Valtesse de la Bigne, la Nanà musa di artisti e musicisti, che «ha usato tutti i mezzi che poteva» per far carriera a Parigi

by Caterina Del Grande

«Bisogna amare un po’ o molto, seguendo la natura, ma velocemente, in un istante, come si ama un canto degli uccelli, che parla alla propria anima e che si dimentica con la sua ultima nota, come uno ama i colori cremisi del sole nel momento in cui scompare sotto l’orizzonte».

Valtesse de la Bigne


I folti e lunghi capelli rossi, la carnagione pallida e gli enormi occhi azzurri le davano un aspetto unico che lasciava senza fiato il pubblico parigino. Ma la contessa Valtesse de la Bigne oltre che per la magnifica bellezza è passata alla storia anche per l’intelligenza, la scaltrezza e il culto del bello.

Pittrice, pianista e scrittrice affermata fu anche autrice di opuscoli politici. Il suo spirito acuto e il suo comportamento freddo erano leggendari mentre i suoi legami con i pittori le valsero il soprannome di “l’Unione degli artisti“.

Quando morì nel 1910, all’età di 62 anni, lasciò una grande casa piena di dipinti, oggetti d’arte e d’antiquariato: i simboli della sua carriera come una delle cortigiane di maggior successo in Francia. 

Ciò che era anche riuscita a nascondere benissimo erano le sue origini. Nata Émilie-Louise Delabigne, figlia illegittima di una prostituta e cresciuta in povertà. Grazie a un misto di bellezza e intelligenza, ha rapito e scandalizzato la società francese, annoverando nella sua cerchia personaggi del calibro di Manet e Zolà che a lei si ispirò per il personaggio della cortigiana bella e spietata Nanà.  

Risalendo dalla casta sociale più bassa, passando da un ricco corteggiatore all’altro, è salita ai vertici della società parigina del XIX secolo.

È stata maestra e ha avuto una relazione con la famigerata cortigiana Liane de Pougy, mentre i suoi legami con Napoleone III e il futuro re d’Inghilterra, Edoardo VII, hanno alimentato valanghe di pettegolezzi.

Prima di diventare “la Valtesse” era solo Émilie-Louise Delabigne: una ragazza parigina proveniente da una famiglia poverissima, che lavorava per sbarcare il lunario in una pasticceria nel quartiere operaio, ​​zona allora conosciuta come  Notre-Dame de la Lorette  dove fiorivano in particolare negozi di abbigliamento e pasticceria, impiegando una forza lavoro prevalentemente femminile. Il quartiere, proprio per la presenza di tante lavoratrici, era un punto di riferimento per gli uomini in cerca di relazioni amorose e non tutti armati di buone intenzioni. A 13 anni Louise perse la sua innocenza, violentata per strada da un uomo anziano che probabilmente l’aveva adocchiata in pasticceria.

Louise imparò sin da subito a prendersi cura di se stessa. Suo padre era un alcolizzato che non avrebbe avuto mai un ruolo nella sua vita e sua madre era una lavandaia e una prostituta. 

Molte di queste donne avevano il soprannome lorettes. Non erano come le famigerate prostitute di Pigalle, erano “lorettes” ovvero  “signore che solo occasionalmente si dedicavano  al lavoro sessuale per pagare un conto extra o due alla fine del mese.”

Louise lavorava anche in un negozio di abbigliamento intimo femminile, frequentato da nobiluomini in cerca di regali per le amanti. È lì che conobbe l’uomo che le spezzò il cuore e di cui si innamorò follemente. Ebbero due figlie ma lui non volle sposarla. E fu allora che decise che non si sarebbe mai sposata ma si sarebbe concentrata sul raggiungimento dei suoi traguardi personali: la ricchezza e la fama.

“A 20 anni era pronta per uscire da lì”” spiega la storica Joëlle Chevé in un documentario francese del 2017 sulla sua vita, Valtesse de la Bigne, Visites privies, “e ha usato tutti i mezzi che poteva”.

Divenne la migliore lorette, una maestra nell’arte della conversazione e una donna tanto affascinante quanto colta. Scelse un nome nuovo, dal suono aristocratico: “Valtesse” che suonava come la frase francese “Vostra Altezza” (“Votre Altesse “) e accrescendo l’allure intorno alla reputazione che si stava costruendo.

La sua grande occasione arrivò quando conobbe il compositore Jacques Offenbach che la introdusse in tutti gli ambienti più esclusivi. Divenne l’amante e musa ispiratrice di molti artisti, come Edouard Manet, Henri Gervex, Gustave Coubert, e altri pittori famosi.

Divenne l’amante di Jacques Offenbach, il compositore e fondatore dei Bouffes-Parisiens, e apparve come Ebe nel suo Orfeo degli Inferi. Frequentò il principe Lubomirski di Polonia, che la coprì di abiti, cappelli, gioielli e persino di una nuova grande residenza. 

Si soprannominò persino “Comtesse” (Contessa) e fece dipingere dal pittore Edouard Detaille (un altro cliente- corteggiatore) ritratti di suoi nobili antenati immaginari. Adottò il blu come suo colore distintivo per abbinarsi ai suoi grandi occhi azzurri e si scelse il soprannome di “Rayon d’or” (raggio d’oro), in riferimento ai suoi capelli rossi dorati.

Dai suoi amanti pretendeva abiti e gioielli preziosi, case, viaggi, servitù, serate in luoghi esclusivi, tanto che non ammise nella sua camera da letto lo scrittore Alexandre Dumas dicendogli: “Caro signore, non è nei tuoi mezzi”.

Famossisimo era il suo letto a forma di trono, che Émile Zola usò come modello per il mobile decorato commissionato dalla sua Nanà, pubblicato per la prima volta a puntate lo stesso anno del ritratto che le fece Manet. 

Valtesse incaricò il designer di mobili Édouard Lièvre di creare un enorme letto in stile rinascimentale modellato sui letti cerimoniali utilizzati nel periodo medievale da personaggi eminenti quando ricevevano visitatori nella loro camera da letto. Il letto era in faggio e bronzo dorato ed era alto più di 4 metri. Le sue colonne sostenevano un grande baldacchino rettangolare decorato con vasi d’oro e intricati lavori a traliccio floreale, tra i quali si poteva vedere la lettera “V” a intervalli regolari. 

A cinquantamila franchi (un terzo del prezzo di una villa all’epoca), la spesa sconvolse anche gli amici di Valtesse.

Oggi, i visitatori possono ancora ammirare il letto in bronzo dorato del Musée des Arts décoratifs, a Parigi.

Gli uomini l’apprezzavano per il suo umorismo e la sua conversazione quanto per la sua bellezza. Nel 1876 Valtesse scrisse un romanzo per lo più autobiografico sotto lo pseudonimo di “Ego” chiamato Isola , in cui una donna rossa di capelli e bellissima come lei cade nella prostituzione dopo aver subito il trauma di uno stupro.

Più tardi nella vita, vendette le sue case di Parigi e Montecarlo e si ritirò nel sobborgo di Ville d’Avray per insegnare alle giovani future cortigiane le usanze del mondo. Alla sua morte nel 1910, lasciò in eredità il suo letto e i suoi ritratti ai musei francesi con la clausola che fossero esposti con targhe che identificano la loro fonte come la “Valtesse de la Bigne”.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.