Filmati social, ludibrio, coesistenza civile e decoro pubblico (che manca)

by Enrico Ciccarelli

I miei non richiesti dieci centesimi sul caso Iaccarrino, presidente del Consiglio comunale di Foggia.

Li uso innanzitutto per esprimere solidarietà al mio amico Michele Vaira, mio brillante patrocinante in alcune cause derivanti dal mio lavoro, che tutela dal punto di vista legale l’ex (?) presidente del Consiglio Comunale. Solidarietà per le assurde critiche che qualcuno gli ha rivolto sui social, dimenticando che l’avvocato svolge innanzitutto una preziosa e vitale funzione pubblica. E solidarietà perché secondo me si è preso una bella gatta da pelare. Non sul piano del diritto, perché anzi mi chiedo come mai Iaccarrino abbia bisogno di un avvocato, visto che non vedo di cosa possa essere accusato; ma sul piano dell’improponibilità dei comportamenti.

Dirò la verità, io non ho fretta di contribuire alla pubblica lapidazione di Iaccarrino: quando tutti corrono ad appiccare il rogo che arderà la strega, avverto un’istintiva solidarietà con la strega di turno. Considero persino superflua l’insistenza sul fatto che si trattasse di un’arma giocattolo: lo do per scontato, e credo sia il minimo sindacale. Il problema è il gesto esecrando, la subcultura di cui è espressione, la ridicola bugia iniziale, quando sembrava che il gesto fosse del figlio sedicenne, in generale la paurosa, imbarazzante e manifesta incapacità di capire di cosa si stia parlando. Il presidente dimissionario della massima assise cittadina rappresenta un caso di scuola del baratro esistente tra comportamenti privati e ossequio formale al decoro pubblico. Nel mentre in cui Vaira diffonde comunicati in cui si parla di sincero rammarico e di imbarazzo, il nostro minaccia di passare a vie di fatto nei confronti di un tizio da cui si è sentito offeso, con un repertorio di “dimmelo in faccia”, “ti rompo i denti” et similia, che è collocato esattamente nello stesso humus, nello stesso imprinting della deplorevole bravata. Perché il problema è che Iaccarrino ignora ciò che invece il suo avvocato sa bene: che non esiste solo la dimensione della propria individuale esistenza ed esperienza, ma ne esiste un’altra, più complessa, se volete più artificiosa e ipocrita, che si chiama coesistenza civile: con i suoi vincoli, i suoi limiti, i suoi doveri. Per questo io, che non ho nulla contro Iaccarrino (a pelle mi era persino simpatico, nel suo peregrinare politicante), considero improponibile l’idea che continui a ricoprire l’incarico di seconda figura istituzionale per importanza della nostra città.

C’è di peggio? Probabilmente sì. Le sue dimissioni faranno di Foggia una città migliore? Difficile. Su quel balcone, a fare le stesse cose, avrebbero potuto esserci tanti nostri concittadini? Pacifico. Ma con tutto ciò, le sue dimissioni non hanno alternative né subordinate. Meglio per lui se spontanee, meglio se rese in silenzio (perché sinceramente nemmeno un bravo avvocato può proteggerlo da se stesso e dalle sue intemperanze) e seguite da un congruo periodo in cui ci sia data la possibilità di dimenticare il ludibrio, il biasimo e il ridicolo che sono piovuti su tutti noi per la risonanza nazionale dell’evento. Risonanza per la quale può prendersela solo con se stesso: perché a fare la differenza non è nemmeno il comportamento, la gioia ebbra con la quale ha tenuto a manifestare ai vicini di avere in mano una cosa (innocua) che faceva bumbum. È il filmato: ritenuto da chi lo ha realizzato (un familiare, dobbiamo presumere) un prezioso memoriale da esibire e diffondere.

Nessuna voglia di offendere, di maramaldeggiare, di innalzare patiboli: solo sconforto e tristezza. Perché, vedete, ho raccontato per decenni il Consiglio Comunale di Foggia, dai tempi di quando non aveva ancora un presidente; e ricordo di un particolare mandato amministrativo, all’inizio degli anni Ottanta, nel quale sedevano sui suoi banchi due deputati della Democrazia Cristiana, Franco Cafarelli e Gianni Mongiello; un deputato del Partito Comunista, Paolo De Caro; uno del Partito Socialista, Domenico Romano; uno del Partito Liberale, Savino Melillo. E per soprammercato c’era un esponente missino, Paolo Agostinacchio, che parlamentare era stato e sarebbe tornato ad essere. Ecco, lo ricordo solo per dire che “no, nunn’eje na barzellette” farne parte; figuratevi presiederlo. Per questo, caro Iaccarrino, dia retta alla logica, al buonsenso e al suo avvocato. Rimetta l’incarico e speri in giorni migliori.

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