Titina Maselli, l’astro vagabondo dell’arte contemporanea, che dipinse i conflitti dell’ipernatura newyorkese

by Michela Conoscitore

Erano in tanti innamorati di lei. Anzi, nel mio ricordo di fratello minore incantato e adorante, lo erano tutti.

Il regista Citto Maselli ricorda così la sorella pittrice Titina Maselli, astro vagabondo dell’arte contemporanea italiana, la sua vita è stata essa stessa un fenomeno artistico non inscrivibile in alcun movimento o corrente. Titina ragionava con la sua testa, filtrava realtà e apparenze dando sempre una lettura personale di fenomeni e prospettive, per lei aderire ad un qualcosa di prestabilito, a canoni non le avrebbe assicurato la libertà di cui si nutriva, e attraverso la quale sapeva esprimere al meglio i cambiamenti del mondo.

Si può affermare che Titina fosse figlia d’arte, in tutti i sensi: nacque a Roma nel 1924, il padre Ercole, di origini molisane di Pescolanciano, era un celebre critico d’arte mentre la madre Elena era imparentata con la famiglia Pirandello, la sorella era moglie del primogenito dello scrittore. Qualche anno dopo a Titina si aggiunse il fratello Francesco, detto Citto, che avrebbe compensato il carattere volitivo della sorella. ‘Nonno’ Luigi Pirandello, come lo chiamava il piccolo Francesco, trascorreva numerosi pomeriggi nella casa romana dei Maselli, così i due ragazzi crebbero circondati da un vivace ambiente intellettuale. Spesso tornavano a Pescolanciano, a cui Titina più riflessiva si sentiva particolarmente legata, era in comunione con quei luoghi, complice anche il padre che glieli aveva fatto amare.

Eppure, la vita di Titina era a Roma, per quanto la futura artista amasse la tranquillità del borgo molisano, la giungla urbana della Capitale l’accendeva, metteva in moto meccanismi arcani che facevano scattare nella sua mente fantasie e visioni, trasmigrate poi su tela. Dopo il liceo classico, si iscrisse alla facoltà di Lettere ma durò poco. Titina aveva deciso, voleva dipingere. Fondamentale si rivelò l’incontro con Toti Scialoja, allora uno dei massimi esponenti della Scuola Romana, lo conobbe nel 1941 e nel 1945 si sposarono. Nel frattempo, nel 1944 Titina partecipò con tre sue opere alla prima mostra, e visse l’emozione di un quadro acquistato dal mecenate Riccardo Gualino.

La vocazione artistica di Titina non fu mai soffocata dalla famiglia, anzi era una predestinata, unico percorso di vita adatto a lei. Tuttavia era appena entrata in questo mondo, stava cercando un suo stile che dopo i primi esperimenti giovanili aveva fatto a meno del lirismo per addentrarsi sempre più nel mondo reale, quello moderno e veloce della metropoli. Nature morte, oggetti, una bistecca come una macchina da scrivere vantavano la stessa dignità di essere ritratte per la pittrice in un quadro. La colorimetria di questi anni era cupa, seppur in modo differente, si intravedevano reminiscenze di Chaïm Soutine, quell’abilità di cogliere l’ignorato, il deprecabile e renderlo soggetto d’arte. Spesso la si incontrava a Piazza Fiume, di notte, girava sola in cerca di vedute urbane, unico habitat possibile per l’uomo secondo lei, e d’ispirazione. Col suo cavalletto, in una Roma ancora invasa dalle macerie dei bombardamenti della guerra, Titina trascorreva così le sue notti, “in un isolamento forsennato e orgoglioso, sempre e solo uguale a sé stessa”.

Comunque non mancava alle riunioni a casa dell’amica Maria Bellonci, Titina continuava a frequentare l’ambiente culturale romano entrando in confidenza con Alberto Moravia ed Elsa Morante. Si susseguivano le mostre, a Roma come in altre città, ma al termine del rapporto con Scialoja, Maselli decise di trasferirsi a New York. Con sole ottantamila lire in tasca, prese l’aereo e partì per il viaggio della sua vita. Nell’istrionica metropoli statunitense, Titina conobbe un’evoluzione significativa della sua arte, vivificata da quegli scenari dinamici e movimentati che con Roma avevano poco in comune. Probabilmente aveva trovato la sua vera dimensione.

Io allora ero solissima, si faceva tutt’altra pittura intorno, mi sono appoggiata a un rapporto molto ossessivo con le cose che volevo dipingere, cercando di non avere una ricerca stilistica, se non per esclusione.

A New York ci rimase fino al 1955, entrò in contatto con la Pop Art ma senza lasciarsi mai influenzare. I suoi quadri ritraevano vedute sconfinate di grattacieli, molto ferro, i suoi amati notturni, gli sportivi, che iniziò a disegnare già in Italia, mentre i colori della tavolozza diventavano più accesi. Nel 1953 espose i suoi quadri americani, oltre che a New York, anche alla Biennale di Venezia. Gli Stati Uniti l’arricchirono di intuizioni catalizzanti, aderendo alla sua visione di futuro.

New York la dipingo ogni giorno anche adesso; la suggestione è stata così forte, questa ipernatura che è diventata un punto di partenza insostituibile.

Al seguito del secondo marito, il diplomatico Marco Francisci, dopo una breve permanenza a Roma si spostò in Austria. Nel 1958 il ritorno a Roma, dove trascorse tutti gli anni Sessanta, riallacciando i rapporti con l’ambiente culturale romano e tornando ad esporre alla galleria che, per prima, aveva accolto i suoi quadri, L’Obelisco.

Io ho sempre cercato di prendere dalla realtà degli elementi simbolicamente drammatici, e poi però ragionarli. Loro vogliono dipingere la cosa in sé. Io invece intendevo dipingere dei conflitti.

In questi anni romani, Maselli sperimentò una sorta di gigantismo nelle sue tele, gli spazi estesi di New York le erano rimasti dentro, e li riportava su tela. Ma non solo, subiva anche il fascino del cinema, partecipò ad un film di Giuseppe Patroni Griffi e ritrasse Greta Garbo in uno dei suoi quadri più celebri. Nel 1968, al termine del matrimonio con Francisci, Titina assecondò ancora una volta la sua natura girovaga e si spostò a Parigi, dove l’attendevano suoi cari amici.

Bella ed elegante, i grandi occhi interrogativi, il caschetto di capelli neri come l’ebano, il profilo acuto, il volto intento e mobile, Titina seduce i francesi”, scrisse Rossana Rossanda raccontando gli anni parigini dell’artista, che divenne un’artista molto apprezzata anche Oltralpe, dove espose spesso i suoi quadri, quelle sue ricerche in acrilico dove ha esplorato “la materia percorsa d’energia”. Tornava spesso a Roma, per stare vicino alla madre rimasta vedova, e mantenendo vivi i rapporti con l’ambiente artistico italiano. A Parigi cominciò a creare anche scenografie teatrali, una delle sue collaborazioni più proficue in quest’ambito è con il regista Bernard Sobel.

Si divise tra Roma e Parigi, dove mantenne il suo studio donatole dalla Francia a vita, fino agli anni Novanta quando si stabilì definitivamente a Roma. Instancabile nella sua ricerca, dedicandosi a pittura e scenografia, Titina Maselli raggiunse un riconoscimento non solo artistico ma anche umano, di donna che caparbiamente ha viaggiato in epoche e nazioni assai diverse tra loro mantenendo la sua purezza astrattiva, fedele a se stessa e a nessun’altro.

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