Alle radici del sovranismo. Il prof Gervasoni: “È un fenomeno identitario, culturale e antropologico”

by Antonella Soccio

Quali sono le radici del “sovranismo”? La Fondazione Tatarella per il ciclo “Incontri d’Autore” s’interroga sull’argomento, ospitando il professore e saggista Marco Gervasoni, questa sera martedì 22 ottobre 2019 alle ore 18.30, alla Biblioteca della Fondazione, per il suo ultimo libro “La rivoluzione sovranista. Il decennio che ha cambiato il mondo” (Giubilei Regnani edizioni). Con l’autore, introdotto dal Vice Presidente della Fondazione Tatarella, Fabrizio Tatarella, dialogheranno Fabio Rampelli, Vice Presidente della Camera dei Deputati, deputato di Fratelli d’Italia, e Vincenzo Sofo, intellettuale, considerato uno degli artefici della svolta sovranista della Lega e fondatore del blog “Il Talebano” sottotitolo “Come si fa una destra”, attualmente deputato europeo “sospeso” in attesa della Brexit.

Per Gervasoni, ordinario di Storia contemporanea all’Università del Molise, editorialista e autore di numerosi libri e saggi, la crisi del 2007-2008 è lo spartiacque fondamentale per comprendere il presente. La più devastante crisi vissuta dal sistema economico mondiale dopo quella del 1929 non è stata solo economica ma anche di identità dell’Occidente.  

Noi di bonculture abbiamo intervistato il docente sulle connessioni con il nazionalismo, sulla rabbia della classe media e sul declino culturale delle élite.

Professor Gervasoni, il sovranismo oggi in Europa è una forma rafforzata di nazionalismo? Qual è la differenza principale tra questi due termini, dopo la Brexit del take back control e il governo Trump?

Una premessa: nel mio libro quando parlo di sovranismo intendo una tendenza, che attraversa anche partiti che non si definiscono sovranisti. C’è un sovranismo di sinistra, ma la tentazione sovranista c’è anche in figure che si oppongono al sovranismo, come Macron, che si definisce sovranista europeo e nell’ultimo anno ha accentuato un po’ queste sue tendenze. La differenza col nazionalismo stando sui partiti che si definiscono sovranisti è che il sovranismo viene rivendicato da alcuni partiti di Paesi che appartengono alla Ue, che a partire dal Trattato di Maastricht e poi via via coi trattati successivi, ha privato di sovranità non solo monetaria i governi, questi partiti si caratterizzano per volere un ritorno alla sovranità nazionale. Il che non vuol dire che siano antieuropeisti, ma vogliono un’Europa delle nazioni. Questa è la prima differenza.

Secondo elemento rispetto al vecchio nazionalismo, i sovranisti insistono molto di più sulla democrazia: vogliono che le decisioni siano riportate al popolo e all’interno della nazione. Mentre invece i vecchi nazionalisti erano autoritari.

Terza differenza: mentre i vecchi nazionalisti spesso si affermavano a detrimento delle altre nazioni e volevano occupare terre e pezzi di altre nazioni, i sovranisti tendenzialmente non vogliono espandersi a detrimento delle altre nazioni, ma vogliono riportare il controllo del proprio Paese all’interno della sfera nazionale. Certamente il sovranismo si può definire una evoluzione del nazionalismo, Trump e Pompeo più volte si sono definiti nazionalisti, anche se gli americani hanno al loro interno le leve di comando. Il caso inglese è interessante, perché rappresenta lo sforzo di un Paese di ritornare ad avere pezzi di sovranità che erano state cedute aderendo all’Unione europea.

L’ideologo di Trump, Steve Bannon, si era espresso assai favorevolmente sul governo gialloverde, da lui salutato come una grande sperimentazione internazionale. Che valutazione dà oggi del fallimento del governo Lega+M5S?

