Via col Vento a POPSOPHIA. Cesare Catà: “La difesa dei diritti civili non passa per la messa all’indice dei classici”

by Gabriella Longo

«Il film in cui Hollywood fece Hollywood più che mai»: Via col vento, kolossal dei record, al centro delle polemiche dal 1939 (e forse, addirittura prima). In questi giorni quella stessa Hollywood ha temporaneamente cancellato il suo capolavoro in technicolor, sospeso dalla library streaming di HBO Max a sostegno del Black Lives Matter, in un’America infiammata, intanto, dai fatti di Minneapolis. «Mantenerlo così, senza spiegare e denunciarne il razzismo, sarebbe irresponsabile. Tornerà quando sarà “contestualizzato e risituato nel suo periodo storico”», recitava la comunicazione ufficiale della piattaforma streaming della WarnerMedia, mentre ci si domanda se questo non sia, da sempre, un preciso dovere dello spettatore. E se oscurare, pur temporaneamente, Via col vento, o qualunque opera dell’ingegno umano, sia mai davvero giustificabile.

Ed è per questo che va rivisto, anche oggi, alla luce degli ultimi fatti che lo hanno visto tornare al centro. Ascoltare quel “francamente me ne infischio” consegnato agli annali, e guardare la pellicola con gli occhi di oggi senza scordare cos’era a suo tempo, fino in fondo, fino a quel finale con Scarlett che non può dirsi certo portatrice d’un trionfo completo. Ne abbiamo parlato con Cesare Catà, filosofo, e performer teatrale, che, prendendo le mosse dalle ultime polemiche, il 5 luglio racconterà l’immaginario di Via Col Vento nell’ambito di POPSOPHIA, festival nazionale della Filosofia del Contemporaneo (Pesaro, 2-5 luglio 2020).

«Dopotutto, domani è un altro giorno»: quanto ha ancora da dire il personaggio di Rossella, antieroina per eccellenza, sull’indipendenza e il coraggio? E come se li porta gli anni la pellicola di Fleming?

La forza letteraria del romanzo di Margaret Mitchell da cui è tratto il film, a mio avviso, sta nella capacità di ricreare un tempo perduto, con una prosa di rara raffinatezza, attorno a un personaggio femminile quanto mai complesso e profondamente affascinante come Scarlett. È una donna difficile, volitiva, in conflitto anche con se stessa; il contrario dell’archetipo della fanciulla remissiva che patisce il suo destino. Oltre a lei, vi è anche un altro modello femminile, altrettanto forte e luminoso, che direi complementare rispetto a Rossella, ossia quello di Melania, emblema della vera e grandiosa dama del Sud. Rossella, invece, non appartiene pienamente a quel mondo che vede scomparire via col vento, proprio per la sua indipendenza; e questo, se vogliamo, certamente la caratterizza come un’antieroina profondamente moderna. La pellicola di Fleming, che il regista firmò dopo una lunga e travagliata vicissitudine di produzione, credo rimanga a tutt’oggi un grande capolavoro, nel quale in maniera perfetta e compiuta vengono poste le basi della grammatica estetica della narrazione cinematografica.

In merito alla temporanea rimozione della pellicola dal catalogo HBO e alle polemiche da essa scaturite: molti si sono domandati, e qui le ripropongo il quesito, perché proprio questo film?

Essendo divenuto un classico, Gone With the Wind è assurto a simbolo; per questo si ritiene che, mettendolo in discussione, si possa criticare una specifica mentalità. Ma vi è un fatale errore di prospettiva, a mio avviso. Io non credo, cioè, che la via per la difesa dei diritti civili passi per la messa all’indice dei classici. Trovo miope la decisione di HBO di espungere dal proprio catalogo Via col Vento, per almeno tre ordini di ragioni.

In primis per una questione di principio: l’arte non è mai morale (lo spiegò Nietzsche, Wilde lo gridò sotto processo): quando si moralizza l’arte, si perde anche l’etica, perché quest’ultima non si basa su meri precetti cui attenersi, bensì su quella capacità di riconoscere la bellezza, che solo l’arte con la sua amoralità può insegnare; ed è tale capacità a renderci cittadini migliori – come, in altri termini, ebbe a dire anche il Dr. King.

In secondo luogo, appunto, nel merito: quello di Fleming, che a mio avviso resta uno dei prodotti cinematografici più perfetti della storia, nasce a sua volta da un capolavoro della letteratura americana, opera unica di Margaret Mitchell, che è anzitutto un romanzo di formazione incentrato su una civiltà – quella sudista – spazzata via dalla storia, e su una ragazza volitiva e strana che fa i conti con se stessa: non c’è una matrice sociologica, né nel testo né nel film, bensì psicologica.

