Tutte le donne di Eduardo De Filippo

by Teresa Rauzino

Eduardo De Filippo è un autore che non ha bisogno di essere presentato. Le sue commedie, grazie anche alle riprese televisive e ai film, sono note anche a chi non ha avuto la fortuna di assistere agli spettacoli dal vivo. Ma proprio perché Eduardo è troppo noto per il suo carisma di attore, non sempre ha avuto, da parte dei critici letterari, il giusto riconoscimento come grande autore del teatro mondiale. Fondamentale, per la valutazione critica, è la recente attenzione di Anna Barsotti, che ha aperto ‘nuove strade’ per la conoscenza del teatro di Eduardo.

Tra gli studiosi che si stanno cimentando nel lavoro di analisi testuale delle opere, spicca Barbara de Miro d’Ajeta. Foggiana, è stata docente di storia del teatro e dello spettacolo presso l’Università ‘l’Orientale’ di Napoli. Il suo amore per il teatro di Eduardo non è cattedratico, ma vivo e sentito. Nasce da un recupero memoriale, risalente al tempo in cui il padre Vittorio, di origini partenopee, professore e preside del Liceo Lanza nonché sindaco di Foggia, recitava a memoria le più belle piéce di Eduardo. La famiglia de Miro d’Ajeta al completo assisteva ‘incantata’ alla declamazione dei ‘pezzi forti’ del suo repertorio.

Autrice di sillogi poetiche, Barbara de Miro ha approfondito il teatro eduardiano. Fondamentale il suo primo libro: ‘Eduardo De Filippo. Nu teatro antico, sempre apierto’ (Edizioni Scientifiche Italiane, pp. 430, ill. 1993). Nel secondo volume ‘La figura della donna nel teatro di Eduardo de Filippo‘, sonda ed approfondisce un tema inedito e intrigante: l’universo femminile, protagonista dell’opera del grande erede di Scarpetta e del teatro ‘popolare’ partenopeo.

La de Miro focalizza l’attenzione del lettore sull’evoluzione che porta Eduardo prima ad osservare, e poi ad evidenziare nei suoi personaggi, le nuove dinamiche psicologiche, che muovono l’agire e l’essere delle donne nel mondo contemporaneo. Eduardo, nelle opere d’esordio, aveva assunto un punto di vista maschilista, rispecchiando, in un certo senso, quello che era il sentire comune nel Ventennio fascista: la donna era ‘fissata’ nello spazio limitante delle quattro mura domestiche, nel suo ruolo di sposa e madre esemplare, angelo del focolare, cui erano preclusi ‘altri varchi’, altre uscite nel mondo.

Nel secondo dopoguerra, De Filippo, attento sensore delle dinamiche in atto, registra i cambiamenti della società italiana: le sue donne diventano le protagoniste di una microstoria che non è solo personale, ma testimone del tempo. Concetta Cupiello, Amalia Jovine e Filumena Marturano, per citare le più note ‘eroine’ di Eduardo, incarnano una figura di donna consapevole del proprio ruolo nel mondo. Sono donne forti, che ‘appaiono deboli’ agli occhi del partner soltanto perché, a differenza del maschio, si mettono continuamente in gioco: non vogliono rinunciare a quei turbamenti, a quelle incertezze, alle sensibilità, a tutte quelle peculiarità che marcano la loro profonda differenza. Donne mature che sanno rinunciare, se necessario per l’equilibrio del loro microcosmo familiare, oltre che all’amore, all’assunzione di un ‘punto di vista’ meramente femminista, al loro pieno potere.

Le donne di Eduardo sono tantissime, tutte diverse tra loro, la De Miro d’Ajeta le analizza nel vivo delle azioni sceniche. La casistica psicologica è oltremodo variegata: molte sono ribelli alle grette convenzioni piccolo borghesi, reagiscono anche violentemente per affermare il proprio punto di vista contro il mondo circostante. Queste donne talvolta anticipano idee ancora oggi non ancora pienamente interiorizzate dai più. Rivendicano pari dignità, infrangendo una consolidata ottica maschilista, per affermare ad esempio che il tradimento della moglie non è affatto più immorale di quello del marito. Rivendicano la libertà di agire autonomamente, di avere un proprio spazio sociale ed un posto di lavoro.

Tutti ricordiamo la personalità di Concetta che in “Natale in casa Cupiello” assume un ruolo prevaricante sul protagonista maschile. Luca è un sognatore, un eterno fanciullo alle prese con il suo presepe mentre il mondo gli sta crollando addosso, degno rappresentante di quell’uomo inetto tipico di tanta letteratura dell’Ottocento e del Novecento. Solo di fronte alle difficoltà, si sveglierà dal letargo per riprendere il ruolo da troppo tempo demandato alla responsabilità della sua donna che, proprio perché ha agito, ha sbagliato, ma ha anche avuto l’umiltà di riconoscere i propri errori. La donna “porta sì ‘o cazone’ (i pantaloni)”, ma il suo è stato quasi un ruolo obbligato, assunto per supplire alla plateale irresponsabilità del suo partner.

In fondo, Concetta è ancora radicata al regime patriarcale: è buona amministratrice dell’economia domestica, si sacrifica per la famiglia, è depositaria della privacy dei suoi figli che le confidano i loro segreti e le loro aspirazioni, e saprà uscire dal suo ruolo egemonico appena il marito, finalmente conscio dei suoi doveri familiari, gliene darà la possibilità. Dopo che sarà passata “a ‘nuttata”, Concetta rientrerà in un ruolo compartecipato: Luca abbandonerà la virtualità del presepe per rientrare nel vivo della sua famiglia reale, fino ad allora rimossa.