Bannon è stato una parte del nazionalismo trumpiano, perché ad un certo punto è stato allontanato. Secondo me la lettura che lui ha dato del governo gialloverde era troppo idealistica, perché identificava nei Cinque stelle il sovranismo di sinistra, mentre invece i Cinque Stelle si sono dimostrati assai poco sovranisti perché già durante il governo gialloverde comprovavano di essere molto più sensibili alla sirene europeiste che non la Lega. E poi si è visto che sui punti fondamentali, loro stavano dall’altra parte, il governo è fallito per tante ragioni, ma forse era destinato a fallire perché i due partiti avevano posizioni troppo diverse anche sul tema della sovranità.

Però Lega e Cinque Stelle avevano creato molte aspettative nel popolo, un anno fa c’era molto entusiasmo per le due forze populiste…

Sì, c’era molto entusiasmo, ma era un governo nato su una certa mancanza di fiducia tra i due soggetti, tanto è vero che dovettero ricorrere ad un contratto a rimarcare la diversità. Se invece ci fosse stato un incontro tra i due sovranismi, i punti in comune ci sarebbero stati. In realtà l’azione di governo non ha mai avuto sintesi, perché forse non era possibile.

Nel libro professore lei spiega molto bene che non è solo l’elemento economico a far spirare il vento del sovranismo, ma esistono temi culturali e antropologici, secondo cui l’identificazione dell’identità è centrale nella formazione delle nuove tendenze. La classe media si è pesantemente indebolita, ma non è solo la crisi ad aver acceso il fuoco sovranista. Cos’è allora? Una reazione alla globalizzazione e al capitalismo?

Sicuramente è una reazione alla globalizzazione, che ha comportato una perdita di ruolo molto importante per l’Occidente a vantaggio di altri poli, come la Cina e l’India. Ma è anche una reazione ad una fase in cui la globalizzazione tende a diventare lenta o addirittura come scrivono gli economisti inglesi a degradare verso una post globalizzazione. Questa situazione non produce meccanicamente spinte sovraniste, ma spiega in parte il sovranismo, che va letto come fenomeno oggi identitario e culturale, antropologico, altrimenti non si spiega come mai in Germania, il Paese che non è stato quasi toccato dalla crisi economica del 2007-2008, sia cresciuto alla destra del Cdu un partito come l’AfD, che in alcune parti del Paese è il primo partito. Oppure non si spiega come mai esistano partiti sovranisti in Finlandia o in Svezia o in Danimarca. La lettura economistica del sovranismo è molto parziale che non dà conto della complessità del fenomeno.

Vale lo stesso per la lettura legata ai fenomeni dei flussi migratori?

L’immigrazione è certamente uno dei grandi fattori che ha spinto al successo popolare i sovranismi, i partiti sovranisti in senso stretto, ma anche in senso largo, perché ricordiamoci che due settimane fa Macron ha fatto un discorso sull’immigrazione, che avrebbe potuto essere pronunciato da Marine Le Pen. Tutti capiscono che l’immigrazione è un fenomeno che se non viene controllato in maniera rigorosa e rigida può distruggere la società occidentale. Anche qui la questione migratoria non va letta tanto e solo da un punto di vista economico, ma da un punto di vista identitario perché le masse sono portatrici di culture e di costumi che cozzano spesso in maniera drammatica con le consuetudini occidentali e con i diritti che  l’Occidente si è dato, pensiamo ai diritti delle donne, alla sfida dell’Islam, cosa molto concreta in Paesi come la Gran Bretagna e la Francia o il Belgio e l’Olanda.

Ritiene che l’islamofobia sia venuta un po’ meno? L’Europa ha abbassato i livelli di guardia?  

Io non accetto il concetto di islamofobia, che è un po’ poliziesco, utilizzato da chi taccia come islamofobo chi critica l’espansione dell’Islam. Si è abbassata la guardia forse in Italia, ma in altri Paesi come la Francia, che ha una grossa quantità di cittadini islamici non s’è abbassata così tanto, perché il problema è molto reale.

Prima professore lei diceva che il M5S in Italia non è stato un sovranismo di sinistra, cosa differenzia allora i pentastellati dalle esperienze spagnole fortemente caratterizzate da tratti egualitaristici?