Infine, proprio a questo proposito, anche se vogliamo considerarne il punto di vista storico-politico, Gone With the Wind affresca un quadro – nostalgico, certamente, ma non direi pro-slavery – di un periodo essenziale della storia americana, senza comprendere il quale non si ha la minima idea delle atrocità e delle ingiustizie del presente negli States.

Io trovo, in generale, che non si possa vietare la grande letteratura, neanche in nome dei nostri più alti ideali.

L’azienda HBO Max ha specificato che non si tratta di un’esclusione definitiva della pellicola dal proprio catalogo ma di un reinserimento accompagnato da un invito alla sua contestualizzazione storica. Con quale incisività crede che un disclaimer o un’avvertenza possano condizionare la fruizione del contenuto di questo o di qualunque altro prodotto audiovisivo?

Benissimo discutere, contestualizzare, benissimo approfondimenti e critiche. Ma accompagnare un film o un libro con un disclaimer come “attenzione: contiene pregiudizi”, mi sembra una cosa grottesca. Anche solo discuterne è fuori da ogni logica. Sarebbe come dire che dovremmo cancellare gli affreschi della Sistina perché Michelangelo sottopagava i suoi collaboratori rispetto a Raffaello. Citavo prima Oscar Wilde: la sostanza culturale (al di là del gossip) del motivo per cui lo scrittore venne chiamato alla sbarra fu proprio la questione della a-moralità dell’arte, che egli difese fino alla fine (e a costo della vita). Ecco, il punto è solo questo.

All’epoca in cui il film uscì, qualcuno chiese al premio Oscar Hattie McDaniel se, con il personaggio di Mami, non le sembrava di esaltare lo stereotipo del servo nero. L’attrice rispose: «Credo che il pubblico sia men ingenuo di quello che credono i più critici». Considerata la necessità di inserire una “guida alla visione” a più di 80 anni dall’uscita del film, crede che il pubblico di oggi sia molto più ingenuo di quanto credono i più critici?

Credo che il punto non sia tanto chiedersi se il pubblico sia in grado di capire che in un prodotto artistico vi sono elementi da non accettare sul piano morale. Il punto fondamentale è attestare che un prodotto artistico sia bello. Perché è nel riconoscimento di quella bellezza che si gioca il tema dei diritti civili, a mio avviso. Educare al bello – fuori da ogni morale – significa rendere sensibili i cittadini e, con ciò, rendere più concreta una convivenza fuori dai pregiudizi, basata sull’uguaglianza, di vari popoli o gruppi sociali. Ecco, prima parlavo di Martin Luther King proprio a questo proposito: credo che oggi si dovrebbe ripartire dalla sua battaglia, purtroppo troppo dimenticata, proprio su questo punto. Su questa concezione umanistica della difesa dei diritti civili.

La querelle nata attorno alla “contestualizzazione” di Via col Vento è scoppiata in concomitanza con il caso George Floyd.. Oggi come allora, molte sono le zone d’ombra dell’America e spesso da europei, da italiani, avvertiamo un vuoto esperienziale che ci impedisce di cogliere a fondo la questione “supremazia bianca” e tutti gli ambiti e le modalità con le quali si manifesta e influenza la vita degli afroamericani (e non solo) nel presente. Come ci siamo posti difronte alla questione sollevata attorno al film di Fleming?

Il tema è quanto mai complesso, perché complessa è la storia e la conformazione della civiltà statunitense, diversificata nei vari Stati, e correlata a uno scontro sociale che certo non si è risolto con l’affermazione della supremazia nordista. Per molti aspetti che qui non possiamo approfondire, la condizione degli afro-americani, negli States, patisce una tragica iniquità che ogni anno vede peggioramenti, la quale si basa su meccanismi sociologici che divengono via via più strazianti e difficili da scardinare. Ma la nostalgia nei confronti della Civiltà del Sud di cui è intriso Via col vento non ha nulla a che fare, per quanto posso capire, con il delirio della supremazia razziale bianca o con un’apologia dello schiavismo. La mia idea, sul piano pedagogico, è appunto un’altra: tanto più si è capaci di apprezzare un’opera artistica, tanto meno si è propensi alla violenza – e tanto più un cittadino può seguire il sentiero della difesa e del rispetto dei diritti civili. Per questo, continuo a consigliare la lettura e la visione di Via col vento, a portare sulla scena per lezioni-spettacolo questo testo, che spero la memoria collettiva non vorrà mai cancellare.

La partecipazione a POPSOPHIA 2020 sarà gratuita; per assistere agli appuntamenti del festival sarà però necessaria la prenotazione online collegandosi al sito www.popsophia.com, dov’è anche possibile consultare l’intero programma. I posti saranno limitati a causa delle norme di distanziamento, chi non riuscirà a partecipare dal vivo potrà seguire la diretta online in esclusiva sul sito del festival.

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