L’Europa. Quale Europa?

by Davide Leccese

Mai, come di questi tempi, la parola “Europa” è a rischio di pronuncia; è in mano alla politica – e non sempre alla migliore politica – che se n’è impossessata facendone un cavallo di battaglia, a volte il più squallido ed equivoco possibile.

Assumiamo tutti allora un impegno: parlare dell’Europa con rispetto perché attorno a questo tema si sono cimentate in riflessione figure alte e nobili che non si aspettavano commenti postumi superficiali o, peggio ancora, banalmente e colpevolmente settari.

Solo marginalmente cito Gramsci che, in alcuni passi dei “Quaderni del Carcere”, mette in guardia dal declino di un ceto medio attento e consapevole da cui derivano il populismo, i rigurgiti identitari, il nazionalismo, la deriva culturale cui assistiamo. E anche lo svilimento delle classi dirigenti, la loro crescente inadeguatezza, impreparazione, superficialità, estemporaneità. 

L’Europa è una parola nobile, seme e fermento per la nostra Costituzione. L’idea di Europa poggia su un “Manifesto” straordinario, persino commovente, noto come “Manifesto di Ventotene”, dove alcuni personaggi, dopo aver pagato sulla propria pelle l’adesione ai valori di libertà e democrazia, decisero di sancire, come proclama per la libertà e per il futuro dei popoli, un impegno: basta le guerre!

Uscivamo da un massacro che si abbatteva su innocenti e colpevoli e faceva, di quanti vivevano quell’epoca, delle vittime che perdevano la parola; tanto era il groppo allucinante della sofferenza. Primo Levi è stato la testimonianza di quest’ angoscia continua e vivente, di questo groppo in gola.

Ci sono delle parole che nascono nobili ma che purtroppo, nel momento in cui i partiti politici sono diventati delle “religioni”, danno luogo ai settarismi. La prima forma di settarismo è proprio il travisamento di queste parole nobili.

Queste sono le parole su cui appunteremo la nostra riflessione:

  1. Popolo
  2. Nazione
  3. Stato

Potrei citare anche la parola “Patria” ma la tralascio anche perché è stata purtroppo già vittima di retorica, nonostante sia una parola dall’inconfutabile nobiltà.

Che cosa è avvenuto per colpa del settarismo?  Che queste parole sono diventate:

  1. Populismo
  2. Nazionalismo
  3. Statalismo

con il travisamento – per colpa degli “ismi” – di alcuni valori fondanti la democrazia, in una restrizione miope di senso e di significato.

Invece di assumere il senso partecipativo delle parole d’origine ci si è circoscritti alla “visione-contro”, allo scontro tra egoismi, facendo perdere il bandolo della matassa che ha nutrito la nostra Carta Costituente e l’Idea nobile di Europa.

Come uomo di scuola devo – per inciso – sottolineare amaramente che l’attenzione alla Costituzione è assente nell’educazione dei nostri giovani. Un’ assenza perniciosa e colpevole.

Torniamo alla parola “Europa”; parola che mirava a saldare tutti, senza perdere di vista l’appartenenza a una specificità di ciascun popolo, nel consesso delle nazioni. Nessuna idea di Europa doveva tradire, secondo i Padri fondatori, l’appartenenza a un’identità storica, culturale, sociale delle nazioni aderenti al progetto di “patria comune”. Nessuna idea di Europa ci chiedeva di rinunciare al vanto di essere una nobile Nazione, un grande Popolo, un dignitosissimo Stato.

Chiunque legga quei documenti si rende conto con quanta dignità e commovente citazione quelle parole sono state usate.

Siamo chiamati – per coscienza civile e sociale e, perché no?, anche politica al “recupero” del senso genuino di queste parole; denunciando innanzitutto chi ha tradito il richiamo profondo di questi termini, non aderendo a una lotta di basso profilo, tipico delle contrapposizioni settarie, delle competizioni partitiche occasionali.

Il recupero della genuina intonazione ideale di queste parole è affidato in esclusiva alla Cultura; non la pseudo-cultura enunciativa e declamatoria, che dice e smentisce se stessa, che svapora i significati densi e inequivoci dei richiami ideali. La Cultura fatta di attenzione a quanto il passato ci ha assegnato come patrimonio di valori, come impegno al vivere quotidiano e come testimonianza per le future generazioni.

La Cultura insegna che l’impegno politico autentico impone la battaglia per le proprie idee e i propri valori, incarnati negli ideali civili.

