“Nel momento in cui una ragazza si chiede se può farlo, allora quasi certamente lo farà”. Le ragazze con i numeri di Roberta Fulci

by Anna Maria Giannone

“Il mondo non deve essere privato del potenziale, dell’intelligenza o della creatività delle migliaia di donne vittime di disuguaglianze e pregiudizi profondi”: così Audrey Azoulay, direttore generale dell’Unesco, dava avvio alla Giornata mondiale delle ragazze e delle donne in scienza, lo scorso 15 febbraio. E laddove c’è bisogno di giornate di celebrazione c’è ancora, con tutta probabilità, un vuoto da colmare.

D’altronde i numeri parlano chiaro: sebbene nel mondo della ricerca le donne siano più della metà, solo il 10% arriva al grado più alto di Professore ordinario nelle Università. In Italia il gap di genere nel mondo scientifico si fa ancora più evidente: qui i lavori tecnico scientifici sono svolti da donne per meno del 32% e solo il 5% delle quindicenni italiane desidera intraprendere professioni scientifiche. Eppure, nonostante secoli di esclusione dall’istruzione, tante sono le scienziate che hanno contribuito a scoperte importantissime, in tutti i campi disciplinari, alcune note al grande pubblico, altre ancora sconosciute ai più.

Per sensibilizzare e promuovere l’uguaglianza di genere nel mondo scientifico, Editoriale Scienza da 17 anni propone la collana Le donne della scienza, pubblicando ritratti appassionati di donne che hanno contribuito alla ricerca nella storia. Le pubblicazioni sono destinate a ragazze e ragazzi dai 10 anni in su, avvincenti anche per gli adulti. Una collana pionieristica e di lunga durata, anticipatrice di una formula che mette assieme biografie brevi e illustrazioni, portata al successo dalle più recenti “Storie della buonanotte per bambine ribelli”.  

Nella collana spicca una pubblicazione speciale uscita nel 2018, in occasione dei 15 anni della collana, con una raccolta di biografie di 15 di donne di scienza raccontate da Vichi De Marchi –  giornalista e direttrice del Comitato WE. Women empower the world, già autrice di molti dei ritratti pubblicati nella collana – assieme a Roberta Fulci, divulgatrice scientifica e voce di Radio 3 Scienza e illustrate da Giulia Sagramola.

Sfogliando le pagine del libro ci si imbatte nella storia del nostro Premio Nobel per la medicina Rita Levi Montalcini ma anche in vite meno note e più lontane, come quella di You You Tu, scienziata cinese che con le sue erbe medicinali ha vinto la battaglia contro la malaria, di Maryam Mirzakhami, matematica iraniana, prima donna a ottenere la Medaglia Fields, di Rosalind Franklin la chimica che per prima fotografò la molecola del DNA o della russa Valentina Tereshkova, prima donna ad andare nello spazio.

Da due anni le due autrici portano il libro in giro per l’Italia, incontrando studenti, insegnanti, educatori, nelle scuole, in libreria, in corsi di formazione. Noi abbiamo incontrato Roberta Fulci, a margine del suo intervento per Lector in Fabula.

Lei si occupa di divulgazione scientifica, è autrice e voce per la redazione scientifica di Radio3. Come mai ha deciso di tuffarsi in questa impresa letteraria?

È stato un caso. Due anni fa ho ricevuto la chiamata da parte della mia coautrice Vichi De Marchi, già autrice di parecchi libri per la collana Le donne della scienza che, all’epoca stava per compiere 15 anni. La casa editrice, dopo molte monografie pubblicate, voleva realizzare un numero speciale per festeggiare i 15 anni con una raccolta con 15 storie. Un lavoro molto grosso che necessitava di un coautore. Tramite la redazione di Radio3 Scienza, Vichi è arrivata a me. Non ci conoscevamo prima ma la fortuna ha voluto che, proprio pochi giorni prima di sentirci, avevo curato una puntata sulla letteratura scientifica per l’infanzia e mi era venuta una gran voglia di fare qualcosa di simile. È stata una occasione incredibile. Usare la narrazione, cercare degli snodi chiave per attirare l’attenzione di chi ascolta e costruire attorno una storia è quello che già facevo in radio. C’era poi l’idea un giorno di scrivere qualcosa, mi è sempre piaciuto, da quando andavo a scuola.

