Si continua a parlare di federalismo e separatismo

by Davide Leccese

Viviamo tempi strani e, tra le stranezze, ci mettiamo anche la perdita o l’indebolimento dell’idea di unità nazionale. Faccio riferimento non solo al caso eclatante dell’evocare le ragioni secessionistiche del nord-padano, ma anche quelle meno palesi, ma che covano sempre sotto la cenere, delle zone di confine, sia nazionali sia interregionali.

La discussione e l’ipotesi di sopprimere alcune province, intanto che sono al di sotto degli standard definiti per la sopravvivenza, hanno mobilitato una corsa agli spostamenti provinciali.

Quelle province che – a stare alla discussione politica – starebbero (uso adeguato del condizionale) per essere soppresse. Poi ci sono le minacce di sganciamento da un territorio all’altro ed esempi li abbiamo anche nella nostra provincia dal momento che alcuni comuni molto periferici si stanno muovendo per passare alle regioni limitrofe, come la Basilicata, considerandosi ignorati o non rispettati dal territorio provinciale e regionale d’istituzionale appartenenza.

Quando si affacciano le debolezze si scatenano sempre gli egoismi e le competizioni. E la nostra regione, che non è mai stata un esempio di amalgama delle specificità territoriali, accentua più le contrapposizioni, in questo periodo, che le ragioni di unione.

La Puglia: i francesi, che hanno un particolare gusto per l’analisi terminologica, continuano a chiamare la nostra regione “le Puglie”, quasi a indicare una sorta di diversificazione tra quelle fette di territorialità che sono sostanzialmente unificate ma non unite, con un grumo centrale – iperprotagonista – che è costituito dalla Bari “levantina” e dalla sua provincia.

E mentre la provincia di Lecce si mantiene superbamente a debita distanza dalla supremazia barese, con una considerazione consolidata di terra colta, derivata dalla “grecìa” e grazie anche – perché no – all’astuzia prorompente dei suoi rappresentanti regionali, che si fanno valere, eccome, nell’assise regionale, la provincia di Foggia resta la meno pugliese delle province.

La Daunia, anche dal punto di vista dell’organizzazione territoriale ecclesiastica, solo in un certo recente passato è stata accorpata alla Puglia perché per tanto tempo è appartenuta alla giurisdizione ecclesiastica beneventana, che si richiamava, secondo alcuni storici, ai possedimenti longobardi. Altra verifica della scarsa pugliesità della Capitanata è offerta dalla scelta della sede universitaria dei giovani fino agli inizi degli anni sessanta: Napoli era privilegiata alla sede barese, soprattutto per quanto riguarda le facoltà di Giurisprudenza, ingegneria e medicina.

Proprio Foggia è stata, fino agli anni cinquanta del secolo scorso, una dependance di Napoli e, per altri ragioni – di natura agro-pastorale – dell’Abruzzo. Basta verificare gli atti delle proprietà terriere e dei latifondi che hanno portato a Foggia e in provincia, famiglie ricche e nobiltà di censo di Napoli e del già citato Abruzzo.

Siamo pugliesi ma non ci sentiamo e non siamo avvertiti per tali e una delle ragioni sta proprio in quella politica regionale che o ci ignora o ci sottovaluta o ci mortifica. Forse anche perché esiste una forte connotazione di “baresità” e non esiste una capacità foggiana di essere punto di riferimento significativo del suo territorio provinciale; non esiste, cioè una “foggianità” per la Capitanata.
Eppure, a stare alle velleità leghiste, oggi sarebbe di attualità l’affermazione di Metternich che scriveva: “L’Italia è composta da Stati sovrani, reciprocamente indipendenti”.

Oggi potremmo dire che sembra composta da territori regionali e provinciali, scontenti dell’attuale appartenenza e disposti a rimescolare le carte dei confini regionali e provinciali. Il Separatismo: la storia, studiata a scuola, ignora tutte le vicende separatistiche dell’Italia dopo il secondo conflitto mondiale, a cominciare da quello siciliano, foraggiato dagli stessi americani, dalla mafia e da movimenti dell’estrema destra.
Non è fuori luogo, a questo punto della riflessione, chiarire la netta distinzione tra Secessione e Federalismo: il primo vuole separare per motivazione di diversità o contrapposizione, il secondo vuole unire, pur nella diversità, facendo appello alla comune radice di cultura, civiltà e storia. Il primo marca le differenze per contrapporre; il secondo marca le ragioni di unione per rafforzare.

Possiamo chiudere questa riflessione con una ipotesi: se dovesse nascere un nuovo stato Lombardo-Veneto, un altro Piemontese-Ligure, un altro ancora Emiliano-Romagnolo-Umbro-Toscano ce la immaginiamo la capacità competitiva, solo economica, con i colossi delle nazioni come la Cina, l’India, il Brasile, Gli Stati Uniti e la vicina Germania? Queste nazioni “nuove”, solo per trovare forza-lavoro, dovranno fare ricorso non solo al solito Meridione ma dovranno dichiarare cittadini del nord o del centro proprio quegli extra-comunitari che oggi sono considerati presenze spurie e disturbanti l’autenticità della “specie” veneta, lombarda, piemontese, ligure e via dicendo.

Vendetta dalla Storia!

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