I 5 Stelle erano partiti certamente come un movimento sovranista, loro sono il frutto nel nostro Paese sia della crisi economica sia delle politiche dell’austerity, ma poi si sono dimostrati nei loro gangli dirigenti (meno nell’elettorato e infatti stanno perdendo molti elettori) sensibili alle sirene dell’establishment. Ma anche nella versione originaria, quando proponevano il referendum per l’uscita dall’Euro, non potevano essere assimilati a Podemos o a Syriza, perché questi movimento nascevano già come una vecchia costola di sinistra, da scissioni dai partiti comunisti dei rispettivi paesi, avevano questo carattere marcatamente di sinistra sulle politiche dell’immigrazione. Mentre invece i 5 Stelle sull’immigrazione non solo durante il governo gialloverde ma anche precedentemente avevano posizioni diverse. La forza elettorale dei 5 Stelle sta nel presentarsi come un movimento politico con proposte di destra e al tempo stesso di sinistra, però evidentemente questo tentativo non poteva durare a lungo e adesso con l’attuale governo si stanno dimostrando molto più vicini alla sinistra. Tra 5 Stelle e Pd c’è una maggiore vicinanza ideologica rispetto a quella esistente tra 5 Stelle e Lega.

Una domanda sui media e la stampa, che lei ritiene parte integrante dell’establishment. A che punto siamo e quanto e come la perdita di copie dei giornali di carta accresce il vento sovranista?

Qui bisogna distinguere tra old media, ossia la carta stampata e la televisione e il web. Di fronte al fenomeno sovranista, pensiamo agli Stati Uniti e a Trump, tutti gli old media erano contro Trump e invece i nuovi media sono stati uno dei vettori, non l’unico, della crescita del sovranismo. Certamente i grandi giornali, essendo delle voci dell’establishment sia nel versante conservatore sia in quello progressista, sono nella loro struttura inadatti a comprendere i fenomeni populisti e sovranisti, che mettono in discussione l’establishment. Trump ha quasi finito il suo primo mandato e questa ostilità dei grandi giornali e delle tv è ancora più importante. I giornali diventano sempre autoreferenziali, perdono copie, perché parlano ad un pubblico già convinto, che si restringe sempre di più. In Italia il fenomeno è molto evidente, in Francia e Spagna i volumi di lettori erano più ampli, nel caso italiano la crisi si vede di più. Quei giornali che sono più sensibili alle tematiche sovraniste reggono di più. Bisogna distinguere tra giornali mainstream – Corriere, Stampa, Repubblica- e giornali più sperimentali. La Verità è l’unico che cresce in termini di copie, c’è una fetta di pubblico che è ancora interessata al cartaceo, ma la domanda non trova sul mercato editoriale una soddisfacente risposta.

Negli ultimi mesi abbiamo assistito a grandi censure e chiusure collettive di pagine sovraniste di destra da parte dei grandi social network. In alcuni casi ad agosto molti politici sono stati anche bloccati, i sovranisti avevano problemi nel pubblicare e sponsorizzare i loro contenuti. Come interpreta questa virata censoria da parte del colosso di Mark Zuckerberg?

Sì, c’è il problema delle grandi piattaforme, che vanno regolamentate in qualche modo, perché non si può risolvere la questione dicendo che sono delle piattaforme private. Sono diventate di fatto delle piattaforme pubbliche e in quanto piattaforme pubbliche vanno regolate. Negli ultimi giorni Facebook, che è la piattaforma che censura di più, ha fatto una virata notevole. Quella che potrebbe essere la candidata democratica contro Trump, Elisabeth Warren ha minacciato di smantellare facebook e Zuckerberg si è piuttosto avvicinato a Trump, scrivendo una lettera sul Wall Street Journal, in cui ha promesso che il social network non censurerà mai più pagine di partiti politici. Nel caso italiano però tutto è partito da segnalazioni nazionali, penso che Zuckerberg non sappia neppure chi sono Casapound e Forza Nuova.

La policy di questi grandi gruppi è pro progressisti, pro sinistra, loro tendono a cancellare e a mettere in difficoltà i profili di esponenti sovranisti, mentre sono molto più tolleranti coi progressisti. Questo doppio standard c’è, per questo la recente posizione di Zuckerberg è stata letta in America come una remissione. Adesso ha bisogno che rivinca Trump.

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