Maradona, oltre mezzo secolo di gesta del Pibe de Oro

by Filippo Mucciarone

Sembra ieri che Diego Armando Maradona il 30 Ottobre 2010 compì mezzo secolo, e che Mimmo Carratelli gli dedicasse il libro celebrativo “50 anni di Maradona…Caro Diego”, che ne narra le vicende come un “diario” .

Maradona è megl’jè e Pelè” lo slogan forse più celeberrimo che gli si potesse etichettare. E proprio nel decennio degli anni sessanta del secolo scorso, assieme agli anni del boom economico ed in cui in mondo visione l’uomo toccò per la prima volta la superficie lunare, l’astro nascente di El pelusa (dai campi polverosi e periferici di Les Sietes Canchitas da Villa Fiorito – Argentina), è come se proiettasse una trasmissione da romanzo di vita nell’imaginario epico e popolare, unendo in maniera epopeistica ed ideale “cielo e terra”.

A soli otto anni (quando era solo un asso del pallone di pezza) prima di entrare a far parte delle Cebolinnas (le giovanili dell’Argentinos Junior) scompaginando l’immaginario collettivo di quanti lo videro all’opera (a cominciare dal suo primo allenatore Francisco Correjo e presidente Prospero Consoli), venne addirittura additato come un nano, vista la sua esplosiva fantasiosa e dirompente propensione ed attrazione per il gioco del calcio. La leggenda narra che gli venne perciò fatta richiesta (tramite il papà che lo accompagnava al campo) di poter esibire un valido documento che ne potesse accertarne l’età reale.

Profetiche dicerie accompagnarono quasi come su un palmo di mano il fare magico e calcistico di dieguito, che sicuro di se, a 11 anni già preannunciava: “Il mio primo sogno è giocare al mondiale ed il secondo è vincerlo”. Quasi come un voler in prospettiva segnatamente rimarcare un innocenza ed un’indole “ingenua” di fondo per disimpegnarsi come in un suo virtuosistico dribbling  al cospetto semmai di pratiche “avulse” mai perse, anticamera di vizi ed eccessi che invece sembrano averlo accompagnato con pari disincanto lungo tutto l’arco di 20 anni e passa di carriera ad altissimi ed “innaturali” livelli: “Io sono sporco, il calcio è pulito” . Una delle frasi tra le tante estrapolate dal suo fare aleatorio e sovente accusatorio verso il “sistema calcio” che gli ruotava attorno, ma anche forse la più autoreferenziale e quella più a doppio taglio dunque da tal punto di vista.

El nino, poi Pibe de Oro, è dunque lecitamente esposto ai vortici della finanza globale (già allora nello sport) e all’unisono come  vittima e carnefice, croce e delizia.

Proprio come “lucida stregoneria” difatti, furono momenti emblematici “la mano de dios” a Messico 1986 o l’infortunio alla caviglia dell’82 (quando militava nel Barcellona di Udo Lattek e Josè Nunez) nell’anno della “scrausa consacrazione” (per via del brutale infortunio causatogli da un maldestro intervento in uscita del portiere dell’Atletico Bilbao Jorge Goikoetxea), o altresì come la “mancata assoluzione” per doping ai mondiali Usa 1994 che gli valsero i 15 mesi di squalifica e che lo relegarono mestamente verso una lenta uscita di scena dal calcio giocato (nella sua ultima comparsa ad un mondiale di calcio tra i quattro disputati a partire proprio da Spagna ’82 seppur lì proprio in tono minore rispetto le aspettative).

Ma già prima di ciò, e forse ancor prima che la sua dipendenza dalla cocaina non lo avesse completamente avvolto nel suo strascico affabulatorio dei sensi e del suo appeal più strettamente umoral comportamentale, un preambolo “eclatante” in occasione di Italia ’90 (vedi la finale incriminata persa dall’Argentina contro la Germania su rigore trasformato dal tedesco Brehme per fallo dubbio su Voeller), quando in mondo visione declinò ai fischi dell’Olimpico un chiaro “Figli de puta” durante l’inno nazionale argentino. “E’ stata una farsa, ha vinto la mafia” –esclamerà subito dopo il match -.  Facendo gravare ulteriormente ed attrarre verso se tramite le sue dichiarazioni shock la combutta sui massimi livelli calcistici della Fifa dell’epoca (ma poi anche postumi) e del malaffare dei poteri forti correlanti.

Ma di certo fra i sogni degli esordi (tra Argentinos Jr. e Boca Jr.) e gli incubi legati a doppio filo ad una gioia agrodolce dell’approdo a Barcellona (in cui giocherà due stagioni dall’82 all’84) dove sarà anche (sempre per l’epoca) il calciatore più pagato di sempre ed in cui conobbe i primi intoppi personali ed i problemi con la dipendenza dalla droga, c’è di mezzo (insieme) sia l’ascesa trionfante del Maradona calciatore (ormai il più conosciuto al mondo) che l’inizio della parabola discendente di una storia, una carriera, che ha saputo coinvolgere e far parlare di se ampie delegazioni di società civile e alte sfere pubbliche con faccende ed aneddoti capace di giungere fino ai complotti di stato.

