“In questa pandemia chi ha deve donare”. Il cuore e il senso etico dell’imprenditore agroalimentare Giusto Masiello

by Antonella Soccio

“Oggi anche i privati cittadini devono dare, gli interessi economici vanno posticipati, il mondo imprenditoriale deve donare. Col cuore e per un senso morale e sociale: chi ha deve dare, non possiamo essere avidi. Sarebbe la cosa più vigliacca se i benestanti si facessero i fatti propri, ci saranno tempi per fare business, chi sarà bravo si riprenderà anche ciò che ha perduto, ma oggi dobbiamo dare”.

Non è filantropia, ma forte senso etico quello dell’imprenditore Giusto Masiello, patron di IPOSEA, il colosso agroalimentare di conserve alimentari del Tavoliere, che nelle scorse ore ha consegnato per il tramite dei canali istituzionali governativi, i commissari prefettizi del Comune di Cerignola e la Caritas, più di un tir di provviste alimentari di vario genere e prodotti d’igiene per i bambini.

“Abbiamo donato al COC, il centro operativo comunale, abbiamo scaricato tanti viveri, non solo i nostri prodotti, ma anche tonno, pasta, omogeneizzati, legumi, pannolini, Nipiol, verdure melanzane, frutta e carne. Tanta merce che abbiamo acquistato, tra cui 10mila pannolini per bambini. C’era stata una richiesta specifica di pastina, così abbiamo pensato ai bambini e al contempo anche agli adulti, comprando latte per gli intolleranti, che è difficile per trovare e costa tanto al supermercato. Il latte di riso o di soia lo vendono ma ad una cifra che supera di gran lunga i 2 euro al litro”, racconta a bonculture l’imprenditore che dalle olive Bella di Cerignola ha costruito una eccellenza nota in tutto il mondo che commercializza conserve di ortaggi e vegetali.

La sua impresa a Cerignola non si è mai fermata. “Il trend della Gdo e del retail va bene, la ristorazione ovviamente è ferma completamente, ma le linee sono flessibili, stanno producendo, non ci saranno dei problemi, se perderemo un po’ di fatturato sarà sulla ristorazione, ma la cosa non ci spaventa. Se il vaccino non arriva in tempi brevi vivremo tanti mesi duri, sarei felice se ne fossimo veramente fuori alla fine dell’anno. Questo Coronavirus sarà difficoltà enorme, come noi parliamo della peste, anche il Covid-19 rimarrà nella storia, è una botta di quelle che non si dimenticano. Sono fortunato a non essere un imprenditore tessile o a non produrre scarpe, per loro è dura, è una crisi che non si smaltirà facilmente”.

Ritiene che la ristorazione ne uscirà rimodulata? “Penso di sì, al di là del Nord e del Sud, se anche ci dovessimo riprendere, ci sarà uno shock, chiunque abbia un po’ di liquidità non la spenderà tanto allegramente, ci sarà cautela. Anche perché il contagio di ritorno è una possibilità, lo stiamo vedendo in Cina. Hanno detto di averlo debellato, ma non ci ho mai creduto, sono bugiardi. In Russia un nostro importatore ci ha detto che è una tragedia, fino al 5 maggio stanno in quarantena, ci sono una marea di contagiati, non li comunicano”.

Come vanno le sue esportazioni? “Gli americani ci hanno revocato gli ordini, hanno annullato anche in Spagna e in Francia, coi tedeschi abbiamo lavoricchiato”.

Il mondo della ristorazione vale il 18% del totale per Iposea, ma Giusto Masiello ha deciso di non avviare la cassa integrazione in deroga per il suo personale. Tutti e 200 i dipendenti sono tranquilli. Né a suo parere ci sono problemi tra gli agricoltori nei campi, suoi diretti fornitori. “Si è avuta un po’ di penuria di manodopera, per via dell’assenza degli operai dell’Est Europa, sono loro che mantengono in piedi le campagne in provincia di Foggia: rumeni, bulgari, polacchi. Loro in inverno ritornano nei loro paesi e avevano paura a tornare in Italia. Ho saputo che c’è stato qualche problema per le verdure, ma è stato superato. Per raccogliere i carciofi non c’è bisogno di molta manodopera, bastano 10 operai per grossi appezzamenti”.

Gli stabilimenti Iposea si sono dovuti adeguare al DPCM. “Manteniamo le distanze, le linee produttive sembrano delle sale operatorie, tutti con le mascherine. Per qualche prodotto dove c’era l’esigenza di un aiuto manuale per l’accodamento perché il prodotto rischia di fuoriuscire dal barattolo, come per le melanzane e i peperoni, si fa più fatica e abbiamo rallentato la linea. Da 5 signore sulla linea abbiamo ridotto a 2 con una diminuzione del 40%”.

Da 90mila barattoli di melanzane sottolio in 8 ore, oggi Iposea ne produce 65mila. Ma tutto resta uguale per le produzioni “facili” meccanizzate: belle, funghi e carciofi. Barattoli da 100 grammi a 5 chili, anche se i formati per l’horeca sono fermi. Oggi si vendono i 100 grammi e i 580, il mezzo chilo. Tutti vasi da GdO.

“Nelle due settimane iniziali del panico con i supermercati assaltati abbiamo lavorato meglio di Natale, poi c’è stato ovviamente un calo, un rallentamento degli ordini, da questa settimana il ritmo delle vendite è tornato normale”.

Crede che l’agricoltura e l’agroalimentare guadagneranno dalla pandemia? “Il consumo di farina è aumentato, la farina è diventato un bene raro con un forte aumento dei prezzi, i mulini non ce la fanno, ma per il resto dei prodotti tutto resterà uguale, la capacità di consumo della gente resta inalterata”.

Pensa di investire in nuove linee produttive? Nei piatti pronti ad esempio?

“No, bisogna stare fermi. La calma è la virtù dei forti, occorre tanta tranquillità e serenità, nervi saldi, meditare e capire come va a finire. Temo una botta di disoccupazione, una tranvata, per inginocchiarsi l’America, la cosa è grave. Inimmaginabile. Peggio della crisi del 2008 o delle Torri Gemelle. Nessun umano ha interesse a scommettere sulla fine del mondo. La Bce può anche stampare denaro senza limiti, ma quanto potrà durare? 8 mesi? Saranno interi settori ad essere stravolti. Oggi lo Stato va aiutato, anche se abbiamo avuto classi dirigenti non avvedute.  Ma adesso dobbiamo supportare l’apparato pubblico, bisogna dare una mano allo Stato. Dai privati deve arrivare un intervento massivo, anche perché a tutti, per primi a chi fa business, conviene che il mondo si riprenda”.  

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