L’Unifg esporta le relazioni agricole alla Ryukoku University di Kyoto con Vàzapp’. La tavola rotonda coi prof Maurizio Prosperi, Mariarosaria Lombardi e Antonio Lopolito

by Michela Conoscitore

La terra di Capitanata, da sempre, è un territorio a vocazione agricola. Basti pensare che la pianura del Tavoliere è tra quelle più estese d’Italia e ha assistito, inoltre, alle lotte portate avanti dal sindacalista Giuseppe Di Vittorio che ha dato voce ai contadini e ai loro diritti. A tutt’oggi, quei contadini sono ancora spesso relegati in un cono d’ombra. Nonostante il comparto agricolo foggiano sia ancora trascurato e inascoltato, esso cela, invece, numerose potenzialità per cui la nostra provincia si potrebbe candidare a leader in molteplici ambiti. Tra questi, sicuramente, spicca quello dell’innovazione sociale applicata proprio all’agricoltura: di questi anni, ne è un esempio lampante il successo dell’hub rurale Vàzapp’.

bonculture, per approfondire e indagare sulla ricchezza del nostro territorio, del capitale umano in agricoltura e di progetti che stanno coinvolgendo l’Università di Foggia e la Ryukoku University di Kyoto, ha intervistato in una tavola rotonda ‘virtuale’ tre ricercatori dell’Ateneo foggiano, il prof. Maurizio Prosperi, la prof.ssa Mariarosaria Lombardi, membro di Vàzapp’, e il prof. Antonio Lopolito. 

Il professor Maurizio Prosperi

Professor Prosperi, il Giappone non è mai stato così vicino per la Puglia come in questo momento vero?

Inizio col dire che il Giappone è un’isola, ed è stata chiusa al mondo esterno per diversi secoli. Agli inizi dell’Ottocento era ancora un paese feudale. Ad un certo punto, i giapponesi si resero conto che il loro mondo era rimasto arretrato, e quindi si aprirono all’Occidente e lo fecero inviando studiosi di varie discipline nelle nazioni da loro ritenute più progredite in un dato ambito per apprendere; questa impronta è un po’ rimasta fino ai giorni nostri. L’Italia è stata a lungo considerata esclusivamente il paese del buon vivere, per la buona cucina, la musica, le bellezze monumentali e paesaggistiche. Avendo vissuto in Giappone ed essendomi ben integrato con la società giapponese, una volta tornato in Italia ho provato a cercare di instaurare delle collaborazioni riguardanti lo sviluppo del comparto agricolo e alimentare, ma l’impostazione culturale molto settoriale “per paese” da parte degli ambienti accademici nipponici, ha sempre costituito un ostacolo insormontabile. I loro paesi di riferimento nello studio e nella ricerca delle problematiche di economia agraria e alimentare sono ancora oggi la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e, al limite, la Germania.


L’incontro con la prof.ssa Naoko Oishi

Cosa è cambiato?

Negli ultimi anni è emersa la consapevolezza della sproporzionata dipendenza dalle importazioni per far fronte al soddisfacimento dei bisogni alimentari. Infatti, circa 3/4 del cibo consumato proviene dall’estero. Pertanto, si sono resi conto che era necessario prendere spunto da modelli di sviluppo rurale in grado di valorizzare le loro aree agricole, aventi caratteristiche più simili alle loro. Ad esempio, un problema annoso del Giappone contemporaneo, oltre all’invecchiamento della popolazione, è quello dei Neet, i giovani rimasti a casa senza lavoro, ma che restano costantemente collegati al mondo esterno tramite internet. Quindi c’è stata una riscoperta dell’agricoltura per impiegare questi giovani e risolvere più problematiche possibili. Soprattutto, i giapponesi hanno compreso che il modello inglese o americano può andare bene per città metropolitane come Tokyo, ma non è certamente adatto per affrontare le problematiche dello sviluppo delle aree rurali.

Può illustrare questa sinergia di intenti e obiettivi che ha portato alla collaborazione tra l’Università degli Studi di Foggia e la Ryukoku University di Kyoto?

È iniziata una epoca di maggiore attenzione nei confronti delle esperienze di altri paesi del mondo, tra cui appunto l’Italia, da cui poter estrapolare insegnamenti per modernizzare il loro modello di agricoltura. In questo senso, ciò ha consentito la costruzione del ponte tra il Giappone e la provincia di Foggia, attraverso il libro scritto dalla dott.ssa Mariarosaria Lombardi, che ha avviato poi la collaborazione con la prof.ssa Naoko Oishi della Ryukoku University. In realtà, a Foggia sono già presenti numerose aziende che hanno collaborazioni col Giappone, ma purtroppo tali esperienze restano sostanzialmente sconosciute sia agli operatori del settore che alla popolazione, e dunque non si assiste neanche a una diffusione dei casi di successo, da cui sarebbe possibile imparare nel tempo. Quindi, il tema dell’innovazione sociale potrebbe rendere le nostre aree rurali maggiormente attrattive per i giovani, e dunque costituire in tal modo una possibile risposta alla senilizzazione delle campagne, problema vecchissimo, presente anche in Giappone.

