Vanessa, Vita e Virginia, le tre V di Bloomsbury e la storia di un’artista ribelle

by Antonella Soccio

Era una figura centrale del gruppo di Bloomsbury: Vanessa Bell (1879-1961), sorella della più nota Virginia Woolf, è ormai riconosciuta nell’arte britannica ed europea come una importante ritrattista del 20esimo secolo. Inventò un vero e proprio nuovo linguaggio espressivo e visuale con i suoi lavori pionieristici su ogni genere di ritratto, scena di vita quotidiana e paesaggi che esplorano il suo fluido approccio alla vita.

La reputazione di Bell, si sa, è strettamente legata alla sorella Virginia e alla sua salute mentale, alla sua fragilità, abitualmente ci si concentra sulla sua esposta preoccupazione per la sua famiglia: è stata vista nei decenni essenzialmente nel suo ruolo di sorella della grande scrittrice inglese, autrice dei saggi che sono stati l’incipit del femminismo mondiale, Le tre ghinee e Una stanza tutta per sé, e dei romanzi del flusso di coscienza, come To the Lighthouse.

Vanessa viveva in una casa dei sogni, libertaria e libertina, la Charleston Farm, nel sud est inglese, nel Sussex, la stessa casa che dipinge nel 1950, solida e squadrata come i disegni dei bambini. Due file di finestre, un tetto rosso e i fumaioli. È la Charleston Farm il cuore fisico e organizzativo della vita intellettuale del gruppo di Bloomsbury.

Era stata la sorella Virginia a suggerire a Vanessa quella casa di campagna ad un’ora da Londra, come posto ideale per la sua famiglia e per il gruppo di intellettuali loro amici. L’aveva definita “absolutely divine”.

Vanessa aveva una famiglia allargata di parenti e amici: 3 figli, Julian, Quentin e Angelica, un ex marito Clive Bell e il pittore omosessuale scozzese (assai meno talentuoso di lei), confidente sentimentale e suo grande amore, Duncan Grant, padre di Angelica e che per molti anni fu inseparabile dallo scrittore David Garnett, di cui era pazzamente innamorato, ma che dopo una ventina d’anni avrebbe sposato proprio Angelica, naturalizzata Bell dal patrigno Clive.

Solo a 18 anni Angelica seppe chi era il suo vero padre: la scrittrice e anch’ella pittrice come la madre scriverà poi l’autobiografia “Ingannata con dolcezza”, in cui spiegherà il suo profondo trauma e il rapporto di specchi con sua madre Vanessa.

Frequentava la villa di campagna anche Roger Fry, altro suo amico. Insieme a Virginia e a Leonard bazzicavano la sua casa tantissimi amici eccentrici come Morgan Forster, Thomas Eliot, Benjamin Britten, Katherine Mansfield, Lytton Strachey. I bambini erano liberi di girare nudi per casa e di pasticciare col fango, gli ospiti leggevano silenziosi o conversavano brillantemente sull’arte, la politica. È qui che Vanessa introietta la tavolozza dei suoi colori, sperimentando anche l’astrattismo e sviluppando il suo distintivo e non convenzionale modo di vedere il mondo.

Il suo stile muove dall’Impressionismo, ma riesce a spostarsi in maniera radicale in un post Impressionismo, tipico di Bloomsbury.

I ritratti di Vanessa, esposti in una grande retrospettiva alla Dulwich Picture Gallery, sono intensi, dai colori pieni, ancorati in spazi e paesaggi che ispirano libertà e che incorporano la visione del Fauvismo e del Cubismo, inglobandola in uno stile personale e inconfondibile. Fu una delle prime nel movimento dell’arte britannica a provare l’astrattismo nel 1914, ma subito Bell ritornò alla figurazione, che meglio le permetteva di sviluppare il suo mondo interiore e di proseguire con i ritratti dei soggetti femminili.

Nelle sue opere piene di luce sembra intravedere il suo innovativo e bohemian carattere di madre, che sempre cercava di ribaltare gli standard repressivi e conformistici vittoriani.
Charleston, la casa del colore, come spiega Sandra Petrignani nel suo libro “La scrittrice abita qui”, era il castello di favola costruito per il suo amore, lasciando il successo agli altri: alla sorella, agli amici, a Duncan Grant.

Le due sorelle, complementari e dall’animo così diverso, era assai dissimili. Se Virginia viveva i suoi tormenti nei suoi personaggi e nelle voci che le infestavano la testa e l’anima, Vanessa invece sapeva inscenare la perdizione femminile. Ballava nuda, a seno scoperto, durante le sfrenate serate bloomsburiane, teorizzava il libero amore, bandiva la gelosia e si ficcava spesso in ménage à trois, laddove Virginia invece si chiuse fin da subito in una monogamia asessuata, ma sicura e rinsaldata dal legame indissolubile dell’editoria. Fino a quando non comparve la terza V della storia di Vanessa e Virginia: Vita. L’irresistibile Vita Sackville-West incedeva a grandi falcate e fa innamorare la scrittrice inglese che le dedica il romanzo Orlando.

“È capace di prendere la parola in qualsiasi assemblea, di controllare la servitù, l’argenteria, i cani. E poi c’è la sua maternità (anche se coi figli è freddina, sbrigativa). Insomma lei è (cosa che io non sono mai stata) una vera donna”, scrive Virginia sulla sua Vita. Al tipo delle vere donne apparteneva anche Vanessa, che Virginia si diverte ad ingelosire. Prima di Vita solo Vanessa era stata importante per la grande scrittrice. Nessa (il diminutivo con cui tutti la chiamavano) era colei che del resto disegnava le copertine dei suoi libri, con linee geometriche, fiori e oggetti sbilenchi. Oggetti di una allegria infantile contornati dalla bella calligrafia con cui è scritto il nome dell’autrice. 

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