“Cerco i prodotti ignorati dalla Gdo”. Il lavoro “che non esiste” di Guido Botticelli, braccio destro degli chef stellati

by Michela Conoscitore

Sono una figura lavorativa atipica, il mio lavoro non esiste”: è iniziata così la nostra chiacchierata con Guido Botticelli, il braccio destro degli chef stellati. Guido, originario di Foggia, ma che vive a Milano da dodici anni dove si è trasferito per frequentare la Bocconi, ha seguito alla lettera il consiglio che, negli ultimi anni, si dà ai giovani riguardo la ricerca di un lavoro: inventarselo.

Ispirato dall’incontro con lo chef Mauricio Zillo, il trentaduenne ha iniziato ad esplorare le varietà regionali italiane, e ha guidato bonculture attraverso un viaggio atipico, in profumi, colori, sapori ed eccellenze del nostro Paese, dove l’Italia non è soltanto scrigno di tesori storici e archeologici visibili, ma anche di quelli che nascono, stagionalmente, sottoterra e vengono scovati e riportati in auge da Guido, grazie alla sua passione:

Guido, come è iniziata la tua avventura?

È iniziata per caso. Sono amico, fin dall’infanzia, con Francesco Ruggiero: lui, anni fa ha aperto a Parigi un ristorante con lo chef brasiliano Mauricio Zillo. Un Natale ci siamo ritrovati a Foggia, la mia città, non soltanto con Francesco ma anche con Mauricio. Mi raccontò che non era soddisfatto dei prodotti che reperiva a Parigi, e mi chiese se potessi rifornirlo di una varietà tipica di olio pugliese. Gli mandai una campionatura, che fece assaggiare anche ad altri chef: alla fine, ho venduto settecento litri d’olio. Incuriosito da questo mondo, sono andato a Parigi e ho scoperto che non era la classica ristorazione, ma si interagiva davvero con dei professionisti. Posso dire che Mauricio Zillo mi ha cambiato la vita, sono rimasto colpito dal suo amore per le materie prime, per i contadini. Così ho cominciato a lavorare, cercando prodotti tipici della tradizione culinaria italiana: sono partito da quelli pugliesi come il limone Femminello del Gargano, presidio Slow Food, o la mandorla di Toritto, focalizzandomi su frutta e verdura, che già di per sé è complicato essendo dei prodotti facilmente reperibili. I prodotti hanno avuto successo, sono stati molto apprezzati dai miei primi clienti francesi. Nei mesi seguenti ho proseguito questo lavoro a Milano, dove vivo da dodici anni, con lo chef Diego Rossi di Trippa; lui mi ha chiesto delle erbe spontanee, che ho aggiunto ai miei prodotti. Quindi sono entrato in contatto con i terrazzani, quei vecchietti che si vedono nei mercati con le loro piccole bancarelle, che vendono appunto erbe selvatiche, a cui anche io mi sono appassionato. Dalla Puglia mi sono spostato su tutte le altre regioni italiane, per valorizzare la territorialità e la peculiarità di una varietà regionale, per offrirle poi agli chef.

Perché gli chef hanno avuto bisogno del tuo supporto per reperire questi prodotti?

Vivendo in un mondo globalizzato, principalmente ci si riesce a rifornire solo di prodotti offerti dalla grande distribuzione. Automaticamente, i produttori si focalizzano solamente su questi prodotti standard, richiesti dai supermercati. Quindi le coltivazioni rare e antiche sono state abbandonate. Da collaboratore fidato degli chef, il mio lavoro consiste proprio nel cercare questi prodotti ignorati dalla grande distribuzione e difficili da reperire.

Ci racconti una tua giornata tipo, per comprendere meglio come si svolge il tuo lavoro?

Dipende da quello che mi prefiggo di fare nel corso della giornata, se mi dedico alla ricerca o alle consegne. Se ho appuntamenti con i produttori, per la ricerca di un prodotto, sono in giro per tutto il giorno: per esempio, domani sarò a Tortona perché mi sto dedicando alla fragola profumata che si produce lì. Se, invece, è giornata di consegne verso le sei del mattino aspetto che mi consegnino la merce in magazzino, essenzialmente prodotti che provengono dal sud. Successivamente, inizio con le consegne agli chef, con cui mi fermo anche a chiacchierare. Altrimenti vado per campi, alla ricerca di erbe aromatiche, oppure provo ad entrare in contatto con nuovi produttori.