Il seminario

Lei e la prof.ssa Lombardi vi siete recati in Giappone, lo scorso novembre, per la collaborazione con la Ryukoku University. Come si è svolto il tutto?

Siamo andati in Giappone per quattro attività principali, tutte, a mio avviso, molto interessanti: abbiamo realizzato un workshop operativo con gli studenti della Ryukoku University, sul tema della creazione delle relazioni, tra attori diversi che non si conoscono per la formazione di un network; abbiamo discusso i risultati di ricerca del caso studio Vàzapp’, affrontato nel corso del progetto SIMRA, con colleghi del LORC, il gruppo di ricercatori della Ryukoku University; abbiamo visitato un rural hub giapponese, la Handsomegarden, che cerca di avviare progetti innovativi nell’agroalimentare, e infine, abbiamo partecipato all’evento fieristico C’é Fest!, in cui si cerca di avvicinare gli agricoltori ai consumatori. Abbiamo avuto modo di comunicare alcune esperienze del territorio foggiano, cercando di prospettare i reciproci vantaggi da una futura collaborazione con i referenti delle diverse strutture che abbiamo incontrato.

Come questo incontro tra ‘culture’ agricole ha arricchito la provincia di Foggia?

Certamente, c’è stato molto interesse da parte dei giapponesi, in quanto lo sviluppo rurale e il coinvolgimento dei giovani sono aspetti molto importanti in questo momento, e pertanto l’ascolto delle esperienze foggiane hanno attirato l’attenzione perché si prestano ad essere analizzate, comprese, e raccontate. Del territorio foggiano si parla troppo spesso in senso negativo, mentre non si dà sufficiente risalto alle esperienze positive. Gli aspetti negativi sono sempre gli stessi, inutile ripeterli, mentre le cose belle e positive sono veramente tante, e molto variegate. All’esterno interessano molto. Ci siamo pertanto resi conto che il nostro territorio può insegnare molte cose agli altri, addirittura a persone che, pur essendo molto distanti, condividono con noi le medesime problematiche: la qualità del cibo, la qualità della vita nelle campagne, la sostenibilità dell’ambiente rurale.

La prof.ssa Lombardi, autrice del libro
L’innovazione sociale nel settore agricolo del Mezzogiorno

Professoressa Lombardi, il progetto di collaborazione con la Ryukoku University parte dal suo libro, L’innovazione sociale nel settore agricolo del Mezzogiorno, in cui ha raccontato dell’hub rurale Vàzapp’, il quale sta diventando sempre più un esempio da seguire, in diverse aree rurali del mondo…

Innanzitutto, l’obiettivo del libro era di mettere insieme delle informazioni che fino a quel momento non c’erano in termini sistemici. Si parla di innovazione sociale da tanti anni, ma quello che mancava era l’approfondimento della sua applicazione al settore agricolo. Il libro è servito a questo: evidenziare come l’innovazione sociale possa rappresentare un modello di sviluppo dell’agricoltura alternativo e integrato a quello tradizionale basato, spesso e solo, sull’innovazione tecnologica. Dei tre casi studio del Mezzogiorno che ho analizzato nel libro, Vàzapp’ ha attirato più interesse perché ha spostato l’asse e l’attenzione sull’attività del contadino, nell’ottica di ridargli dignità. In questi anni di attività, l’hub rurale ha guadagnato follower e si è fatto conoscere anche a livello nazionale e internazionale. Esso rappresenta, di certo, un esempio di ‘best practice’ nell’aver introdotto un percorso concreto di innovazione sociale in agricoltura, ascoltando i contadini e incrementando le loro relazioni. Da un ultimo lavoro di ricerca, condotto da me e altri colleghi dell’Università di Foggia, è stato validato scientificamente che effettivamente l’hub rurale è riuscito a riconfigurare il network delle relazioni del nostro territorio.


Il team Vàzapp’

Dagli inizi ad oggi, con Vàzapp’ quali obiettivi avete raggiunto e quali volete ancora raggiungere?

