Io e Charlie, Capitolo I. Compagno di sbronze

by Massimo Fragassi
charles-bukowski

La prima volta che incontrai Bukowsky avevo 18 anni e vivevo a Roma. Era il 1992 e molte cose, di lì a poco, non sarebbero più state le stesse.

Sui giornali imperversava Tangentopoli e il processo ad Andreotti, un lampo a Capaci illuminò l’ora più buia svegliando dal sonno un Popolo intero e in un paesino sconosciuto dei Paesi Bassi nasceva l’Unione europea. Le notizie più sorprendenti – e, a loro modo, rivoluzionarie – giungevano dal mondo musicale:  Albano accusò di plagio Re Jacko, i Nirvana pubblicarono Nevermind e l’immensa Mimì non vinse Sanremo (anche quell’anno).

All’epoca abitavo al Quartiere Trieste, un sobrio crocevia di famiglie agiate e studenti fuorisede, a poco più di due passi dall’Università e – per quel che per me più contava – a sette, interminabili, salvifiche ore di Espresso da Foggia.

A 18 anni si è incendiari per vocazione, ed io non facevo eccezione: irreperibile per giusta causa (a quel tempo il telefonino era solo un’audace leggenda) e lontano – molto lontano – da casa, scoprii all’improvviso il fervore liberatorio e irresponsabile della ribellione. Da lì, il passo fu breve: le pareti di casa proliferarono di foto del Che, nel mangianastri l’Avvelenata di Guccini in loop e sulle mensole impolverate di solide incertezze gli “Scritti Corsari” di Pierpaolo e la “Solitudine” di Gabo a indicare la via.

Tutto, insomma, portava a Cuba, ai Barbudos, alla perenne e irrisolta guerra tra il Bene e il Male, tra il Probabile e il Possibile e forse quell’aereo per l’Havana, un giorno, l’avrei preso davvero se quel pomeriggio anonimo di un uggioso martedì di fine Ottobre non avessi incontrato Charlie, per la prima volta. 

Una pioggia lieve ed obliqua bagnava il marciapiede colorato di foglie e di autunno: ero appena uscito dalla sala, confuso e felice. Quel regista dal nome strano (Quentin, ma il cognome era italiano), mi aveva folgorato come solo certi sguardi, fugaci e irrisolti. “Gran film”, pensai, a dispetto del titolo. “Non chiamerei così neanche un programma televisivo” (Le Iene. Appunto).

Quelli colti la chiamano “osmosi”, con la saccenza tipica di chi ha studiato e te lo vuole far pesare. Io – a quel travaso emotivo, meccanico e inatteso – non so ancora dare un nome, fatto sta che dopo quella visione fui sopraffatto dal desiderio intimo e carnale di una buona lettura, di quelle sazie e rotonde, come certi pranzi che “solo la mamma”.

Nel 1992 Jack Frusciante era uscito dal gruppo, Moccia dimostrava al mondo che tre metri sopra al cielo ci si annoia lo stesso (e tanto)  e Nick Hornby – il mio amato Nick Hornby – dava alle stampe “Febbre a 90°” (può un romanzo pop farsi di stile di vita? Sì. Punto.).

I libri, si sa, sono come le stelle: a vederle da lontano sono tutte uguali, ma se le guardi bene ognuna di esse ha una luce che solo lei e un modo tutto proprio di sorriderti e brillare. A volte dipende da loro, altre – la maggior parte – dall’angolo dell’anima da cui le osserviamo, un po’ come succede con le Donne (ma questa è un’altra storia…).

Bene, io, quel pomeriggio uggioso di fine Ottobre volevo un pugno nello stomaco. Proprio così. Secco e deciso. Un colpo rapido che mi togliesse il fiato, di quelli che alla fine “Dio, respiro!”.

Così entrai in libreria imperativo, con lo sguardo fermo ed errante di chi sa cosa cerca ma non sa dove trovarlo. Il lungo corridoio che attraversava la sala era illuminato (poco) da luci calde e soffuse, che conferivano ai ripiani – sinistramente rossi e debordanti di volumi – un lugubre atteggiamento di sfida.

Allora, come spesso capita nella vita, decisi di far scegliere al Caso.

Tre passi in avanti, mezzo di lato – a sinistra, dove batte il cuore – poi chiusi gli occhi e allungai la mano. Il volume era agile e ruvido: lo sfogliai lentamente, ascoltando il fruscio muto delle pagine vibrare tra le dita, poi fermai la mano, segnai una frase e accesi lo sguardo: “Passai accanto a duecento persone e non riuscii a vedere un solo essere umano”. Una fitta al fianco, rapida come un sospiro. Poi cambiai pagina, e quella fitta si fece dolore: “E’ bello guardare in alto, qualche volta, è bello avere degli eroi, è bello trovare qualcuno che porta un po’ del tuo peso”. Piegato e sospeso rincorsi la copertina per cercare il suo nome, con l’ansia della sete per l’acqua: “Charles Bukowski. Compagno di sbronze”.

 Allora sorrisi, come quando si incontra l’Amore.

by Massimo Fragassi

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