La piccola staffetta partigiana Oriana Fallaci

by Fabrizio Simone

A casa Fallaci, prima in via del Piaggione e poi nelle altre, si mangiava pane e politica. Forse più politica che pane, dato che papà Edoardo, non molto alto e particolarmente magro, era un modestissimo artigiano. I suoi guadagni erano sempre così miseri al punto da costringere la piccola Oriana, primogenita concepita senza desiderio durante una gita sul monte Morello, a comprare solo mezzo etto di qualsiasi cosa, suscitando frequente commiserazione nei bottegai fiorentini, increduli di fronte a quell’adolescente linda e pinta ma con i vestiti rovesciati da mamma Tosca.

Il poco denaro che riusciva ad entrare in quella casa, arredata con i mobili lavorati dallo stesso capofamiglia, veniva investito nell’acquisto di libri. Pagati a rate, ovviamente. Nella libreria di casa Fallaci finirono così titoli come Guerra e pace, l’Iliade, l’Odissea, la Divina Commedia, le proibitissime memorie di Casanova e la Bibbia con le illustrazioni di Dorè, che esercitarono un grande fascino sulla fantasia della futura giornalista. Classici contemporanei come Jack London e Rudyard Kipling insegnarono ad Oriana il valore della libertà, instillandole la voglia di diventare uno scrittore (la Fallaci ha sempre precisato di non essere una scrittrice ma uno scrittore). Del resto i genitori amavano così tanto la lettura da scegliere un nome speciale per quella candida neonata che non piangeva mai: Oriane come la Duchessa di Guermantes, affascinante creatura partorita dalla penna di Marcel Proust.

Oltre alla lettura e al lavoro da intagliatore, Edoardo Fallaci una passione sincera l’aveva sempre avuta: la politica. A 17 anni si scoprì socialista e prese la tessera del Partito socialista, rinnovandola ogni anno. Per la sua fede, nel 1923, non esitò ad affrontare gli squadristi fascisti. Il temerario Edoardo non poteva non sposare Tosca Cantini, figlia dell’anarchico Augusto che da ragazzo si rifiutò di combattere perché vedeva nella Grande guerra solo lo scontro di nazioni ingorde. Oriana non ebbe l’opportunità di conoscerlo ma sua madre ereditò tutto lo spirito paterno, condividendo col marito il disprezzo del fascismo e di Mussolini. Dal 1929 Edoardo entrò in contatto con i membri di Giustizia e Libertà, costola del Partito d’Azione, scegliendo di coinvolgere anche sua figlia non appena fosse cresciuta. Quando Firenze fu occupata dai tedeschi, gli americani sbagliarono ad effettuare il primo bombardamento sulla città. Anziché colpire la ferrovia, la bomba americana cadde sul Cimitero degli Inglesi e sul quartiere attiguo. Oriana e suo padre erano a trecento metri dal luogo in cui cadde la bomba. Trovarono riparo in un palazzo. Oriana pianse. Sentì il prete invocare Gesù contro la furia alleata. Quella fu la sua prima bomba e suo padre le diede uno schiaffo. Disse una sola frase: «Una ragazzina non piange».

La guerra convinse definitivamente Oriana da che parte stare e dalla fine del 1943 fino alla liberazione di Firenze, nell’agosto 1944, collaborò con Giustizia e Libertà. Partecipò attivamente alla Resistenza e la sua ex professoressa di filosofia, Margherita Fasolo, che ora combatteva con i partigiani, le affibbiò un singolare nome di battaglia: Emilia come la sposa del protagonista dell’omonimo conte philosophique di Rousseau. Oriana agiva indisturbata portando armi, messaggi ai compagni nascosti, perfino bombe a mano che nascondeva in grosse insalate sistemate nel cestino della bicicletta. La piccola staffetta quattordicenne ebbe l’occasione di conoscere alcuni illustri personaggi che combatterono col padre come Ugo La Malfa, Emilio Lussu e Carlo Levi. A quest’ultimo, nascosto in casa, consegnerà una rivoltella e del cibo, ma l’autore di Cristo si è fermato ad Eboli mostrerà di non apprezzare la generosa offerta della famiglia Fallaci. Accetterà solo di fronte alla risposta secca di Oriana: «Noi ci togliamo il cibo di bocca per dar da mangiare a quelli come te». Eppure non è difficile immaginare quella ragazzina coraggiosa con le trecce che attendeva la sera prima del coprifuoco per attaccare sui muri i manifesti contro i fascisti.