A proposito dei produttori, come hai costruito la tua rete di contatti?

Tutto si basa sui rapporti relazionali, in quello sono bravo e quindi ho costruito il mio lavoro su questo. Sto parlando con una giornalista, non posso svelarti nello specifico come riesco ad arrivare ai produttori! Però, tendenzialmente, all’inizio della ricerca più che individuare il produttore, mi dedico al prodotto. Da lì poi arrivo a chi li produce.

Come si svolge la tua ricerca dei prodotti?

Seguo quattro criteri specifici. Il primo è la stagionalità: ci sono degli chef che richiedono pomodori a febbraio, posso anche riuscire a fornirli, ma non lo faccio perché sono molto legato al concetto di stagionalità, ogni prodotto ha il suo tempo. Il secondo criterio è quello della territorialità, posso anche trovare i broccoli a Foggia, ma non saranno mai come i broccoletti di Custoza: se li assaggi, ti rendi conto della differenza, quella terra è baciata da Dio per quel tipo di coltura. Non sono per il Km 0 ma prediligo le eccellenze di determinati territori, e questo è il terzo criterio, quello dell’unicità. Le cipolle di Tropea che vendo sono coltivate a Tropea, i miei pistacchi provengono davvero da Bronte. Questa settimana mi arriva l’asparago violetto di Albenga, che hanno provato a riprodurre in tutto il mondo, dagli Stai Uniti all’Asia, non riuscendo a copiare la sua particolarità, ha venti cromosomi invece dei canonici quaranta. L’ultimo criterio che seguo è quello di prediligere i piccoli produttori, quindi tutte produzioni non trattate, biologiche, coltivate in orti e malghe. Solo loro producono prodotti di qualità.

Puoi farci l’esempio di prodotti tipici, magari sconosciuti ai più, che secondo te con la loro eccezionalità rappresentano la propria regione di provenienza?

Posso iniziare con la rosa di Gorizia, una varietà autoctona di radicchio che troviamo solo lì, ed è tra i più pregiati. Poi c’è il cardo gobbo di Nizza Monferrato, in Piemonte: è un cardo bianco perché a luglio i coltivatori li coprono con la terra, e quindi non avviene la fotosintesi clorofilliana. Nella loro tradizione culinaria, lo utilizzano per la bagna cauda, uno dei loro piatti tipici. In Liguria mi rifornisco del chinotto di Savona, che è molto richiesto a Parigi. Nella nostra regione, la Puglia, abbiamo il limone Femminello del Gargano, prodotto a Rodi Garganico, è il limone più antico d’Italia che appartiene alla famiglia dei limoni di Sorrento e Sicilia. Rodi è l’unica zona adriatica dove crescono gli agrumi. Poi c’è l’arancia bionda del Gargano, il caciocavallo podolico, la carota di Polignano a Mare o di Triggiano. In Calabria abbiamo il bergamotto di Reggio, che è alla base di tutte le essenze prodotte per le ditte cosmetiche, ma si usa anche molto in cucina. In Campania, tralasciando il pomodoro del Piennolo o le mozzarelle di bufala, posso farti l’esempio delle albicocche del Vesuvio, una varietà antica di questa regione, prodotte a Somma Vesuviana e sono fenomenali. Ma anche il fagiolo di Montrone, nella provincia di Salerno.

Con l’emergenza del Covid è partita l’esperienza con i ragazzi del ristorante Retrobottega di Roma. In cosa consiste?

Con loro collaboro da un anno e mezzo, rifornendo il loro ristorante di materie prime. Alessandro Miocchi, lo chef, mi telefona a marzo raccontandomi il suo progetto: voleva offrire ai romani la possibilità di acquistare i prodotti che io fornisco agli chef, frutta e verdura essenzialmente. Abbiamo offerto due tipologie di VegBox, e in base al periodo potevano esserci il carciofo violetto di Castellamare di Stabia o di Sant’Erasmo, raperonzoli, fave fresche di Carpino, o i piselli Centogiorni del Vesuvio. Non mi sono tirato indietro, anzi la proposta di Alessandro potrebbe aprirmi a nuovi ambiti commerciali in cui potrei avventurarmi, ci sto riflettendo. Anche perché questa iniziativa è stata apprezzata molto dai romani, mi ha molto sorpreso.

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