Le filiere certificate, una leva per il comparto cerealicolo

by Fernando Di Chio

Correva il 2012, lavoravo presso la Cooperativa Fra Coltivatori di Apricena, fui invitato dal mio direttore ad andare a pranzo con alcuni dirigenti della Granoro, per discutere un progetto di collaborazione. Fu lì davanti ad un piatto di pasta che nacque il primo ed attualmente unico progetto di filiera cerealicola 100% pugliese, ormai noto a tutti come DEDICATO. Da allora sono trascorsi ben sette anni, in cui la produzione di grano destinato alla filiera DEDICATO è passata da 4000 quintali a circa 200 mila.

Tutto questo mi è tornato in mente oggi leggendo un articolo in cui Gianni Marcone, responsabile acquisti della Granoro, ha parlato dello stato attuale del progetto ed è emerso che fare filiera ripaga, al punto che per Granoro oggi la pasta DEDICATO rappresenta il 35% del suo fatturato e che tale progetto ha permesso all’azienda di aprirsi nuovi mercati esteri, portando fuori confine la qualità delle produzioni pugliesi.

Nel leggere l’articolo, però dato che sono stato nel mio piccolo protagonista della nascita di DEDICATO, non ho potuto non rammentare le lunghe riunioni presso l’Assessorato all’Agricoltura per poter avere il marchio Prodotti di Qualità, la diffidenza degli agricoltori che non capivano la necessità di essere seguiti nell’uso dei mezzi tecnici e non meno importante il coraggio della dottoressa Mastromauro nel portarlo avanti.

Oggi le filiere coprono circa il 25% della produzione nazionale di pasta, pur considerando le difficoltà che le distingue, difficoltà dettate dalla necessità di garantire un prezzo più alto di quello di mercato all’agricoltore e una tracciatura dell’intero processo produttivo, in modo tale da garantire al consumatore finale un prodotto di qualità.

Unitamente allo staff di Granoro, mi sento comunque pioniere di un percorso di condivisione, un modello di aggregazione in cui i valori e gli obiettivi di tutti gli attori che concorrono alla produzione di un determinato bene, la pasta in questo caso, sono messi a fattor comune.

Ognuno di noi, dal sottoscritto fino al più piccolo agricoltore, si sente infatti parte di qualcosa che ci rende orgogliosi di essere pugliesi. Ritroviamo in un pacco di pasta il nostro lavoro e dal quel pacco di pasta ci sentiamo ripagati per l’impegno e il lavoro profuso. Sicuramente, questo come altri progetti di filiera sviluppati successivamente da altri pastifici anche grazie al contributo fornito agli agricoltori dallo Stato, non costituiscono la soluzione a tutti i problemi della cerealicoltura italiana, ma hanno dato una importante boccata d’ossigeno ad un settore fortemente demotivato e in crisi. Del resto è impensabile che l’intera produzione di pasta sia garantita dalle filiere in quanto mediamente l’Italia produce 4 milioni di quintali di frumento duro rispetto ad un fabbisogno di  circa 6 milioni, il che ci fa capire quanto saremo ancora costretti ad importare dall’estero, senza che ciò debba scandalizzare o creare inutili allarmismi.

Perciò pur essendo un convinto fautore delle filiere, continuerò sempre a osteggiare chi parla in modo poetico( o patetico) di un’Italia autosufficiente nella produzione di frumento o peggio ancora chi a questo associa il ritorno alle antiche varietà specialmente poi abbinate al biologico, settore questo che rappresenta solo una nicchia e non il cento per cento della produzione nazionale e che inoltre, permettetemi di aggiungere senza polemica, ha avuto successo perché soggetto a contributo e forse anzi sicuramente ci costringerebbe ad acquistare ancor più grano estero, considerando che in biologico le produzioni medie sono più basse.

Perché ho voluto sottolineare questo aspetto? Perché per garantire un prodotto di qualità, come è giusto che chiedano i pastifici impegnati in progetti di filiera, bisogna garantire il giusto apporto di nutrienti alla pianta e i giusti trattamenti, seguendo le direttive dettate dai tecnici che tengono conto dei fattori predisponenti alle varie patologie e che in certe annate diventa impossibile fare senza l’uso di agrofarmaci e concimi, non ammessi in agricoltura biologica. Peraltro, permettetemi di aggiungere che rifuggo anche da chi usa come bandiera l’uso di seme non certificato, poiché la sanità di un seme certificato non è garantita da un seme autoprodotto e ciò che molti definiscono un “cartello” dei costitutori, ossia l’uso di seme certificato, è invece una garanzia di qualità per chi deve produrre e nel contempo finanzia la ricerca genetica che nel paese di Strampelli per una politica orba oggi è in forte affanno. Permettetemi quindi di concludere con un plauso a tutti i produttori di pasta che in questi anni hanno portato avanti i loro progetti di filiera e di cui Granoro è solo un esempio.

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