Alcol e giovani

by Davide Leccese

Mentre si discute – con alterne e contrapposte posizioni – sull’uso delle droghe, leggere o pesanti, da parte dei giovani, pochi, pochissimi hanno il coraggio di affrontare la condizione, molto più grave e diffusa, dell’alcolismo giovanile. Tutti hanno la consapevolezza che gran parte degli incidenti automobilistici, con morti a carico, nelle cosiddette “stragi del sabato sera”, è causata dall’abuso di bevande alcoliche, unite a spinelli o pasticche, condite da un fracasso indiavolato che attutisce, se non sconvolge – per un tempo considerevole – l’equilibrio e la capacità di controllo di questi ragazzi.

Sono pochi che decidono di approfondire il grave connubio tra alcolismo e disturbi alimentari dei giovani (anoressia e bulimia).

I numeri delle ricerche dell’Istituto Superiore di Sanità parlano chiaro. In Italia oggi ci sono 870.000 giovani che dichiaratamente “bevono”. E questo dato si riferisce solo all’età legale! Il limite italiano è sedici anni. Il 7/100 di loro bevono fino a ubriacarsi almeno tre volte a settimana. Secondo una statistica svolta dall’Unione Europea, in Italia c’è l’età più bassa per quanto riguarda l’avvio all’alcool (dodici anni). In Europa è stimata intorno ai quindici anni. Secondo un altro dato il 10/100 dei giovani che spesso, come programma serale, vanno a bere, diventano dipendenti, alcolisti per tutta la vita. L’alcolismo giovanile tocca soprattutto la classe di età dei 14-17enni. Chi da solo, chi in gruppo beve prima di andare a scuola, nel fine settimana, per essere più sciolti con gli amici e soprattutto con il sesso opposto, per sopportare la tensione oppure semplicemente per divertirsi.

Sta salendo il pericolo della visione della vita come “consumo”, delle pseudo-soluzioni sia dei momenti esaltanti sia deprimenti dell’intricata esperienza giovanile.

Gli esperti del settore vanno cauti nello spaccare i giovani in due categorie: quelli in pericolo di alcool e quelli del tutto immuni. Chi frequenta i giovani da tanti anni, come chi scrive queste riflessioni, ha potuto convincersi che l’alcool è sentito da molti giovani come un forte (ma equivoco) collante della socialità, oltre che come “medicina” per pensieri pesanti o emozioni non decifrabili nello scompiglio dei sentimenti di questi giovani, più vittime che carnefici di se stessi e della società che li ipnotizza.

L’alcool per dimenticare, per potenziare le capacità di aggredire le situazioni, per immergersi in una sorta di limbo che posticipa (in apparenza) l’angoscia, per mettere a tacere le inibizioni e fingere di avere un compagno contro la solitudine.

Di sicuro sono più tentati di darsi all’alcool le personalità ansiose e quelle definite “antisociali”, non escludendo i fattori parentali e genetici.

L’Istituto Superiore della Sanità ha proposto questo decalogo:

  1. I giovani per natura sono poco inclini al conformismo. E bene allora sfruttare questa sana predisposizione per osservare e smontare con loro le pubblicità sugli alcolici trasmesse dai media. Può essere un ottimo esempio per incrementare la capacità critica su ciò che la pubblicità promette e che poi, di fatto, non trova riscontro nella realtà quotidiana.
  2. I ragazzi sempre più frequentemente bevono per superare difficoltà di relazione, e assumere un ruolo all’interno del gruppo. Quando l’alcool acquista un valore comportamentale, ai genitori spetta un ruolo chiave: dare il buon esempio, creando un ambiente familiare in cui la presenza dell’alcool è visibile ma discreta. E il consumo moderato.
  3. Parlare ai giovani, fin da quando sono bambini, dei danni e dei rischi legati all’alcool. Esordire con questo tipo di discorsi in età adolescenziale, quando tutto è soggetto a critica e frutto delle esagerazioni dei genitori, può anche essere controproducente.
  4. Insegnare ai giovani che prima dei quindici anni l’apparato digerente non è ancora in grado di smontare l’alcool, perché il sistema enzimatico non è completamente sviluppato. Le ragazze inoltre, e in generale tutte le donne, sono in grado di eliminare la metà di una dose d’alcool che riesce a metabolizzare un uomo.
  5. Sia le adolescenti sia le donne adulte devono sapere che l’alcool nuoce al feto. Il nascituro non è dotato di sistemi enzimatici capaci di smaltirlo. Sono sufficienti due bicchieri di bevanda alcolica al giorno per pregiudicare la salute del bambino, e distruggere i neuroni di un cervello ancora in formazione.
  6. E ancora: Un preciso limite separa il consumo dall’abuso. E bene, dunque, preparare i giovani, informandoli su come le performance individuali cambino sotto l’influenza di un abuso alcolico. Anche una banale serata in pizzeria può trasformarsi in una situazione a rischio quando si deve tornare a casa in motorino.
  7. Insegnare ai ragazzi a leggere le etichette e analizzare con loro le bottiglie e le lattine contenenti alcool da cui sono attirati per la forma, il colore e il sapore. Serve a far sentire più complici i genitori, ma al contempo è un’occasione per evidenziare particolari importanti, spesso trascurati, come, ad esempio, la gradazione alcolica.
  8. Spiegare ai giovani che il nostro organismo richiede nel tempo quantità sempre maggiori di alcool per provare le stesse esperienze di piacere. L’obiettivo di sentirsi più disinvolti, loquaci ed euforici richiede quantità progressivamente crescenti. I bicchieri aumentano, si perde il controllo ma si diventa anche dipendenti dall’alcool.
  9. Coinvolgere i figli nell’organizzazione di una festa o di un semplice incontro può essere l’occasione per dimostrare che ci si può divertire anche con le sole bevande analcooliche.
  10. I genitori dovrebbero compiere un training lungo tutto il percorso di vita dei figli, orientandoli al consumo di bevande analcooliche (non solo a casa, ma anche al ristorante o in pizzeria), non favorendo un consumo precoce, e dando sempre un esempio di moderazione.

Davide Leccese

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