Il Primo Maggio diverso, con meno lavoro e meno consumo. Che umanità resta?

by Antonella Soccio

È un Primo Maggio diverso, senza lavoro. A rischio lavoro futuro. O con un lavoro rimodulato, divenuto casalingo. Smart si dice, ma forse ancor più duro, hard, nella commistione impudica tra pubblico e privato, nei propri conquistati, felici e/o sofferti, luoghi del sonno e dell’intimità. Da tanti anni i sindacati nel consueto concertone romano e poi in quello di Taranto ribadiscono il concetto del lavoro che non c’è e ridanno valore a quello strano ossimoro dell’articolo 1 della Costituzione più bella del mondo.

L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Mai come in questi mesi, con l’emergenza pandemica, tutti abbiamo sperimentato che c’è vita, purtroppo o per fortuna, anche senza lavoro nelle zone in cui Confindustria non ha esercitato il suo potere dominante. E senza consumo.

Prima del Covid-19 questa prerogativa, questa esperienza apparteneva solo ad alcune categorie deboli. I bambini, i vecchi, i malati e i folli.

Non è un caso che un grande premio Nobel come John Nash, affetto da psicosi e genialità e inventore della Teoria dei Giochi in economia e nelle dinamiche strategiche e politiche dei gruppi, abbia detto in una importante intervista che si “guarisce solo quando si torna ad essere produttivi”. La vita senza produzione è vita inutile. Società dello scarto, vuoto a perdere.

L’homo è faber nel Rinascimento.

I fattori di produzione, per chiamarli à la Karl Marx, sono quindi fondativi dell’essere umano e della sua salute, del suo esserci nel mondo?  Siamo davvero ancora essere umani se non consumiamo e se non lavoriamo? E quindi conseguentemente siamo il nostro lavoro, la nostra capacità di spesa? Abbiamo una identità solo se come le merci in un magazzino just in time produciamo plusvalore? Siamo ciò che abbiamo o che possiamo avere, grazie all’unico Dio che persiste, al più alto valore simbolico dell’umanità che è il denaro?

Non sono mai stata sicura che la nostra identità si perda senza lavoro e senza consumo. I pazzi dimostrano oggi giorno che la vita è libera, gratuita, creativa ed utile agli altri, anche senza lavoro e senza consumo. Non esisterebbe neppure il Symposium o la caverna.

Eppure per i bambini, i vecchi, i pazzi e in parte i diversamente disabili la fase 2 sembra dovrà essere quasi simile alla fase 1. Senza scuola, senza socialità, senza cure, senza affetto dei propri cari. Per gli “improduttivi”, non si immagina, per ora, alcuna ripresa. Possono rimanere parcheggiati come un minivan km 0 che nessuno vuol più comprare, a causa degli attuali indici di sfiducia nel mercato perfetto.

E allora sì, è vera la sensazione che ogni adulto scaraventato nell’inattività con la sola occupazione possibile di portare il cane a fare i bisogni o di mettersi in fila al supermercato, ha potuto vivere per le strade delle città vuote in questi mesi, in cui neppure la contemplazione del sacro è stata resa possibile. Non siamo nessuno, nella nostra società liberal post capitalista, se non possiamo lavorare né consumare. Non c’è senso senza il movimento che fa crescere il Pil. Non c’è ricompensa e non c’è Nirvana nel vivere per vivere. Le filosofie da decrescita felice e da Pil della felicità sono roba da borghesi con la pancia piena. È più di una bicicletta quella che ci è stata sottratta col Covid-19. E servirà forse un nuovo neorealismo per raccontare le macerie del dopo.

La bibbia moderna che è “Consumo, dunque sono” di Zygmunt Bauman spiega come nessuno potrebbe mai fare i meccanismi che agitano la voglia perdurante e inesauribile di consumare.

“La cultura consumistica è contrassegnata dalla costante pressione a essere qualcun altro. I mercati dei beni di consumo sono imperniati sulla svalutazione delle loro precedenti offerte, in modo da creare nella domanda del pubblico uno spazio che sarà riempito dalle nuove offerte. Essi alimentano l’insoddisfazione nei confronti dei prodotti usati dai consumatori per soddisfare i propri bisogni e coltivano un perenne scontento verso l’identità acquisita e verso l’insieme di bisogni attraverso i quali viene definita. Cambiare identità, liberarsi del passato e ricercare nuovi inizi, lottando per rinascere: tutto ciò viene incoraggiato da quella cultura come un dovere camuffato da privilegio”.

L’Antico Testamento invece, si sa, è il fondamento che ha reso il lavoro l’archetipo e la proiezione onirica del nostro essere umani.

Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da dove era stato tratto

La caduta (Genesi 3, 22-24)

Nulla sarà come prima, a pandemia superata, solo se questi due assiomi si trasformeranno. Avverrà?

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