A Napoli la guerra è finita da appena sei mesi, ma i tedeschi non hanno ancora lasciato l’Italia. Quasi tutte le sale sono requisite. Eduardo ottiene il teatro lirico per una sola rappresentazione a beneficio dei bambini poveri della città. Il 25 marzo 1945, alle ore sedici e trenta, in un silenzio teso, si alza il maestoso sipario del San Carlo per la rappresentazione di “Napoli milionaria!”.

Amalia Jovine, protagonista della commedia, esce dall’ambito della casa-presepe, che aveva limitato l’orizzonte del Natale in casa Cupiello: la storia della sua famiglia diventa drammatico emblema, e spaccato, di una società postbellica che sembra aver smarrito i suoi punti di riferimento ideali. È una storia che apre una finestra sulla vita ‘spericolata’ dei bassi napoletani, come di tutti i bassi delle città appena uscite da una guerra ‘totale’ lunga e alienante. L’avidità di Amalia, la sua spietatezza sono elementi del tutto nuovi nella tipologia femminile cui ci aveva abituato il teatro di Eduardo.

L’evento della guerra ha rivoluzionato il costume, i connotati delle figure femminili sono cambiati profondamente. Eduardo registra fedelmente ciò che è accaduto: la profonda crisi della cellula familiare, scossa nelle fondamenta, è aderente alla realtà storica. Anche le altre donne di “Napoli milionaria!”, insieme ad Amalia, raccontano modi di vivere e di pensare di una società che non è soltanto partenopea: in tempo di guerra hanno dovuto affrontare, per vari motivi, emergenze economiche per loro inusuali. Lo hanno fatto consapevolmente, prendendo in carico i rischi e le responsabilità di devianze dalla morale del tempo.

Il sogno delle ragazze che hanno ceduto alle avances dei soldati anglo-americani era di accedere ad un mondo diverso, affrancandosi dalla povertà dell’Italia. Sognavano che i seduttori le sposassero e le portassero con sé in America. Sogno americano, spesso infranto dal cinismo dei soldati che, dopo lo sbarco in Italia, si comportarono con le donne italiane come si comportano, nei territori occupati, i soldati di tutti i tempi in ogni luogo del mondo: alla seduzione seguiva l’abbandono.

C’è un altro anticipo rispetto ai tempi: la rivendicazione dei diritti umani delle prostitute, un tema che diverrà eclatante in Filumena Maturano, con un concetto ‘moderno’ non ancora accettato dalla società contemporanea: la compartecipazione dei clienti nella responsabilità morale della prostituzione. Un’azione che invece, in passato come oggi, è pesata e pesa soltanto sulle spalle delle donne.

Nella più lunga, meticolosa e bella didascalia mai scritta da Eduardo, Filumena, la più celebre e consapevole eroina del suo teatro, appare in scena mentre le ultime luci del giorno dileguano. È in piedi sulla soglia della camera da letto, le braccia conserte in atto di sfida; in camicia da notte, piedi nudi nelle pantofole scendiletto, capelli in disordine, con qualche filo grigio che denuncia tutti i suoi quarantotto anni e un atteggiamento da belva ferita, pronta a spiccare il salto sull’avversario.

Lo spazio scenico riservato a questa donna, valutata stizzosamente da Domenico Soriano soltanto ‘tre sorde (tre soldi)’, assurge ad emblema del nuovo spazio riservato alla donna nel mondo contemporaneo. In un mondo di donne-oggetto, Filumena si pone come soggetto volitivo, e soprattutto pensante. È in questo la vera portata rivoluzionaria del personaggio. Singolare è il fatto che questa ex prostituta avanzi dei diritti come il rifiuto di abortire i figli della colpa, la volontà di crescerli e di presentarli a testa alta nella società. Diritti fino allora negletti non solo alla sua marchiata categoria sociale, ma alla donna in genere. Il dramma della Maturano culmina in un celebre monologo, quello della ‘Madonna d’ ‘e rrose’, che Titina de Filippo ebbe l’onore di recitare davanti a papa Pio XII, in un’udienza speciale. In esso Filumena narra di quando, incinta del primo figlio, e incerta se abortire, affrontò a tu per tu l’immagine di una Madonna posta su un altarino eretto nel bordello, come in tanti vicoli di Napoli, e le parve di sentirsi rispondere: ”E figlie so’ figlie!’ Questo leit-motiv accompagnerà le decisioni più importanti della sua vita, l’incoraggerà a non abortire, a rifiutarsi di svelare a Domenico Soriano quale dei tre giovani sia effettivamente suo figlio.

È interessante sapere che “Filumena Marturano” nacque da una precisa rivendicazione di Titina de Filippo, conscia del nuovo ruolo delle donne in un teatro non più maschilista: stanca di fare da spalla al più celebre fratello, reclamò un ruolo da protagonista. Chiese ad Eduardo di delineare un personaggio apposta per lei, così come faceva solitamente quando si ritagliava dei perfetti ruoli maschili per le sue ‘prove’ di prim’attore.

L’interpretazione di questo personaggio segnò il trionfo non solo per Titina, ma per tutte le grandi attrici che si sono cimentate, nel corso degli anni, nel difficile ruolo, sia in teatro che al cinema. Chi non ricorda in “Matrimonio all’italiana” la esaltante prova d’attrice di Sofia Loren primeggiante su uno slavato Marcello Mastroianni, schiacciato nel ruolo di Domenico Soriano?


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