La tragica storia di Adèle Hugo, attraverso il mare in cerca del suo folle amore

by Michela Conoscitore

Nemmeno il padre, con la sua prolifica fantasia, sarebbe mai riuscito a scrivere una storia del genere. Lui che narrò delle masse popolari, e degli sconvolgimenti sociali che interessarono la Francia nell’Ottocento, avrebbe ritenuto la storia frutto di una mente malata, e non fonte di edificanti esempi di vita da seguire.

Però la realtà supera sempre la fantasia, e lo scrittore francese Victor Hugo, una delle glorie letterarie d’Oltralpe, di certo avrebbe preferito un’altra vita per sua figlia Adéle. Forse tra i cinque figli la più amata, Adèle Hugo condivise con la sorella Leopoldine la bellezza ereditata dalla madre, Adéle Foucher, anche se quella avvenenza, così florida e fiera, in lei era velata di tristezza, uno sguardo il suo che esprime anche smarrimento. Ci si può riconoscere facilmente in Adéle, e nella sua storia perché tutti amiamo, a volte anche disperatamente. Ma pochi si spingono oltre, annullando sé stessi. E per quanto, poi, ci si perda completamente, come è successo a lei, deve essere considerato non soltanto un atto d’amore ma, paradossalmente, anche di coraggio.

Adèle Hugo nacque il 24 agosto del 1830 a Parigi; la storia famigliare degli Hugo non è semplice, e tantomeno lineare. Se da una parte c’erano i continui e reciproci tradimenti da parte dei coniugi Hugo, tanto che alcuni ritennero Adéle figlia di uno degli amanti della madre, lo scrittore e critico letterario Sainte-Beuve, dall’altro la sequela tragica di lutti che colpì il nucleo famigliare come la morte per annegamento della già citata Leopoldine, e del marito, durante una gita in barca. Il primo figlio della coppia, inoltre, morì a pochi mesi, lo stesso destino che purtroppo segnò il resto della prole. A sopravvivere ai genitori fu solo Adéle, ma da un manicomio, dove fu internata al suo ritorno in Francia dal Nuovo Mondo.

Quel che visse la ragazza per amore è stato raccontato magistralmente da François Truffaut nel film del 1975, Adele H. – Una storia d’amore. Protagonista della pellicola una straordinaria Isabelle Adjani, giovanissima ai suoi esordi ma già così forte e capace di portare dentro di sé la sofferenza di Adéle. Truffaut basò il film sui diari ritrovati della figlia di Hugo, recuperati dalla ricercatrice statunitense Frances Vernon-Guille: furono pubblicati, anche se in Italia sono ancora inediti, e il regista francese ne rimase talmente colpito da volerne ricavare un lungometraggio. Truffaut descrive con queste parole la lavorazione: “Non volevo più sentir parlare del sole in un film d’epoca, né del cielo. Il film è diventato così sempre più serrato, claustrofobico; la storia di un viso”, proprio perché a monopolizzare l’attenzione dello spettatore, più degli eventi, sono le espressioni della Adjani, che sembra presti il suo corpo per dare l’opportunità alla vera Adéle di raccontare la sua storia, allontanando maldicenze.

Quella cosa incredibile da farsi per una ragazza, attraversare il mare e passare dal Vecchio Mondo al Nuovo per raggiungere il suo amante: quella cosa io la farò”.

Dice la Adéle della Adjani, e fu quello che attuò la figlia di Hugo anche nella realtà. Durante l’esilio del padre in Inghilterra, ricevette una proposta di matrimonio dall’ufficiale inglese Albert Pinson. La proposta fu rifiutata da lei e dai genitori (Hugo definì Pinson un soudard, mercenario), ma la giovane tempo dopo se ne innamorò perdutamente. E fu così che cominciò il suo calvario: seguì Albert ovunque egli fosse trasferito, dal Canada alle Barbados, rinunciando agli affetti famigliari e alla sicurezza economica della sua vita in Francia. Adéle si perse nel mondo, perse sé stessa ma, non le importava. Oltre all’amore, a dettarle questo sentimento logorante e disperato fu anche la schizofrenia, da cui furono affetti vari esponenti della famiglia Hugo. Tra le numerose lettere che inviò a Pinson, in una di esse gli scrisse: “Vi rendete conto quindi delle sofferenze a cui mi avete esposta non sposandomi? Mi avete inviato sul campo di battaglia della disperazione.” Di contro, nella corrispondenza che mantenne col fratello, scriveva ai suoi che l’ufficiale voleva sposarla, che erano fidanzati e attendevano con ansia l’assenso alle nozze di Hugo.

Adéle, alla fine, si ritrovò a vagare tra le strade di Bridgetown, e nei meandri caotici della sua mente. Pinson non era più interessato a lei, aveva compreso che non sarebbe mai stato accettato come genero dallo scrittore più famoso di Francia, e soprattutto non avrebbe mai beneficiato economicamente di quella parentela. Scacciò più volte Adéle che lo perseguitò, essendo Albert l’unico appiglio alla realtà che le era rimasto. Quando comprese che quel suo sogno d’amore non si sarebbe mai avverato, la donna si lasciò andare. Riuscì ad essere ricondotta in Francia, ovviamente a spese del padre, e trascorse il resto della sua vita in una clinica, dove si spense il 21 aprile del 1915.

Victor Hugo scrisse il componimento che segue per Adéle, nel 1856, ed è contenuto nella raccolta di poesie Les Contemplations: la figlia, in quel periodo, aveva già ventisei anni e da lì a poco sarebbe entrato nella sua vita Pinson, a sconvolgerle la mente. Quel che emerge dai versi è la preghiera di un padre per il benessere della figlia, la speranza che la vita segua il suo corso, e che l’affetto filiale lo confortasse fino alla fine dei suoi giorni. Lo scrittore non fu accontentato, poiché in sorte non ebbe come figlia la docile e dolce Cosette ma una giovane caparbia, che decise di donare tutta sé stessa, anche la sua sanità mentale, all’uomo che amava:

Bambina, mi dormivi accanto, fresca e rosea,

come un piccolo Cristo assopito nel presepe;

e il tuo puro sonno era così calmo e incantato

che non sentivi l’uccello cantare nell’ombra;

io, pensoso, aspiravo tutta la dolcezza oscura

del misterioso firmamento.

Ascoltavo gli angeli volare sul tuo capo,

e ti guardavo dormire; sulle tue fasce

sfogliavo piano garofani e gelsomini;

e pregavo, vigile sulle tue palpebre chiuse;

mi bagnava gli occhi il pianto, pensando a cosa

ci attende nella notte.

Un giorno toccherà a me dormire; il mio letto

fatto d’ombra, sarà così cupo e tremendo

che non sentirò più l’uccello cantare

e la notte sarà nera; allora, o mia colomba,

pianto, preghiere e fiori, renderai alla mia tombaciò che feci io per la tua culla

.

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