Durante la Resistenza Oriana scoprì anche l’amore. Nel novembre del’43 suo padre accolse due sconosciuti vestiti da ferrovieri. Gordon e Nigel erano due soldati inglesi evasi dal campo di prigionia di Laterina, vicino ad Arezzo. Il padre li sistemò nella sua camera, facendo spostare sua figlia nel corridoio. Oriana ebbe l’opportunità di esercitare il suo inglese durante il mese in cui i due alloggiarono nella sua modesta abitazione. Del più giovane, Gordon, si innamorò ma non lo rivide mai più dopo averlo accompagnato con suo padre ad Acone, per affidarli ai partigiani della zona, che li avrebbero aiutati a passare le linee nemiche. Cinquant’anni dopo, nel 1993, scoprì, tramite uno storico, che riuscì a salvarsi e a tornare in patria. Per Nigel, invece, non ci fu scampo: venne fucilato dai tedeschi vicino Norcia il 4 maggio 1944. Cinque mesi prima della morte inviò una lettera alla famiglia Fallaci rassicurando tutti e ringraziandoli per averli salvati. Nella lettera erano inclusi i saluti amorosi che Gordon riservò alla sua «little wife».

Nell’estate del ’44 la famiglia Fallaci si trasferì in un convento che fu assaltato dai nazifascisti. Oriana aveva una grande responsabilità: nell’orto del Conventino di via Giano della Bella, noto per essere un rifugio di antifascisti, c’era una zucca in cui aveva nascosto gli indirizzi e gli pseudonimi, nonché i nomi veri, dei compagni appartenenti al Partito d’Azione. Quando i repubblichini e i nazisti penetrarono nella struttura, Oriana ebbe l’ordine di distruggere tutto ingoiando ogni carta contenuta all’interno della zucca. Fece appena in tempo ad eseguire l’ordine ma, alla vigilia della liberazione di Firenze, fu aspramente redarguita perché per colpa sua mancavano tutti gli indirizzi necessari a mettere insieme i gruppi partigiani.

L’ultima missione in qualità di staffetta ebbe luogo la mattina dell’11 agosto del 1944. Ad Oriana venne affidato il compito di trasportare i bracciali rossi con la scritta gialla “Giustizia e Libertà” da distribuire ai partigiani in modo tale da renderli facilmente riconoscibili durante la sfilata per la liberazione della città. Oriana corse con la sua bicicletta temendo di arrivare dopo gli Alleati ma inciampò e i bracciali si sparsero a terra, finendo nelle mani di persone non collegabili alla Resistenza (alcuni vennero raccolti anche da fascisti dichiarati). A guerra finita fu congedata dall’Esercito Italiano-Corpo Volontari della Libertà con la qualifica di soldato semplice. Come premio le furono offerte 15.670 lire. Titubò fino alla fine perché sentiva d’aver fatto semplicemente il suo dovere. Accettò la somma e l’impiegò per comprare le scarpe per tutta la famiglia, sprovvista di calzature decenti. I genitori rifiutarono perciò l’acquisto riguardò le tre sorelle Fallaci (Neera di 12 anni e Paola di 6 anni).

In una lettera a Carlo Azeglio Ciampi scriverà: «Vengo dalla Resistenza. Da genitori e nonni e bisnonni e trisnonni che si sono sempre battuti per la Libertà. E questa non è retorica. È realtà». La libertà richiede grandi sacrifici ed Oriana non ha mai avuto paura di compierli perché ciò che ci sta più a cuore è anche ciò che è sempre più a rischio.

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