Se la nuova siepe leopardiana diventa una frontiera. Diritto di migrare o diritto di respingere?

by Antonella Soccio

Ricordati di avere paura è l’esortazione costante dei moderni predicatori che battono le nostre contrade e picchiano alle nostre porte come monaci medievali. Imprigionati nel sortilegio, ci accontentiamo di replicare il concetto- paura- moltiplicandone l’eco all’infinito, fino a rimanere imprigionati nel suo rimbombo, senza sforzarci di aprirlo per guardare cosa c’è dentro… (Ezio Mauro, L’uomo bianco)

Complice forse la mattinata di sole, non c’era nessun candidato e nessun politico, locale o regionale, alla seconda conversazione dell’undicesima edizione di Colloquia della Fondazione dei Monti Uniti, dedicata a “la siepe e l’infinito”. Troppo impegnati a stringere mani e a racimolare voti. Eppure gli interventi di Donatella Di Cesare, Ezio Mauro e Giovanni Maria Flick avrebbero potuto ben indirizzare le idee e le traiettorie programmatiche e ideali di chi si candida a guidare un ente locale.

La nuova siepe, né romantica né metafisica, è la frontiera, psichica e fisica.

Siamo entrati nell’età dei muri, del filo spinato, dei porti chiusi. “Della teatralizzazione del sovranismo”, come l’ha chiamata la prof Di Cesare. Il muro è ormai quasi interiorizzato ogni volta che guardiamo un uomo nero. “In Italia non avevamo mai conosciuto forme fisiche di intolleranza. Il potere va a toccare i tabù della nostra società, sfiora i tabù, li accarezza. Vi è il superamento dell’interdetto. E con l’interdetto è saltato anche il sacro, per colpa della secolarizzazione e di noi laici”, ha detto Ezio Mauro.

Il migrante con la sua esistenza infrange ogni ordine precostituito statuale. Lo Stato ha a che fare con lo stare, il migrante che si muove è colpevole, ha una colpa originaria, quella di essersi mosso. E i diritti del migrante, ha spiegato l’intellettuale, urtano con la necessità di frontiera.

Se lo Stato nazione con la globalizzazione ha perso ogni potere e autorità sull’economia, sugli stili di vita, sul consumo, non resta che reagire, per reazione, col filo spinato. Con l’ostacolo. Mentre chi è cittadino è protetto da una bandiera, chi è senza Stato, nella sua nudità di uomo, è in balia dell’accoglienza negata o accettata.

Gli uomini hanno il diritto di migrare, ma oggi col sovranismo c’è un passo successivo, ai cittadini viene offerto il diritto di dire no e di respingere.

La domanda che giuristi e filosofi si pongono è esiziale: i cittadini hanno il diritto di dire il loro no sovrano? È un diritto legittimo respingere in un tempo in cui si è affermato il primato del cittadino e dell’appartenenza ad uno Stato?

Donatella Di Cesare ha citato le teorie del filosofo liberal americano Michael Walzer, che tratta anche nel suo libro “Stranieri residenti”, con l’ampia esposizione del concetto di cittadinanza e di abitare e della sfida della globalizzazione che è, a suo avviso, la coabitazione.

I confini chiusi comportano almeno tre temi, suggeriti da Walzer: l’autodeterminazione del popolo, l’integrità-identità nazionale e la proprietà del suolo. I cittadini in una parola sono ritenuti i proprietari del territorio nazionale, dentro una identificazione tra cittadini appunto e luogo di nascita. È quello che ordinariamente stiamo vivendo in Europa, con la politica dei respingimenti e dei porti chiusi.

Concepire la cittadinanza come proprietà, legarla all’autoctonia ateniese, il mito potentissimo che attraversa i secoli, è quanto di più pericoloso potessimo vivere. Solo nel Terzo Reich si decise che gli ebrei non dovessero essere più cittadini tedeschi.

Dalla selezione e dalla discriminazione, ha osservato Mauro, nasce il fondamento di ogni razzismo. “È saltato il vincolo tra il ricco e il povero, per la prima volta il ricco fa a meno del povero. In attesa che qualcuno usi parole nuove contro la gelosia del singolo viviamo come se la ferocia fosse una espressione della libertà. L’interdetto ci tratteneva un attimo prima sul bordo del pozzo buio”.

Sfera del confort e periferia dello sconforto. Sciovinismo del benessere e rancore, dentro una egemone fobocrazia. Dallo Stato sociale allo Stato di sicurezza. Quali sono le colpe dell’Europa e della sinistra? I relatori ne hanno certamente individuata qualcuna. Anzitutto la gestione delle politiche dell’accoglienza non può essere relegata né all’etica né alla carità religiosa. Inoltre manca, a pochi mesi dalle Europee, una visione sulla Comunità Europea, che, unita solo dalla moneta e dal libero mercato, non è mai diventata una forma politica post nazionale.

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