Nella periferia di Dakar, gli operai di un cantiere, senza stipendio da quattro mesi, decidono di prendere la via del mare, alla volta della Spagna e di un futuro migliore. Tra di loro c’è Souleiman, l’innamorato della giovane Ada, promessa ad un altro. Qualche giorno dopo la partenza notturna dei ragazzi, la festa di nozze di Ada e Omar viene rovinata da un incendio, nella casa nuova dei due sposi, appiccato da un disturbatore sconosciuto. Intanto, una misteriosa febbre ha contagiato le ragazze del quartiere e il nuovo commissario che si occupa del caso dell’incendio.
Premiato col Gran Prix a Cannes “Atlantique” (Atlantics per la versione americana) di Mati Diop è l’opera prima della regista africana che in passato aveva diretto un corto e interpretato ruoli al fianco di Claire Denis. Disponibile sulla piattaforma Netflix, correrà per gli Oscar come miglior film straniero.
Mati Diop, prima regista donna senegalese ad essere premiata a Cannes a maggio scorso, filma il mare tra “passato e presente”. Lo filma con il sogno del passato, di un’oralità e di un’espressione omerica: è un’Odissea quel fondo di acqua e sale, contenitore di possessioni, incantesimi e magie. Lo è nello scoppio di montaggio continuo dove appaiono distese immense di acqua mentre riprende tra un’onda e un campo lungo l’ultimo incontro di Ada e Souleiman, due amanti. Lo fa muovere cadenzato, come se potesse con gli occhi comandarne il vento, prima che lui parta in viaggio attraversando la distesa di sale, quella distesa che lo ucciderà. Prima che lei si sposi con un uomo ricco che non ama, vedendo l’oceano anche dalla finestra di casa sua. Lo filma con la sintassi del presente: Souleiman lavora ad un monumentale edificio contemporaneo nel bel mezzo della povertà ambientale cittadina con altri ragazzi proletari africani, sotto pagati con la speranza di un posto sicuro in Spagna. Il mare è presente nel suo percorso per tornare a casa dopo lunghe ore di stanchezza e di lavoro, di ritorsioni e di sfruttamento. Lo sogna quasi, nel mezzo di trasporto sembra incantarsi e addormentarsi. Forse non è più possibile filmare il mare con la poetica di un canto, o almeno non del tutto. Il mare, ormai protagonista politico di guerre e di espatri, è esso stesso “coscienza”. Ha una sua giurisdizione, una sua logica umana e disumana.
Si può filmare il mare senza l’idea di passaggio? Il mare può il Cinema senza narrare la speranza di chi lo oltrepassa o il fallimento di chi ci annega? Può essere ancora acqua senza spettatori sleali? Lo si può tradurre con l’armonia di un canto? Con la franchezza e la schiettezza di un eroe? Con la dignità di una donna che aspetta il suo amato sulla sua riva rimarcando uno dei topoi letterari più belli?
Il mare è trasporto, sogno, attrazione di vitalità e di morte nel film. L’oceano del cambiamento, come la consapevolezza di un futuro (possibile) nello sguardo conclusivo in macchina da presa della protagonista Ada una volta che i corpi-coscienze delle vittime e del suo amato hanno trovato riparo nella terra e hanno finalmente ricevuto la propria dignità. Però, Atlantique ha un’idea di sguardo unica. Una personalità che regge sostanzialmente i dialoghi ingenui dei due protagonisti, gli imprevisti e le incoerenze narrative di un film che non ritrova il suo genere se non nella potenza delle luci, della messa in scena del folklore. Nei colori acquatici e nel solare giallo sfumato. Il montaggio raggiunge l’impressione esistenziale e l’impotenza dei personaggi davanti ad un cambiamento che li rende oggetti marini. La storia sentimentale suggestiona nella prima parte del film e appare rigorosa come i preliminari politici del film e si unisce col passare del tempo a una dialettica del sentimento vicina ai prodotti Netflix.
Tra film esistenziale, storia d’amore teen e oggetto poliziesco alla ricerca di uno sperduto e “fantastico” Souleiman, Mati Diop riesce a “montare” e dare forma al “suo mare” artistico e ideologico tramite gli occhi di chi lo pensa, chi lo vive giorno per giorno distante dalla propria casa, chi lo osserva nelle abitazioni del Senegal diviso e senza sfumature.
Giammarco Di Biase