Lucida Mansi, la “bella degli specchi” che vendette l’anima al Diavolo per l’eterna giovinezza

by Germana Zappatore

“Sono venuto a prenderti, Lucida, l’ora è scoccata, dammi la mano”.

(Mario Tobino, La bella degli specchi)

Un po’ Faust un po’ Dorian Gray, per certi versi sposa sfortunata, indubbiamente donna bellissima, vanitosa, lussuriosa e crudele come una mantide religiosa. Era Lucida Mansi, nata Saminiati il 7 marzo 1606 a Lucca, morta a soli 43 anni in circostanze al limite delle leggi della natura e oggi protagonista di una leggenda che pervade di fascino e mistero due luoghi incantevoli della città toscana.

Figlia di nobili lucchesi, appena ventenne Lucida andò in sposa a Vincenzo Diversi che la lasciò vedova dopo appena due anni di matrimonio (fu ucciso presumibilmente per una disputa su confini controversi). Non tardò a rimaritarsi con un ricchissimo commerciante di seta, tale Gaspare di Nicolao Mansi. Un matrimonio di convenienza che permise a Lucida di continuare a vivere agiatamente, ma nulla di più. Il neomarito, molto più grande di lei, probabilmente trascurava la bellissima e giovanissima mogliettina che però trovò molto presto il modo di evadere da quella prigione dorata con un nuovo amore.

“Nella sua stanza – scrive Mario Tobino – popolò le pareti del suo nuovo amore: specchi di ogni foggia e misura, tersissimi, guardarono da ogni lato e quello di maggior confidenza fu sopra il letto a sostituire il tetto del baldacchino, così che Lucida sdraiata, le vesti non più necessarie, in questo si contemplava e dalle pareti gli altri specchi rubavano quanto potevano e se, per i movimenti, delle bellezze si nascondevano altre ne sorgevano”. E leggenda vuole che nascondesse uno specchio persino nel libro delle preghiere.

Il desiderio di sentirsi ammirata e al centro dell’attenzione (soprattutto maschile) la portò ad organizzare feste e banchetti sontuosi e a collezionare giovani amanti che uccideva dopo una notte di passione facendoli cadere in una botola del suo palazzo di Villa Mansi a Segromigno. Ecco come Arrigo Benedetti ne “Il passo dei Longobardi” descrive le gesta criminal-amorose della donna.

“Lucida riceveva fino all’alba, le bastavano poche ore di sonno. Gli amanti si rinnovavano; nella sua camera, dal soffitto e dalle pareti tutte specchi c’era la botola; questa era una voce diffusa a spiegazione di certe sparizioni. I compagni notturni, col passare degli anni vennero trovati sempre più spesso nelle acque grasse piene di cascami di seta, di lino e di canapa portati dai fossi sotterranei che attraversavano la città, di là dalle Mura, nel punto in cui le acque confluivano in un fossato maggiore”.

Ma l’amore per il proprio corpo, si sa, può essere un’arma a doppio taglio e alla comparsa dei primi segni del tempo che inesorabilmente stava passando, si narra che la bella degli specchi invocò il Diavolo con il quale fece un patto: l’eterna giovinezza per alcuni decenni in cambio dell’anima.

E così fu. Lucida Mansi continuò a vivere nel lusso e nella lussuria sfrenata senza invecchiare. Ma alla scadenza del patto Lucifero venne a presentare il conto. Secondo una versione della storia, al suo arrivo, Lucida salì sulla Torre delle Ore di Lucca per bloccare le lancette ed evitare che scoccasse la mezzanotte che avrebbe sancito la fine della sua giovinezza e della sua vita. Il tentativo fallì e il Diavolo la prese con sè su una carrozza infuocata che terminò la sua corsa nelle acque del laghetto dell’Orto botanico comunale.

Un’altra versione, invece, vuole la donna finire come i suoi innumerevoli amanti, secondo una sorta di legge del contrappasso di dantesca memoria.

“D’un lampo – scrive sempre Tobino – in grassi vermi si cambiarono le bellissime membra, d’un lampo fu come già da trent’anni fosse in preda alla morte; lo specchio non più sorretto dalla mano, si piegò nell’umido tanfo, e in un boato, che fu udito per tutta la pianura di Lucca, Lucida sprofondò nell’inferno”.

Ovvero una voragine apertasi nel pavimento di Palazzo Mansi in corrispondenza di una spaccatura ancora oggi visibile nella cosiddetta Camera degli Sposi e che corrisponderebbe alla famosa botola dove aveva gettato gli amanti.

Leggende, folklore e suggestioni a parte, Lucida Mansi – secondo alcuni documenti – sarebbe morta di peste il 12 febbraio del 1649 e questo darebbe anche un senso a quella parte di storia fantastica che la vorrebbe annegata nel laghetto dell’Orto Botanico: nel Seicento questo laghetto, infatti, fu il luogo di sepoltura di giustiziati, eretici e appestati.

Ma a noi, invece, piace immaginare che il fantasma della bella e voluttuosa Lucida ancora oggi si aggiri tormentata tra le stanze della splendida Villa Mansi e le rive del laghetto.

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