Come docente ho sempre insegnato ai miei giovani studenti che non si combatte per la medaglia ma per il traguardo da conseguire. Ho cercato d’insegnare anche il valore della sconfitta. E ricordavo quanto aveva scritto Ugo Foscolo ne “I Sepolcri”. Foscolo chiude non con l’esaltazione dei vincitori – i Greci, protetti dagli dei – ma con l’esaltazione di Ettore, l’eroe troiano che sa che è tra i perdenti, tra coloro che saranno destinati alla sconfitta. Ettore contro il “destino” combatte per la sua Città fino alla morte. “…E tu onore di pianti, Ettore, avrai/ Ove fia santo e lagrimato il sangue/ Per la patria versato, e finché il Sole/Risplenderà su le sciagure umane”.

Quale il messaggio da trasmettere ai giovani di oggi e di domani: non essere mai vincenti “contro” ma vincenti “per”. È questo il messaggio alto e profondo del Manifesto di Ventotene e della nostra Costituzione.

Oggi invece si avverte uno scivolamento pericoloso e diseducativo che certa politica sta iniettando nelle vene del vivere sociale, per cui – per essere italiani – bisogna essere “italiani contro”.

L’Europa auspicata dai Maestri morali che hanno scritto il Manifesto di Ventotene e che hanno stilato la Costituzione deve culturalmente insegnare che non esiste una convivenza “contro l’altro”, grazie a una Cultura diffusiva, osmotica di attenzione alle differenze come ricchezza cui attingere.

I nostri Padri Costituenti sapevano che ereditavano un popolo povero, distrutto dalla guerra. Noi, bambini subito dopo la guerra, portavamo i grembiuli a scuola per nascondere “le pezze”; i nostri genitori ci facevano baciare il pane che cadeva per terra. Era, questo, forse un gesto ritualistico ma che aveva un suo valore, intriso della dignità delle cose umili, guadagnate con la fatica del sudore della fronte dei nostri genitori.

L’Europa che non mi piace: è l’Europa che ha avviluppato l’Economia in Finanza, quella che ha tradito l’etimologia della stessa parola “economia”; parola che significa “la gestione delle cose domestiche, il provvedere alla casa”.

La crisi dell’Unione Europea non è la crisi del Sogno Europeo, ma la crisi di un’unione tecnocratica e poco democratica e le proposte messe sul tavolo non hanno la minima possibilità di riaccendere gli entusiasmi rispetto a una Unione del Popolo Europeo sotto un’unica bandiera e un unico governo.

Siamo in mano non alla certificazione dei fruitori ma al nascondimento degli stessi per colpa e astuzia di pochi che in occulto si appropriano del bene in esclusiva a tutto danno del “provvedere alla casa” del cittadino inerme.

La vera democrazia, quella agognata dai Fondatori del proclama della Patria dei Diritti e dei Doveri – Adenauer, De Gasperi, Bech, Nicole Fontaine,  Hallstein, Monnet, Schuman, Spinelli, Simone Weil –  sancisce che il popolo ha il diritto di sapere dove sta la sua ricchezza; ricchezza che non è veicolata dalla donazione ma è fermentata dalla giusta mercede alla propria fatica quotidiana.

Dove sta oggi l’Europa che faccia sintesi dei Diritti e dei Doveri dei Popoli?

De Gasperi, parlando di Europa, scriveva: “Senza sintesi superiore, rischiamo che l’attività europea risulti oppressiva. Se noi costruiremo soltanto amministrazioni comuni, senza una volontà politica superiore vivificata da un organismo centrale nel quale le volontà nazionali s’incontrano, si precisino e si animino in una sintesi superiore, rischieremo che questa attività europea appaia, al confronto della vitalità nazionale particolare, senza calore, senza vita ideale. Potrebbe anche apparire a un certo momento una sovrastruttura superflua”.

È questa l’Europa che hanno sognato i “Padri” e che abbiamo sognato, noi i “Figli”? Siamo sballottati tra i burocrati del movimento del danaro e i “sovranisti”; questi ultimi sostenitori accaniti del ritorno ai confini/barriera-contro, del chiudersi nella tutela del proprio “avere”, mascherato dalla proclamazione retorica e antistorica del proprio  “essere” (essere etnico – razziale).

La nostra Europa nasce dal fermento vivificatore dell’Educazione alla Cittadinanza: l’individuo si fa sociale nel riconoscimento della propria identità – da conservare come valore imprescindibile – nel confronto arricchente di chi gli sta a fianco, senza confini ad excludendum.

Educare alla cittadinanza significa, come propongono Cogan e Derricott:

– approccio ai problemi in qualità di membri di una società globale;

– assunzione di responsabilità;

– comprensione e apprezzamento delle differenze culturali;

– pensiero critico;

– disponibilità alla soluzione non violenta dei conflitti;

– cambiamento di stile di vita per la difesa dell’ambiente;

– sensibilità verso la difesa dei diritti umani;

– partecipazione politica a livello locale, nazionale e internazionali.

Ma sono aspetti che affido all’impegno di studio e di riflessione di altri momenti di dibattito.

Davide Leccese

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