“Me contro te”: le certezze genitoriali crollano

by Paola Manno

Quando nasce un bambino, si dice, nasce anche un genitore. Quello che però si sa un po’ meno è che allo stesso modo una parte delle persone che siamo, invece, cessa di esistere. Non parlo della fine delle nottate eroiche a contemplar le stelle o dei ritmi di vita adolescenziali che abbiamo eroicamente mantenuto fino ai 40 anni. Parlo proprio dei compromessi intellettuali, filosofici, etici persino, che una inizia a fare quando diventa madre. Il martello che ha distrutto il muro della mia integerrima fortezza morale è una coppia di blogger ventenni dei quali già il nome d’arte è un segnale illuminante: “lui è Luì e lei è Sofì”, perché Luigi e Sofia, è ovvio, fa troppo provinciale.

L’incubo è iniziato una domenica della scorsa estate quando, insospettita dall’insolito silenzio di mia figlia seienne, l’ho scoperta davanti a una pagina di youtube. Immobile. Da 15 minuti. Su un’immagine fissa. –Che fai? –Sono in attesa, mà.  Sullo schermo leggo “La puntata sarà messa online alle 12:00”. Sono le 11e35. 100.000 persone sono in attesa. Rileggo la cifra. Qualcosa come un’intera città, anziani e poppanti compresi, resta in attesa di vedere una puntata di questi due che –sia ben chiaro- non è una diretta, ma resterà online per sempre.

Scopro che il canale dei “Me contro te” ha 4 milioni e mezzo di iscritti, tra cui mia figlia, che si è registrata con l’account dell’associazione politica di cui curo la gestione dei video. Scopro che i video caricati fanno una media di 5 milioni di visualizzazioni a puntata. Scopro che i due giovani fidanzatini siciliani spiegano ai bambini come si prepara uno slime glitterato, che fanno le challenge settimanali, che spacchettano regali lanciando allegri gridolini; scopro che hanno due cagnolini, Kyra e Ray, che hanno festeggiato un compleanno da paura. Scopro che a breve uscirà il loro film al cinema. Scopro che i bambini iscritti fanno parte del team trote (qualche qualificata mente che non ha saputo leggere “me contro te” ma ha letto “me con trote” ha coniato l’infelice nome). Scopro di avere una figlia trotina che mi dice che su 28, ben 24 dei suoi compagni di scuola sono iscritti al canale. Una setta. Altro che i 4 milioni di followers salviniani, con buona pace della Gabanelli. Manco Berlusconi ai tempi d’oro. Vedo trote ovunque.

Mia figlia, figlia di una femminista che sfoggia i primi capelli bianchi come rivendicazione, sogna le sfumature rosa dell’allegra chioma di Sofì. È figlia di una che ha trascorso la sua adolescenza sulle pagine strazianti della recherche proustiana, che ha lavorato per pagarsi corsi di specializzazione sul cinema sovietico, che l’ha svezzata con quinoa biologica e le ha letto le poesie di Toti Scialoja per insegnarle le allitterazioni. Da quella domenica maledetta il pavimento granitico delle mie certezze genitoriali è crollato sulle note di “Princesa” (45 milioni di visualizzazioni!), cantata da una scoppiettante Sofì in abitino rosa confetto.

Ora, nel nome della tolleranza sui cui trattati settecenteschi imbastisco gran parte dei miei bei discorsi libertari, ho accettato questo amore fanciullesco e innocente soprattutto perché convinta che, negandoglielo, avrebbe attecchito con maggior vigore. Le ho comprato le figurine e le gommine dei Me contro te perché mi piace vederla felice. Voi non conoscete gli irresistibili sorrisi di gratitudine di mia figlia. Le ho regalato la maglietta del cane Ray che costa 19.90 euro sul sito ufficiale perché le imitazioni su Amazon sbiadiscono al primo lavaggio-lo ha detto Luì. Voi non sapete che il soprannome della mia trotina è “goccia cinese” e la sua petulanza, in famiglia, è proverbiale. Ho ceduto persino sul diario scolastico. Ebbene sì. Non scorderò mai la faccia della commessa abituata ad accontentare le mie richieste su introvabili edizioni di scrittrici che nessuno ha mai udito nominare, quando le ho chiesto il diario più ambito del momento. Ordinato perché in ristampa e pagato in anticipo, non si sa mai.

Su una cosa, però, non ho ceduto. Le sneakers fuxia con i patch rimovibili. Primo, io non compro scarpe su internet. Secondo, con il merchandising questi due hanno davvero esagerato. Va bene, lo ammetto, le ho cercate, spinta dalla curiosità. Sul sito ufficiale non le ho trovate. –Devi vedere sul sito di La Jo, mà! La JO. Penso a Piccole donne. Dopo mezz’ora di ricerche matte e disperatissime infine le trovo. Costano 79 euro. Scopro che Liu Jo è una marca super trendy. No, su Liu Jo non cedo.

La trotina ed io ci sediamo al tavolino dei discorsi seri. Le dico che il suo piede cresce in fretta e non spenderò 79 euro per una scarpa che userà 2 mesi. Le dico che con 79 euro potremmo comprare un sacco di bei libri, potremmo pagare una stanza in un b&b e andare a cogliere castagne sul Pollino il prossimo week end. Le ricordo che ci sono bambini che portano le scarpe dei fratelli. Bambini che di scarpe ne posseggono solo un paio per tutta la vita. Cito la Mannoia “Chi non ha scarpe non ha padrone mai”. Le ricordo Malala, Alfonsina Strada, la Woolf, tutte le favole delle bambine ribelli che non sono servite a niente. Tento di spiegarle come funziona il merchandising, come ci abituano a diventare consumatori compulsivi sin dalla più tenera età, come diventiamo schiavi di un marchio, come invece sia bella e importante la libertà della diversità. No, non avrà le scarpe delle trote, perché lei è una bambina libera. Perché quelle scarpe non abbinano con niente. Perché la carta di credito è bloccata e l’account per fare gli acquisti ce l’hanno criptato.

Alla fine capisce il predicozzo. E fa una cosa rivoluzionaria. –Sai che facciamo, mà? Adesso gli scriviamo una lettera, a Sofì e Luì. “Ciao, sono Elisa. Ho 6 anni, vado a scuola. Il mio canale preferito è il 41. Io ho il fantalibro, 2 magliette, il diario. Potete cambiare negozio alle vostre scarpe? 79 euro sono troppo care. Tutti hanno diritto, non solo i ricchi. Vi voglio bene”.

Ha scritto. Va bene, è una lettera bellissima, anche se è tutta tempestata di cuoricini. Ho ritrovato la mia bambina. 

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