Sempre a Messico ‘86 il fato dell’ensemble tra alti e bassi, sacro e profano, sembra come scagliarsi su Maradona come categoria dello spirito sgravato di tragici strascichi indemoniati: dopo il gol segnato di mano, sicuramente come a detta di molti, il gol più bello di sempre che sia stato mai visto realizzare in una partita di calcio professionistico.

Così titolava in prima il quotidiano “Cronica” : “Malvinas 2 Inglesi 1” (con chiaro riferimento all’esercito britannico con cui 4 anni prima l’Argentina aveva ingaggiato una guerra nell’Atlantico del sud alle isole Malvine). Il 1986 (oltre al matrimonio celebratosi il 7 Novembre con Claudia Villafane da cui avrà due figlie Dalma e Giannina) è anche l’anno della Scalata professionale per antonomasia che gli permise di conquistare con il suo Napoli (con cui disputò in maniera sfavillante ben sei stagioni dal 1985 al 1991) due scudetti (nell’87 e nel ‘90) ed una coppa Uefa (pareggiando 3-3 la finale di ritorno in Germania contro lo Stoccarda il 17 Mag. Del 1989), oltre ad una Coppa Italia ed una Super coppa che si aggiunsero (oltre proprio al Mundialito di Mexico ‘86) ad un mondiale under 20 vinto in Giappone nel ‘79.

 “Oh mamma, mamma mamma, sai, perché, innamorato sono…Ho visto Maratona…” inneggiava ormai il suo popolo partenopeo quasi fosse una colonna sonora esistenziale. Poiché al suo arrivo da brividi (il 5 luglio ‘85) allo stadio S. Paolo ebbe subito a dire “Buona sera napolitani, questo posto è come mamma mia”.

Poi ancora nel turbinio della fama e del potere dell’immagine che è già abbastanza difficile poter isolare del tutto dal Se, e nel restante ambiente calcistico dei “comuni mortali”, giungono anche i dissidi e le amicizie più consolidate si vanno sfaldando (come quella con Jorge Cyterszpiller che aveva fondato la Maradona Production sostituita con l’arrivo a Napoli del cognato Gullielmo Coppola creatore invece della Diarma).

Su tutto spuntano così anche inesorabili gli eccessivi carichi di responsabilità come sentinelle tramutate in schegge impazzite, puntualmente pronte a tradirlo al varco, quasi come ciò fosse un codice di vita attraverso indubbiamente pure la complicità del fatto insito appunto in se che un personaggio come Maradona poteva far addurre.

La “pirateria materiale” non indugiò neppure un attimo per avvinghiare a se anche “la parte umana” di una persona infondo di stesse origini latine e dissacranti come “El pelusa” nel proprio vortice “ostentatamente credulone” e falsamente a lui ossequioso.

Tanto in aggiunta da portarlo vicino quanto se non in parte, alla rovina totale tanto della sua immagine che con larga parte della città partenopea, allorchè sopraggiunse lo scandalo in occasione della notizia resa pubblica in tv circa un suo figlio “illegittimo” nato da una relazione con una ragazza napoletana.

Fatto che non ultimo, sembrò proiettarlo da anticristo del pianeta calcio sempre più al bivio tra gesta superlative dello sport più seguito e praticato del globo ed “estetica nominalistica”, tra logica e dissenso, nella medesima indole collimante anche con le gesta di altre star dello show business come Jimi Hendrix o Bob Dyland. Di chi comunque, dai propri eccessi ha potuto veder poi esser perdonate le proprie effettive virtù, ricevendo come nel suo caso specifico, un incarico Pubblico da allenatore principale della Seleciòn Argentina in occasione dei mondiali in Sud Africa del 2010.

Come se una sorta di “congregante” editto popolare proveniente dalla sua nazione (“Chi ruba a un ladro ha il perdono per cent’anni” è la frase che gli argentini coniarono in massa all’indomani della vittoria a Messico ’86 di cui sopra sull’Inghilterra), avesse voluto incoronare il Pueblito ad incontrare il destino di poter allenare la Seletiòn (seppur comunque a suo modo tra accuse ed infinite discussioni avutesi fin poco prima del mondiale) nella patria di Nelson Mandela.

Scissione storica controcorrente, con il piglio dell’out sider del calcio e dello sport, che partendo dal basso si eleva dunque a “commistione d’intenti” diventandone famigerata interpretazione “anacronistico ideale”, che attraverso la stessa ed indiscussa naturalezza del suo talento sportivo, lo faranno celebrare nel mito fra i miti, del suo tempo ed oltre. Ne accoglieranno, in uno scambio di solida amicizia, rielaborandone e rafforzandone le gesta oltre il più solido connubio simbolico evocativo, discernimenti provenienti da altrettanto illustri personaggi come: Ugo Chavez, Emir Kusturica, Gianni Minà, Evo Morales, Mike Tyson, Rod Steward, Manu Chao, Fidel Castro…Sino a miss Italia nel mondo 2005.

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