Come siete arrivate a scegliere le 15 scienziate protagoniste delle storie raccontate nel libro?

Erano già uscite sette storie per la collana per cui abbiamo già scartato le scienziate già raccontate nelle edizioni precedenti. La scelta era comunque enorme. Abbiamo quindi fatto una selezione in base ai nostri interessi, ma anche rispettando una serie di aspetti. Innanzitutto volevamo che il libro fosse molto vario, presentando scienziate che venissero da background diversi: abbiamo scelto matematiche, un’astronauta, un’antropologa, un’artista diventata poi entomologa. Abbiamo anche cercato poi di rispettare un’esigenza di varietà geografica, ci tenevamo a raccontare storie di scienziate che venissero da tanti luoghi diversi, allargando il nostro sguardo anche oltre quelle più vicine a noi. Nel costruire questi criteri è venuta fuori la rosa delle 15 scienziate raccontate nel libro.

Ce n’è una a cui è particolarmente legata?

Ce ne sono diverse, la prima storia che ho scritto è quella di Sophie Germain. Mi ha colpito tanto perché è romanzesca di per sé, non c’è stato bisogno di aggiungere nulla. Lei era una matematica vissuta negli anni della Rivoluzione Francese a Parigi. Sin da giovane dimostrò un grande interesse per la matematica, ostacolata parecchio dai suoi genitori. Nonostante questo decise di iscriversi all’École polytechnique, inaugurata da pochissimo, un’università di altissimo livello per lo studio della matematica e la fisica. Ma c’era un problema: era accessibile solo agli uomini. Sophie non si arrese e si finse uomo, non fisicamente, ma seguendo per corrispondenza le lezioni nei panni di uno studente che effettivamente era iscritto alla scuola ma che lei sapeva essersi ritirato. Questa storia era già così divertente di suo che è stata la prima in cui mi sono tuffata e rimane una di quelle che ho dentro.

Tutte le scienziate sono raccontate partendo dall’età giovanile, si racconta di passioni durature. Non sempre capita che ci sia una predilezione così consapevole per le materie scientifiche.

In effetti non capita sempre. Nel caso di queste scienziate è quasi sempre così. Ma ad esempio Katherine Johnson, matematica afroamericana nata nel West Virginia, realizzò il suo sogno originario di fare ricerca matematica, con applicazione addirittura nell’astronautica, a 35 anni. Pur avendo fin da piccola il pallino della ricerca matematica aveva abdicato in favore dell’insegnamento. Anche se tardi è tornata a inseguire la sua vera passione.

In tutte le storie c’è poi un ostacolo, qualcosa che blocca le aspirazioni di queste donne. Anche adesso è così? Ci sono ancora ostacoli per le donne scienziate?

È chiaro che è sempre meno così. Abbiamo raccontato alcune storie che vanno molto indietro nel tempo.  La più antica, quella di Maria Sibylla Merian, va indietro di secoli, fino alla seconda metà del 1660. Più ci avviciniamo a oggi più gli ostacoli legati al genere cadono, però non sono completamente scomparsi: ci sono anche se sono più difficili da vedere, sono molto meno formalizzati. Non capita più che non ci si possa iscrivere all’università, però succede che ci siano contesti che rimangono storicamente appannaggio degli uomini. Gli ostacoli possono essere anche stupidi. Faccio un esempio: l’astronauta Vera Rubin negli anni ‘50 fece più volte richiesta per poter accedere agli strumenti dell’osservatorio di Monte Palomar negli Stati Uniti, senza mai ottenere il permesso. Lei non riusciva davvero a capire la ragione di questo rifiuto, fino a quando, per caso, scoprì che il vero motivo era la mancanza di un bagno delle donne, perché non era mai servito prima. Questo è un esempio abbastanza chiaro di come non tutti gli ostacoli siano visibili o voluti dalla comunità scientifica maschile. C’è un retaggio che arriva molto avanti negli anni. Tante cose vanno sistemate, sia in maniera pratica sia nella visione, nel sostegno alle aspettative delle stesse donne che meno facilmente degli uomini si vedono nei panni di una scienziata.