Giuseppe Savino e don Michele de Paolis, inizialmente, avevano pensato a Vàzapp’ più come a un progetto per evitare l’abbandono, da parte dei giovani della Capitanata, della propria terra di origine, creando delle opportunità per farli rimanere, riscoprendo il valore del lavoro agricolo. Man mano che il progetto si è evoluto, ci siamo resi conto che stavamo facendo innovazione sociale e, quindi, dovevamo puntare sulle relazioni tra i contadini, soprattutto tra i confinanti. Abbiamo anche compreso che dovevamo ascoltare gli agricoltori, molto spesso inascoltati, e capire quali erano i loro desiderata e preoccupazioni da portare all’attenzione delle istituzioni. Lo abbiamo fatto utilizzando il format delle Contadinner. Adesso, vorremmo esportare questo strumento di innovazione sociale in tutte le regioni italiane. L’agricoltura deve ritornare ad avere il suolo centrale nell’economia, soprattutto alla luce di quanto emerge dall’emergenza sanitaria Covid-19. Stiamo cercando, inoltre, di valorizzare la fase più debole della filiera agro-alimentare, ovvero quella della commercializzazione, per chi non se lo può permettere, e cioè i piccoli agricoltori.

Come mai, prima di Vàzapp’, i rapporti tra i nostri contadini erano pressoché nulli?

Lombardi: La stessa domanda ci è stata rivolta anche in Giappone, in occasione della nostra visita di novembre. In realtà, il contadino, in genere, vuole produrre di più rispetto al suo confinante e cerca di non rivelare le sue tecniche usate per raggiungere l’obiettivo. Abbiamo provato ad aumentare la fiducia tra i confinanti, li abbiamo fatti incontrare e parlare durante le Contadinner: il contadino presenta l’agricoltore che ha appena conosciuto, e quindi diventa protagonista in quel momento ma parlando dell’altro. Si creano, quindi, una sorta di empatia e un legame molto forte, soprattutto quando si comprende che un problema che un contadino può avere nella sua azienda è condiviso con l’altro appena conosciuto. Lo scambio può portare, ovviamente, alla risoluzione della difficoltà, grazie allo scambio di informazioni. Per di più, aumentano le relazioni: infatti, tra i quasi 400 contadini che abbiamo incontrato durante queste cene, c’è stato un loro incremento pari al 308% (questo dato è stato validato statisticamente grazie al lavoro condotto e appena pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Social Networks, ndr.).

Il prof. Antonio Lopolito

Lopolito: Aggiungo che le relazioni tra contadini nascono ovviamente in ambito lavorativo, e questo voler mantenere la segretezza equivale a voler conservare un vantaggio sull’altro. Vàzapp’ ha invece creato un contesto informale, dove sono cadute tutte le barriere, e quindi non ci sono stati più competitor ma colleghi con cui poter condividere sogni e problemi.

Professoressa Lombardi, lei è membro di Vàzapp’, ricercatrice, docente universitaria, molto attiva inoltre sul territorio: una presenza, la sua, in più ambiti della realtà agricola provinciale. La provincia di Foggia può candidarsi ad essere la nuova frontiera oltre che per una green economy, anche per dettare i ritmi di un’agricoltura che associa sapienza contadina e innovazione?

Per la green economy siamo già avanti; a questo proposito il dott. Prosperi ed io siamo stati chiamati dal Comune di Bovino per sviluppare un percorso partecipativo volto alla creazione di una comunità energetica per auto-produrre e distribuire energia rinnovabile nel paese. Sono temi che fanno parte del mio background scientifico, essendo una merceologa, e studiando gli aspetti di sostenibilità energetica ed ambientale dei processi produttivi. Le energie rinnovabili, e in particolare le agro-energie (energia dal mondo agricolo, ndr.) è stata la prima tematica su cui io e il dott. Prosperi ci siamo confrontati, qualche anno fa. Insieme con la collega dott.ssa Alessia Spada, ricercatrice di Statistica, abbiamo analizzato l’accettabilità sociale delle agro-energie, incontrando la popolazione di otto diversi Comuni del territorio. Dico questo perché, a mio avviso, essere ricercatore significa riuscire a integrare al meglio tutte le nostre funzioni: ricercare in base alle esigenze del territorio, ovvero dialogare con esso per co-progettare e co-creare conoscenza, quindi terza missione e ricerca insieme, poi condividere i risultati con gli studenti, durante i corsi di insegnamento, ovvero la didattica. Lavorare insieme a colleghi di altri dipartimenti significa arricchire il nostro background, i nostri studenti e il territorio stesso. Non dovremmo parlare di Università ‘Di’ Foggia ma ‘Per’ Foggia: è questo il concetto che mi piacerebbe evidenziare. 

Ciò che colpisce del progetto Vàzapp’ è la sua dimensione sociale, basti pensare alle vostre Contadinner. Comunicare e restare connessi, un linguaggio contemporaneo applicato all’agricoltura: avete dovuto abbattere più barriere o attraversato più ponti?

