Nick Petruccelli porta le sue opere sulla Shoah a Roma per la Memoria

by Gianfranco Piemontese

Sarà inaugurata a Roma Venerdì 31 gennaio 2020 alle ore 18:00 presso la sede dell’Associazione Pugliese di Roma in via Aldovrandi n.16, la mostra d’arte “Immaginare l’orrendo” dipinti di Nick Petruccelli. La mostra è stata curata da Gaetano Cristino e con la presentazione di Gianfranco Piemontese sarà visitabile fino al 24 febbraio 2020.

Della stessa è stato stampato un Catalogo composto da 24 pagine, edito dalla Fondazione dei Monti Uniti di Foggia con le presentazioni del prof. Aldo Ligustro presidente della Fondazione dei Moniti Uniti di Foggia, del dott. Domenico Antonaci presidente dell’Associazione Pugliese di Roma. All’interno il testo critico del prof. Gianfranco Piemontese, la presentazione del critico dott. Gaetano Cristino ed una parte di antologia critica dell’operato dell’artista Nick Petruccelli; il Catalogo è illustrato dalle fotografie di un altro artista: Mimmo Attademo.

Siamo davanti a delle opere che Petruccelli ha realizzato su  un tema quello del genocidio degli Ebrei da parte dei nazifascisti che partono dal 2005 e si sono andate arricchendo nel tempo di altri dipinti, quali quelli dedicati alle foibe. Immaginare l’orrendo, mai titolo è stato così appropriato, parole che fanno il paio con le “Impossibile scrivere l’indicibile” che Primo Levi, che della barbarie nazifascista aveva subito in prima persona l’orrore dei campi di sterminio. Bene Petrucelli in queste opere centra l’obiettivo di comunicare e sconvolgere la piatta quotidianità del contemporaneo quieto vivere.

Il sonno della ragione genera sempre mostri, così ho intitolato il mio testo critico per questa mostra che onora la Memoria dei milioni di esseri umani uccisi dopo mesi di stenti nei lager nazisti. Parafrasare quanto disegnava e scriveva Goya, che delle guerre e delle loro terribili conseguen­ze era stato testimone diretto, non vi sembri fuori luogo ed eccessivo. Erano tempi, quelli, in cui i conflitti, dopo l’uso di fucili e cannoni, si chiude­vano nella carneficina dell’arma bianca.

Così og­gi il genocidio nazista ed i massacri che le opere di Nick Petruccelli presentano, sono un tributo dell’Arte a quella memoria testimone di grandi tragedie che in Europa e nel Mondo intero vacil­la, se non proprio viene rinnegata da negazionisti travestiti da storici o pseudo statisti. Da secoli l’Arte pittorica e quella visiva in ge­nerale  non vestono più gli abiti della sola estetica fine a se stessa.

Prima ancora di Goya ci sono stati altri importanti esempi, come quello di Rubens che ha trattato dell’atrocità derivate dalla guerra in quel grande capolavoro che è Le conseguenze della guerra, a cui si possono aggiungere molti al­tri, qui noi citiamo solo il Picasso di Guernica, e gli Otages di Fautrier, sono solo due dei tanti artisti che in quello che è stato definito il secolo breve hanno raccontato delle atrocità della guerra, del nazifascismo e dei suoi collaterali effetti. Autori e opere che si posso­no unire alle testimonianze dirette provenienti dai campi di concentramento nazisti, a quelle di artisti e non, che possiamo definire le radici da cui poi sono germogliati i dipinti di Petruccelli.

Nessun artista, che tale si possa definire, può esimersi e rimanere distaccato ed in silenzio sen­za denunciare la malvagità della violenza e della guerra. Ma in queste opere oltre alla guerra trovia­mo anche il veleno che obnubila le menti: il raz­zismo. Un veleno che genera quella malattia che ha ucciso e uccide fisicamente e psicologicamente donne, uomini e bambini.

Opere che a ragione devono scuotere i no­stri animi e le nostre menti, un compito che l’arte fin dalle sue primordiali origini ha svolto e deve continuare a svolgere. Il tema è stato trattato da Petruccelli a partire dal 2005, e ha in queste ope­re una sequenza di momenti in cui era scandito il tempo di quell’umanità violata negli animi e nei corpi. Dall’arrivo nei campi alle varie fasi di smi­stamento nei blocchi e poi al terminare di un nuo­vo “Calvario”: i forni crematori.

Petruccelli usa tecniche moderne, ma si espri­me con un linguaggio antico, che si esplicita attra­verso quel pathos che si sprigiona negli scarni volti delineati dai tratti neri che meglio esprimono la sofferenza di quelle donne, di quegli uomini e di quei bambini. Un nero dominante in tutte le ope­re, il nero che da sempre è simbolo di morte. Ci sono solo alcuni sprazzi di rosso che segnano gli stendardi delle svastiche naziste, quelle croci un­cinate che hanno significato la morte di milioni di innocenti, sono una doppia bestemmia contro l’u­manità: per la morte che hanno dato e per l’antico segno di luce che nell’antichità esse avevano avuto.

E a ragione Katia Ricci, così ne descrive l’o­pera: “ […] i temi della vasta produzione di Nick Petruccelli, sia che si tratti di pittura o di scultura in marmo e legno, o di assemblaggi di materiali di scarto sono sempre forti, aspri come pugni nello stomaco. Le sue opere sono come una discesa agli inferi o nelle zone più oscure e indicibili dell’u­manità, apparentemente senza riscatto e senza speranza”.

Spesso sono volti e corpi che sono inseriti in reticoli spinati e caselle quadrate, come di una sor­ta di scaffalatura occupata da una “merce” che non è cosa umana, ma solo oggetto di sfruttamento e di sperimentazione. Reticolati spinati, ruote dentate, cinghie di trasmissione di una fabbrica della mor­te purtroppo generati e messi in opera da menti “umane disumane”, mi si permetta l’ossimoro.

Ciò che Petruccelli ci ha dipinto è qualcosa che è realmente esistito e che, ahinoi, purtroppo non viene reciso definitivamente. Questo lo si evince, se ancora oggi la Memoria di allora viene messa in discussione non solo nelle aberranti teorie negazioniste, ma nei casi concreti delle recenti guerre di pulizia etnica e nel risorge­re di movimenti cosiddetti sovranisti. Movimenti i quali al pari dei nazisti bestemmiano col prendere in prestito il Gott mitt uns o usando il tema delle radici cristiane per legittimare la disumanità del razzismo, che è ignoranza violenta.

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