Valentina Tereshkova, la prima donna ad andare nello spazio, a un certo punto del vostro racconto, quando viene selezionata nella scuola di addestramento per cosmonauti di Mosca, si chiede “è questo il mio posto?”. Le ragazze di oggi se lo chiedono ancora quando perseguono strade storicamente riservate al mondo maschile?

Che se lo chiedano è positivo. Il rischio più grande si corre quando non se lo chiedono, perché magari non si rendono conto della domanda e assorbono in maniera un po’ inconsapevole il fatto che è un contesto sia riservato esclusivamente al genere maschile. Il pericolo è che le donne non arrivino mai a chiedersi “lo possono fare?”, perché non viene proposta come una possibilità, perché è sempre stato così. Nel momento in cui una ragazza si chiede se può farlo, allora quasi certamente lo farà.

Lei è una matematica di formazione, ha mai avuto l’impressione di essere meno considerata di un suo collega uomo?

No, a me non è mai capitato di sentire il mio lavoro meno valorizzato rispetto a quello di un collega. Quello però che si osserva a Matematica, come in tante altre facoltà, è un dato numerico abbastanza lampante: si entra in numero uguale fra studenti e studentesse, poi man mano che si avanza nella carriera gli uomini sono sempre in numero superiore, fra dottorandi, post doc, associati e ordinari. Più si va avanti è più è evidente lo squilibrio. I professori sono in stragrande maggioranza uomini. È ancora così.

Il suo mestiere è quello della divulgazione scientifica. Come si fa ad appassionare ragazze e ragazzi a una materia scientifica? Spesso hanno fama di materie ostiche o noiose…

Ci sono tante strade. Sicuramente le storie aiutano. Raccontare una storia come abbiamo fatto nel libro permette di calarci in un personaggio. Questa è un’operazione di comunicazione scientifica extra scolastica. Tuttavia il primo momento in cui entriamo in contatto con le scienze avviene nella scuola. L’Italia è in una posizione ancora un po’ svantaggiata rispetto ad altri paesi. Per motivi storici e culturali la scienza è vista come una cosa alternativa alla cultura, si può essere grandi intellettuali anche se non si ha nessuna cognizione scientifica. È uno di quei fattori di cui ti rendi conto quando ti confronti con l’estero, penso agli Stati Uniti in particolar modo. Questa visione probabilmente arriva anche a scuola. Io sono stata fortunata: i miei insegnanti di matematica mi hanno sempre divertito, mi hanno innescato curiosità, però in generale la matematica è considerata una materia noiosa e anche un po’ spaventosa. Siamo abituati a pensare che la matematica sia cristallizzata, che tutto quello che c’era da sapere è stato scoperto duemila anni fa. La realtà è molto diversa, la matematica è una prova di immaginazione, è la più creativa delle attività umane, serve una grande fantasia per farla bene e per avanzare nella ricerca. È un peccato che questo si veda molto poco a scuola.

Come si potrebbe far emergere questo aspetto creativo della matematica nella scuola?

Ci sono vari modi. Una strada è la più classica, quella delle applicazioni: capire a che cosa serve. Un’altra strada è quella storica. Non capita mai di imbatterci nella storia della matematica a scuola. Perché qualcuno si è posto il problema di capire come si risolve un’equazione di secondo grado? Quando si sono posti il problema? Che strumenti avevano e in che modo sono cambiati nel tempo? Poi sarebbe bello proporre la matematica più sotto forma di domanda: siamo abituati a risolvere problemi, ad applicare formule. Sarebbe bello lasciare molto più spazio a domande aperte.

Quale ricerca scientifica attualmente in corso le piacerebbe raccontare?

Io sono molta curiosa delle neuroscienze, mi intriga moltissimo capire che cosa sappiamo di come funziona il cervello, la coscienza. Non ho in mente una figura in particolare, uno scienziato o una scienziata, però mi piacerebbe capire. Negli ultimi 50 anni sono state fatte delle capriole incredibili rispetto a questo argomento.

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