Non è stato facile parlare con gli agricoltori, soprattutto i meno giovani che rappresentano quasi l’80% dei capi-azienda nel settore agricolo italiano. In media hanno 55 anni e non hanno il diploma di scuola secondaria. Rispetto al loro background, far capire cosa Vàzapp’ voleva fare per loro è stato piuttosto arduo. Tuttavia, siamo riusciti a individuare i metodi comunicativi migliori per arrivare, abbattendo molte barriere, come scetticismo o poca predisposizione alla condivisione e all’ascolto dell’altro. Siamo riusciti, tuttavia, anche ad attraversare tanti ponti: l’esperienza di Vàzapp’ ci ha permesso di comunicare con gli enti territoriali e i mass media.

Professor Lopolito, in cosa consiste il progetto SIMRA e chi vi ha preso parte?

SIMRA è un progetto finanziato dalla Comunità Europea, e fondamentalmente è un consorzio che raggruppa università ed enti di ricerca, europee e nordafricane. Il capofila di questo progetto è scozzese, il James Hutton Institute. L’Italia è rappresentata, tra gli altri, dall’Università di Foggia. La UE ha concesso quattro milioni di euro per portare avanti questo progetto di ricerca: dal primo aprile 2016 ad oggi, questi enti si sono riuniti per studiare l’innovazione sociale nelle aree rurali marginalizzate, per capire cos’è e vedere come questa può essere utile per far sviluppare le aree rurali. I partner hanno pubblicato un catalogo delle varie realtà di innovazione sociale nell’Unione Europea e studiarle. È stata un’azione di grande perspicacia da parte della UE, motivata dall’esigenza degli stati centrali, perché le aree rurali sono un importante problema da affrontare. Le aree rurali sono importanti perché sono un presidio sul territorio, ma sono difficili da gestire; ognuna ha le sue caratteristiche e lo stato centrale sa che la sua azione lì è inefficiente. I problemi specifici come si possono risolvere quindi? La UE quindi ha lanciato il bando su questa tematica perché l’innovazione sociale può aiutare a dare una risposta ai problemi delle aree rurali, responsabilizzando le persone e coinvolgendo l’intera società. In alcune zone, l’innovazione sociale è stata spontanea, se non addirittura istintiva; così SIMRA ha analizzato questi ventisei casi di innovazione sociale, e tra questi Vàzapp’, con l’idea di fornire al policy maker dei suggerimenti per fare in modo di attivare esperienze simili in altre aree rurali.

Il meeting SIMRA

Abbiamo parlato di eccellenze non valorizzate in provincia, e buoni progetti in corso, ma non pubblicizzati. Eppure l’agricoltura è la vocazione principale della terra di Capitanata, da sempre. Come vi muoverete per portare avanti il progetto sull’innovazione sociale in agricoltura e coinvolgere sempre più attori in un dialogo costruttivo?

Prosperi: Bisogna cogliere le opportunità che si presentano, provando ad ampliare le vedute e capire quali sono le potenzialità di un territorio, associando capacità visionaria e studio. Penso che si debba andare avanti con la ricerca e la collaborazione con i miei colleghi, ma anche coinvolgendo il più possibile gli studenti, che sono il capitale umano dalle incredibili potenzialità dell’Università di Foggia, e che debbono essere supportate, stimolate e valorizzate.

Lombardi: Da sempre stimolo i miei studenti ad approfondire durante i corsi, con seminari e casi studio, il tema dell’innovazione sociale. Recentemente, grazie alla prof.ssa Oishi, l’Università di Foggia ha ottenuto finanziamenti per due progetti in Giappone, e forse con uno di questi riusciremo ad esportare Vàzapp’ anche lì. Quindi, continuerò a diffondere l’innovazione sociale attraverso il mio lavoro, con i miei studenti, e anche con progetti internazionali.

Lopolito: Valorizzare le eccellenze è un lavoro, a tutti gli effetti, di astrazione. Faccio un esempio: un nostro ex allievo ha convertito i residui di potatura in pellet. Ne aveva prima studiato la fattibilità nella sua tesi redatta sotto la supervisione del dott. Prosperi, e poi è riuscito a concretizzare il suo progetto creando un nuovo business. Ci ha impiegato dieci anni, dovendo superare alcuni inevitabili ostacoli e accettando rischi ma, come vede, il potenziale da valorizzare c’è, ed è anche tanto: sono i nostri studenti, l’innovazione sociale in agricoltura passa attraverso loro e la didattica. Senza dimenticare la divulgazione e la comunicazione, attraverso i social media e gli organi di stampa, il cui ruolo è prezioso e insostituibile.

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