di meglio e di più vero c’è in ognuno di noi. Nella grande pace di Dio, ci seguirà solo il ricordo dell’amore umano durevole e sincero, quello che Gabriele ha oltraggiato per tutta la sua vita.

Una riflessione disincantata sulla vita e, soprattutto, sull’amore da parte di una duchessa già matura, lontana dal rutilante sentimento che l’aveva spinta a rinunciare ai privilegi del suo status sociale per abbracciare un giovane poeta, appena conosciuto. Una riflessione dettata anche da una maggiore conoscenza della reale natura del poeta: patologicamente narcisista, dedito in quegli anni a costruire il suo mito e la personalità di nuovo Vate, a coltivare il lusso nonostante le ristrettezze economiche e a collezionare numerose amanti, poiché una volta tornati a Roma, Maria non sarebbe stata più l’unica.

Il 13 gennaio del 1884 nacque il primogenito della coppia, Mario. D’Annunzio, mentre Maria partoriva, era nella stanza accanto in attesa della nascita di quel figlio della colpa, che lui considerava una vittoria. La duchessa e D’Annunzio ebbero altri due figli, nonostante negli anni a seguire il loro rapporto avrebbe conosciuto alti e bassi, e sarebbe stato inframezzato da numerose amanti del poeta. Il secondo, Gabriellino, nacque nel 1886, e Ugo Veniero nel 1887. Quando gli altri due figli vennero al mondo, il poeta non era al capezzale della moglie, troppo preso da sé stesso e dalle altre donne.

Infatti, quando la coppia fece ritorno a Roma grazie all’interessamento della duchessa Natalia, madre di Maria, che trovò un impiego da giornalista al genero, D’Annunzio si diede alla macchia, complicando il ménage famigliare, creando scompiglio e aumentando vertiginosamente i loro debiti. Inutilmente, Maria si organizzò come meglio poté per far quadrare i conti e allevare i figli, era diventata una factotum nella casa di via Quattro Fontane. Allora le sembrarono lontanissimi i tempi in cui, a Palazzo Altemps, le bastava un cenno per esaudire ogni sua esigenza. In merito all’atteggiamento sconsiderato del poeta, la duchessa raccontò che miracolosamente un mese era riuscita a risparmiare e a mettere da parte l’intera somma per l’affitto di casa. Ebbe l’infelice idea di informarne il marito, e quando giunse il giorno che il proprietario di casa passò a riscuotere la pigione, Maria aprì il cassettino dove aveva riposto i soldi, e lo trovò miseramente vuoto. La donna, per lettera, rivolgeva delle vere e proprie suppliche al poeta, sordo alle sue richieste e perennemente in balia dei debiti:

Ma non posso continuare a vivere umiliandomi con gli estranei accettando l’aiuto che non solo non ho rifiutato ma che invocai. E ti scrivo tutto con molto dolore perché son certa che tu non ti fai un’idea dei miei tormenti, e perché nessuno può parlarti di me.

Prima Olga Ossani, poi l’erotica Elvira Fraternali Leoni, in seguito l’instabile Maria Gravina dalla quale sarebbe nata la figlia Renata, e poi la divina Eleonora Duse: sommate ad altre storielle senza importanza e più fugaci, la duchessa di Gallese, con gli anni, dovette prendere coscienza della fine di un amore per cui aveva sacrificato tutta sé stessa.

Il 6 giugno del 1890, Maria era con il piccolo Veniero in via del Corso; da lontano avvistò il padre e, speranzosa, gli mandò incontro il nipote per intenerirlo e tentare un approccio con lui. Jules Hardouin non cedette, e scansò in malo modo il bambino, non degnando di uno sguardo la figlia. Quel dispiacere, sommato alle preoccupazioni quotidiane per il mantenimento dei figli a cui, nel frattempo, D’Annunzio non contribuiva più economicamente, portarono la venticinquenne Maria a prendere una decisione disperata: nel pomeriggio, salì sul mezzanino della nuova casa in via Piemonte, e tentò il suicidio. A quella vita senza più significato, la duchessa rispose andando incontro all’oblio. Fortunatamente si salvò, riportando soltanto fratture e qualche contusione. Il poeta tornò brevissimamente al capezzale della moglie, scioccato dal folle gesto di cui forse non credeva capace la mansueta Maria; era solito godere delle sofferenze delle sue donne, su di lui il loro dolore esercitava quasi un potere afrodisiaco. Accorse dalla figlia anche il padre. Quello, infatti, fu un evento che contribuì al loro riavvicinamento.

Dopo il tentato suicidio, Maria decise finalmente per il suo bene: si separò dal poeta. Non formalmente, davanti alla legge rimasero sposati fino alla morte di D’Annunzio, ma se ne allontanò emotivamente, iniziando ad emanciparsi da quel sentimento velenoso, che aveva segnato profondamente la sua vita. Nonostante tutto, i due rimarranno sempre in contatto perché nella sua infinita bontà, Maria era riuscita a trasformare l’amore appassionato in affetto materno.

Bibliografia:

Giuliana Vittoria Fantuz, Il peccato di maggio. Maria Hardouin di Gallese e Gabriele D’Annunzio. (Ianieri Edizioni)

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