Bulli e baby gang, la prof Celia: “L’aggressività adolescenziale è esposta, come se si fosse tolto il tappo”

by Antonella Soccio

Due adulti, rei solo di voler riportare l’ordine dopo vandalismi e schiamazzi molesti e nonsense, sono stati spietatamente accerchiati e picchiati a Foggia in Puglia da giovanissimi adolescenti, in branco. La movida notturna del sabato sera e non solo per i ragazzini, in preda all’alcol e al loro caos ormonale festante da sballo, sempre più di frequente si trasforma in rissa collettiva o in una caccia al diverso/a.

Sul fenomeno noi di bonculture, per non fermarci alla nuda cronaca o all’indignazione stereotipata da capro espiatorio, abbiamo chiesto un parere illuminante a Giovanna Celia, psicologa, psicoterapeuta, ricercatrice di Psicologia dinamica all’Università degli Studi di Foggia e presidente della società italiana di psicoterapia integrata e strategica (SIPIS).

Ecco l’intervista.

La città di Foggia, ma anche molti altri centri in Italia, sono attraversati da una effervescenza giovanile che sfocia in atti vandalici, violenza e da qualche tempo anche aggressione nei confronti degli adulti. Che lettura dà al fenomeno, professoressa?

Fenomeni come baby gang, bullismo, cyber-bullismo in altri termini violenza, aggressione, vilipendio, vessazioni nei confronti dell’altro, sia esso un coetaneo, un adulto, un rappresentante delle istituzioni sono sempre più diffusi. Il disprezzo per ogni forma di contenimento dell’impulso, l’assenza di empatia, la distanza sempre più evidente dalla morale e dall’etica dei rapporti è tangibile e direi “virale”, già perché spesso vediamo che mentre violentano, picchiano, vessano qualcuno, fanno foto e video per fissare e diffondere il gesto.  Un tempo, nel senso comune, alla cattiveria e alla devianza era associata la segretezza. Senza dubbio, un evento come quello di sabato scorso rappresenta un fenomeno complesso e come tale va trattato, per tale ragione non può essere banalizzato imputandolo ad una unica ragione. Si tratta di un fenomeno serio e ormai culturale, per il quale occorre una visione interdisciplinare che l’università di Foggia ha promosso, negli ultimi anni attraverso, una stretta collaborazione tra la ricerca pedagogica e psicologica a livello nazionale.    

Molti psichiatri e psicologi, primo fra tutti Vittorino Andreoli, ma anni fa anche Umberto Galimberti o Massimo Ammanniti, legano la necessità di picchiarsi e di eccedere con la mutilazione del corpo effettuata dalle tecnologie, c’è un nesso secondo lei? E quanto è forte?

Andreoli ha sottolineato la solitudine delle persone e il potere negativo che i social media esercitano su tutti, in particolare sui giovani. Rabbia, frustrazione, ignoranza, invidia sociale, impossibilità di distinguere il pubblico dal privato tra i principali effetti di mezzi come Facebook e Instagram. Galimberti ha sottolineato la fragilità della famiglia, l’esercizio debole della genitorialità, l’impoverimento dell’istituzione scolastica e degli insegnanti nell’immaginario collettivo, dipingendo ancora una volta un quadro complesso della società e del periodo storico-culturale in cui viviamo. Ma non è da sottovalutare anche l’uso precoce, incondizionato delle tecnologie, dei video games dove molto spesso la violenza è un gioco che “fa accumulare punti”.

Pensa che l’aggressività maschile adolescenziale, così ben teorizzata da Albinati nel romanzo La scuola cattolica sulla strage del Circeo, presenti oggi dei tratti nuovi?

Come dicevo, credo che l’elemento nuovo dell’aggressività adolescenziale sia la sua “esposizione”, il suo essere resa pubblica, che ha slatentizzato la segretezza associata alla brutalità, alla cattiveria e alla violazione delle regole. L’episodio di sabato è accaduto sotto gli occhi di tutti, in un luogo pubblico e questo è stato per i ragazzi un elemento galvanizzante ed euforizzante. Attualmente la violenza e l’aggressività non si riferisce solo alle azioni ma anche al linguaggio comune, è come se si fosse tolto il “tappo”. Una volta, un reato si nascondeva, si cercava di eliminarne ogni prova o sospetto, si dissimulava onesta ed educazione, per accedere alla brutalità dell’animo umano bisognava superare un filtro che oggi è quasi inesistente.

Gli adulti si sono subito schierati cercando decoro e tentando di proteggere i ragazzini inermi, organizzando delle ronde. Qual è la sua valutazione a tali reazioni?

Io non parlerei di decoro o di ronde, parole associate a concetti legati all’apparenza e al controllo e non credo serva questo. Capisco la preoccupazione dei genitori e della comunità e credo che questa paura debba essere la motivazione per un cambiamento più strutturato e radicale della cultura e della società. C’è bisogno di interventi non improvvisati. In UNIFOGGIA, da anni si studiano questi fenomeni ed è possibile offrire dati e conoscenze utili al decisore pubblico che poi potrà attivare interventi mirati con obiettivi verificabili. Le persone hanno bisogno di linee guide e di certezze e queste solo la ricerca può fornirle in modo credibile e soprattutto applicarle a contesti difficili. Il Rettore Pierpaolo Limone è molto sensibile e attento a queste tematiche e ha dato piena disponibilità alla comunità per un intervento congiunto e scientificamente solido.  Gli interventi da mettere in campo vanno studiati e monitorati, al fine di valutarne l’efficacia per poi migliorarne nel tempo gli esiti. Tutto questo per dire che il nostro impegno in qualità di esperti e ricercatori, non sarà circoscritto ad un singolo intervento ma si inserirà in un progetto complessivo da portare avanti nel tempo.

Quali sono, se ci sono, le responsabilità degli adulti?

Le responsabilità sono tante e non vanno confuse con le colpe. La responsabilità presuppone potere, capacità di reazione e soprattutto di riflessione e di messa in discussione.  La colpa invece non ci aiuta, ma inibisce il cambiamento perché emotivamente pesante. Abbiamo bisogno di cambiamenti mirati rivolti ai genitori, alla scuola, al mondo degli adulti e a quello degli educatori in genere. Abbiamo bisogno di interventi che aiutino i genitori a riappropriarsi del loro ruolo, con serenità e forza, di insegnanti che siano felici di fare quello che fanno e sappiano educare oltre che istruire, abbiamo bisogno di adulti che non rimpiangono continuamente l’età giovanile e sappiano vivere il passare del tempo come una risorsa e non come una sconfitta, che non passino dall’essere “Peter Pan” a “Capitan Uncino”. Abbiamo bisogno di empatia, educazione emotiva, impegno morale e in questo noi psicologi sicuramente possiamo offrire un valido contributo.

Quanto è profonda a suo avviso la voglia di emulazione di serie come Gomorra, Euphoria e tante altre? C’è un tifo per la malavita? 

Naturalmente serie tv come Gomorra o Narcos o Suburra sono in onda perché hanno un pubblico, quindi possono essere letti come “causa” ma anche come “effetto”. Lo stesso si può dire per i video giochi violenti. Che la cattiveria e l’aggressività risentano del contesto e dell’esempio, la psicologia lo ha dimostrato già quasi cinquant’anni fa con gli esperimenti di Zimbardo a Stanford e non solo. Per concludere, auspichiamo che a guidare gli interventi e le soluzioni da adottare siano le ricerche e la conoscenza scientifica dei fenomeni.

Ci sono particolari responsabilità delle agenzie educative?

La responsabilità è di tutti e insieme dobbiamo affrontare la situazione e porvi rimedio.

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