La cultura è diventata aeriforme, gassosa. Ma non è stronza

by Davide Leccese
cultura

Quando i ragazzi useranno la parola “stronzo” non ci potrà essere docente o genitore che possa contestare la volgarità di espressione dal momento che la parola – di origine longobarda (sterco) – è stata sdoganata da un uso continuo in televisione, anche nei dibattiti tra politici.

La lingua si evolve, la cultura deve fare i conti con l’uso corrente; nessuna regola del bon ton regge più alle buone consuetudini dell’agire per bene dal momento che bene o male sono diventati un optional in questa società che segue più il mercato e molto meno la deontologia non dico alta ma quotidiana, quella che ci fa sopportare le consuetudini banali e per niente eccezionali della vita.

Chiedo scusa per aver usato – recidivo – la parola CULTURA. Quando mi convincerò che è oramai usurata, fuori moda, improponibile, patetica e persino irritante? La cultura: ma smettiamola di rivendicare un’analisi impegnativa delle cose della vita; diamoci ai fatti, così come vengono, senza angosce di pensieri seri, esigenti, informati, confrontati con le idee di altri e disponibili a verifica di produttività sociale e di civiltà.

I ragazzi devono studiare, andare a scuola, conseguire un titolo di studio. Come lo conseguiranno conta relativamente. Cosa potranno fare di quel titolo – diploma o laurea – non dipende se non dal caso o dalla potenza della raccomandazione. Che poi l’analfabetismo di ritorno bruci gran parte degli apprendimenti, persino delle più elementari regole del buon scrivere, fa parte del fatalismo delle circostanze; capita.

La cultura è diventata aeriforme, gassosa; l’incultura è invece massiccia, petrosa. La prima forma d’incultura è denunciata da chi, accorato, lancia l’allarme, inascoltato. Un Prefetto, qualche tempo fa, senza giri di parole, ha definito i foggiani “egoisti e indolenti”; niente di giudizio morale, molto di giudizio culturale. Gente, insomma, affatto motivata all’altruismo come forma di attenzione sociale e per niente sollecitata alla partecipazione del bene comune. Vi pare poco?

E’ incultura trovarsi in zona di reato e “non aver visto, non aver sentito”; è incultura non reagire – se non con il pettegolezzo – alle irrealizzazioni della pubblica amministrazione; è grossolana acquiescenza scivolare velocemente su gravi fenomeni delittuosi, specie di minori su minori, scaricando genericamente la colpa su scuola, famiglie, società; noi che siamo tutti scuola, famiglia, società.

E’ pericolosa e grave incultura ogni dichiarazione della pubblica amministrazione, a tutti i livelli, che – giacché siamo in “crisi economica” – non ci sono e non ci saranno i soldi per la Cultura e non ci sarà attenzione se non per le cose che davvero contano: i mattoni.

Prima o poi questa terra, benedetta da Dio, per le grandi potenzialità naturali e umane di cui è sempre stata ricca, dovrà risvegliarsi dal letargo colpevole della sua gente e di chi la governa. Prima o poi dovrà comprendere che a nulla vale attendere che gli eventi trasmigrino dall’accidente al necessario, dall’occasionale al progettato.

L’ abitudine di premiare chi – emigrato da questa terra verso altri lidi – ha fatto fortuna o si è affermato nei campi dell’imprenditoria, della scienza, delle arti, della cultura, se da un lato denuncia il non riconoscimento dovuto ai meritevoli di “casa nostra”, rischia di rappresentare quella “lavata di faccia” che non riesce a togliere le macchie di consuetudine al “lasciar fare” – mugugni al seguito – abituale al nostro agire di provincialotti. Noi, contenti dello struscio domenicale o noi, chiusi nel riserbo prezioso degli intellettuali con la puzza al naso, soddisfatti dell’isolamento di maniera che ci fa guardare a destra e a sinistra e camminare a testa alta con il pericolo di cadere nella prima buca delle nostre strade sgarrupate che qualche stronzo di amministratore non provvede a riparare.

Se poi, preso da sacro furore culturale, denunci questo stato di cose e ti auguri che prima a poi si esca dal cono d’ombra del luogo comune del così deve andare, preparati a sentirti dire che sei il solito stronzo che si lamenta su commissione di chissà qualche disfattismo di maniera.

Davide Leccese

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